Aborto, una legge applicata male e in larga parte disattesa

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La notizia c’è tutta; eppure al di fuori della cerchia degli esperti e degli operatori, non sembra aver scosso in modo particolare il ceto politico sia di destra che di sinistra (quella “destra” laica, beninteso, che per quanto poco organizzata e sonnolenta si spera esista ancora, e non sia preda di posizioni alla Eugenia Roccella o alla Maurizio Sacconi, che non hanno ormai neppure più udienza oltretevere; e quella “sinistra” che dovrebbe essere un minimo sensibile ai diritti umani, civili e sociali, e non solo attenta ai twitter e alle mossettine di Matteo Renzi e della sua corte dei miracoli).

La notizia è riassumibile in questi termini: sempre più medici obiettori; sempre meno interruzioni volontarie di gravidanza; sempre più aborti spontanei. C’è una relazione? A quanto pare sì. I medici raccontano che aumentano le donne che si presentano in ospedale con un aborto in corso per effettuare il raschiamento, ed è legittimo il sospetto che abbiano in precedenza assunto farmaci per provocare un’interruzione di gravidanza che non sono riuscite a ottenere con assistenza medica. Se è vero, si tratta di un drammatico campanello d’allarme.

È noto che la legge 194 sull’aborto, pur con i suoi evidenti limiti, sulla carta assicura discreti margini di praticabilità; ma è altrettanto noto che in molte regioni del paese questo diritto viene precluso e non applicato per via di un elevato numero di “obiettori di coscienza”. E le strutture che dovrebbero comunque garantire l’interruzione della gravidanza questa parte della 194 si guardano bene dall’applicarla. Al punto – anche questa ci sembra una notizia rimasta nell’ambito della cerchia degli “addetti ai lavori” – che il Consiglio d’Europa ha riconosciuto una violazione dell’Italia in questo senso, e nelle scorse settimane il Comitato Europeo dei Diritti Sociali ha ufficialmente riconosciuto che “l’Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla 194/78, intendono interrompere la gravidanza”.

Ancora una volta, dunque, sanzionati da una giurisdizione extranazionale. E non può che essere così, se è vero l’ “obiezione di coscienza” è praticata da circa il 70 per cento dei ginecologi. La 194 prevede anche che in ogni ospedale vi sia almeno un reparto con ginecologi non obiettori. Il ministro Beatrice Lorenzin, per distinguersi dal complice “non fare” del suo predecessore Renato Balduzzi, bene farebbe a disporre almeno un’indagine conoscitiva sul fenomeno. Sarebbe interessante sapere con esattezza, regione per regione, ospedale per ospedale, quanti sono i ginecologi obiettori e quanti non lo sono. Quante volte, per esempio può capitare che nel momento dell’intervento non sia disponibile personale di sala operatoria cosicché l’intervento ricade completamente sulle spalle del ginecologo; quante volte donne, soprattutto le straniere, si presentano nelle strutture ospedaliere fuori tempo (i 90 giorni prescritti dalla legge), e vengono per questo respinte. Che fine fanno, queste donne? Come risolvono il problema, rivolgendosi a chi, pagando quali prezzi (non tanto economici, prezzi umani, psicologici, di salute)? Essendo per lo più straniere, perché non si predispone una adeguata campagna informativa sui loro diritti e prerogative?

Alcuni dati dovrebbero far riflettere: il 66 per cento delle donne che ricorre all’aborto è costituito da immigrate. Il 45 per cento sono minorenni. Il 70 per cento dei ginecologi fa “obiezione di coscienza”, e negli ultimi trent’anni, la quota di “obiettori” è cresciuto del 17,3 per cento. Ancora: non è indecente che in molte strutture ospedaliere si consenta ai cosiddetti movimenti Pro Vita di organizzare nei giorni dedicati alle interruzioni di gravidanza vere e proprie manifestazioni che si traducono in pesantissime pressioni psicologiche sulle donne che vanno ad abortire?

La 194 è del 1978, trentasei anni fa. È giusto riconoscere ancora “l’obiezione di coscienza”? Chi non se la sente di applicare la 194 e di praticare interruzioni di gravidanza può benissimo non fare il ginecologo, scegliere altre specializzazioni… È evidente che si tratta di opinioni personali, che coinvolgono solo chi le esprime: un non esperto, che magari ignora una quantità di aspetti della questione che invece vanno considerati… Ma si può almeno cominciare a parlarne?


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