Verso la fine dei Casalesi

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Da  quattro anni in carcere, il  superboss  della banda più forte della camorra, i Casalesi, Antonio  Iovine, arrestato dopo 14 anni di latitanza il 17 novembre 2010,ha incominciato a raccontare ai magistrati di S. Maria Capua Vetere quel che ha fatto o ha ordinato ad altri di fare in oltre trent’anni di delitti e  reati di ogni genere compiuti dal gruppo di cui è diventato, dopo Sandokan, Francesco Schiavone, con Michele Zagaria, il capo incontrastato e assoluto. “Ho cominciato a uccidere negli anni Ottanta. E’ iniziato tutto  con l’aggressione alla famiglia Nuvoletta da parte di Antonio Bardellino. Ha poi aggiunto di aver partecipato all’omicidio del vigile urbano di San Cipriano di Aversa. Subito dopo  racconta di aver compiuto altri omicidi prima del 1988 come quello di Nicola Griffo, quello di Ciccillo o’ suricillo  di Casale di Principe ucciso vicino a una discoteca, quindi il quadruplice omicidio di Pagano, Mennillo, Orsi e Gagliardi e ancora quello di Liliano Diana nel marzo 1991.

Nello stesso periodo, a Cascais in Portogallo (qualcuno ricorderà il luogo, visto che nel 1946 era andato lì in esilio l’ex re di Italia, Umberto di Savoia, appena detronizzato e conosciuto in tutto il mondo come conte di Sarre) era stato ucciso da uno straniero assoldato dal camorrista Nunzio De Falco, il fratello del superboss, Mario Iovine e il nuovo collaboratore racconta che, uscito dal carcere dopo quattro anni, la sua “prima preoccupazione fu di capire perchè  era stato  ammazzato mio  fratello”.  Iovine ha detto anche che “il clan ha assunto una dimensione essenzialmente imprenditoriale, di cui io e Michele Zagaria siamo i principali protagonisti. Il sistema è costruito  in modo tale da coinvolgere imprenditori e funzionari pubblici e consente di controllare l’assegnamento e l’espletamento degli appalti nei diversi comuni controllati dai clan della camorra. “Non c’è stato bisogno-ha aggiunto Iovine-non solo di usare la violenza ma addirittura nemmeno di parlare in maniera esplici ta. I funzionari  pubblici sono stati costantemente corrotti. All’imprenditore offrivamo una sorta di pacchetto completo: che comprendeva anche il fatto che lui si rapportava esclusivamente con me e poi io provvedevo di volta in volta a regolare i conti con chi aveva diritto a una quota sul piano territoriale.”

La regola applicata dai Casalesi e in generale dalle bande camorriste è quella “del 5 per cento, della raccomandazione, delle mazzette e delle bustarelle.” Iovine apre un capitolo successivo, ma strettamente legato al primo, raccontando di  aver visto un sistema “completamente corrotto. I sindaci avevano interesse a favorire essi stessi alcuni imprenditori in rapporti con i clan: per avere vantaggi durante le campagne elettorali in termini di voti e di  finanziamenti .Non faceva alcuna differenza il colore del sindaco  perchè  il sistema era ed è operante allo stesso modo.   A Villa Literno di fronte alla necessità di realizzare le piazzole per le ecoballe dei rifiuti interviene Michele  Zagaria che, con il fratello Pasquale ha rapporti privilegiati con la Regione Campania  che doveva decidere i siti per le piazzole.” Iovine ha incominciato a parlare e non si sa quando smetterà mentre a Napoli come a Roma molti sono preoccupati per le nuove rivelazioni. Il nuovo collaboratore ha detto tra l ‘altro di aver gestito fino al 2008 la cassa del clan” che ogni mese i Casalesi potevano contare su circa 350mila  euro di introiti senza contare gli incassi personali che ciascun capo poteva ottenere.” Iovine ha ricordato:  “riuscivo a racimolare con tutti i suoi affari tra i 130 e i 140mila euro al mese. Avevo l’onere di versarne almeno 60mila per gli stipendi ma me ne restavano almeno 70 mila al mese.”

Ora se si tiene conto del fatto che la camorra campana può contare su utili che superano da tempo i tredici miliardi di  euro e che l’economia di quella regione è per più dell’ottanta per cento in mano alle associazioni mafiose, si ha un quadro verosimile del giro di affari che domina uno delle più popolate e più belle contrade della penisola. A ragione i magistrati campani hanno subito dichiarato che valuteranno in ogni particolare, con riscontri precisi, quello che sta dicendo Antonio Iovine ma, al di là di questo opportuno adempimento, c’è da chiedersi per chi da molto tempo studia il fenomeno mafioso nel nostro paese se gli strumenti della  polizia e della magistratura siano sufficienti a stroncare le azioni delle associazioni mafiose e della sempre maggiore loro influenza sull’economia e sulla società italiana contemporanea.


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