Tifosi e tifoserie, slogan anziché idee. Caffè del 30 giugno

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Si cammina a tentoni, nel buio. “Pagamenti elettronici. La rivoluta degli autonomi”, grida La Stampa. Se non fosse che a pagina 4 poi svela quel da oggi effettivamente accade: “vado in un negozio, chiedo di pagare col Pos, l’esercente non ce l’ha e finisce lì”. Non accade niente. E ti rivolti pure?

“Così possiamo tagliare il debito”, annuncia finalmente il Corriere, che intervista il sottosegretario Del Rio. Peccato che si tratti di una buona idea di Prodi: “glieuro union bond, cioè la mutualizzazione del debito. Si crea un fondo federale europeo al quale ogni Stato conferisce un pezzo del proprio patrimonio immobiliare e non”. Idea rimasta nel cassetto e di cui non c’è traccia nel documento siglato in Europa.

“Manca un miliardo per la cassa integrazione” in deroga – scrive Repubblica – “il governo in allarme”. Purtroppo era noto: molte imprese sono defunte, ne resta la facciata, per non mettere in strada i dipendenti. La cassa così diventa assistenza e lo Stato, in affanno, deve  trovare denari per non far montare la folla dei senza lavoro e senza sussidio.

Va bene, navighiamo a vista, ma Matteo Renzi parlerà a Strasburgo della “generazione Erasmus” che vuole “gli Stati Uniti d’Europa”. Viva! A parte Faràge, Le Pen e Salvini, molti Euro Deputati lo applaudiranno. Più difficile sarebbe farsi applaudire dei Capi di Governo, i soli a decidere.

Che resta allora? Resta la solita minestra, l’organizzazione del tifo per il Principe che sta svegliando la Bella Addormentata Italia e la gogna per chi osa chiedere più precisione, maggiore concretezza e trasparenza. Ci Pensano lo stesso del Rio e la Serracchiani.

Alla domanda Si può ridurre il numero dei deputati?  Del Rio risponde:  “Non capisco il vantaggio di mettere in campo soluzione alternative dopo tutto il lavoro fatto. La proposta mi sembra consolidata: avere una sola Camera elettiva con un’altra basata sulla rappresentanza di Regioni ed enti locali”. Eppure, “dopo tutto il lavoro fatto” che la cosa non funzioni lo ha capito pure Miguel Gotor, uno che non è “dissidente” e difende “la disciplina di partito”.  Gotor dice al Corriere: “Toccando il bicameralismo perfetto, si modificano gli equilibri parlamentari, fondamentali per scegliere capo dello Stato, Csm e Consulta”.Cioè, chi prende il premio di maggioranza alla Camera sceglie il presidente della Repubblica. Un’altra affannosa trattativa per correggere un altro pasticcio di questa riforma? Del Rio assicura che il Senato va bene così (con 100 nominati dai consiglieri regionali), e l’Italicum pure (con 630 deputati eletti con un forte premio alla coalizione). E ventila, solo ventila perché è persona garbata, l’eventualità di elezioni anticipate “qualora dovesse rimanere un bicameralismo mascherato”.

Debora Serracchiani, invece per cambiare verso con Renzi, finisce con l’imitare D’Alema, il quale aveva  il copyright – ben mi ricordo – del professionista della politica infastidito dal pressappochismo dei giornalisti. Titolo su Repubblica: “Il testo (della riforma del Senato) è un compromesso. Ora Mineo e Minzolini non possono fermarci”. Cara Debora, quanta strada da quella prima assemblea in cui contestasti il leader Maximo! Il compromesso di cui parli l’avete fatto con Verdini e con Calderoli: tanto vale discutere con Minzolini.  E non regge: avreste dovuto farvelo correggere da D’Alema. È una riforma di cui presto vi vergognerete in Europa.  Perché né in Francia, in Germania, né in Inghilterra le regole consentono una tale dittatura del governo. Senza contrappesi né garanzie. Perché un Senato di 100 nominati (da mille e cento consiglieri regionali) sparisce davanti a una camera di 630 eletti dal popolo, ma con regole e candidati scelti dal Partito.

Perché sarebbe stato meglio abolire il Senato, come proponeva a suo tempo Chiti, ma costruire un sistema adeguato di contrappesi democratici e di garanzie costituzionali. Com’è penoso, Debora, il tuo accenno a “questioni personali” quando parli di uno come Chiti!

Non so come finirà. Una sola cosa è chiara: questa battaglia del Senato sta servendo agli emuli di Renzi per mobilitare la propria tifoseria. L’Italia è diventata un paese dove non si discute più in Parlamento (“Il lavoro” si fa in incontri al vertice, in aula si vota! ), non si discute nei partiti – d’altronde da quando il Pd si è trasformato in Partito della Nazione, non ci sono più partiti -, né si discute – se non per lanciare invettive – in rete o nei talk show.  Ilvo Diamanti conclude così la sua analisi: “È il tempo della post-politica e dei post-partiti. Senza passione e senza bandiere. Senza mobilitazione e senza fiducia. Nel quale i principi non negoziabili dell’identità sono affidati al calcio. Io, che per vocazione e per professione, agisco da osservatore disincantato, ammetto, per una volta, di sentirmi fuori luogo e fuori tempo”.

Da corradinomineo.it


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