“Quando c’era Berlinguer”

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“L’antipolitica è la nuova forma di fascismo” Ce ne sono tante di frasi di Berlinguer che non ricordavo avesse detto, nel film “Quando c’era Berlinguer”. Frasi pronunciate in Tribune politiche in bianco e nero, dove si fumava, ma le domande erano compiute e le risposte dei politici non venivano interrotte. Il film di Veltroni inizia con la patina di oblio che già si sta depositando  dalla memoria dei giovani. Solo pochi sanno qualcosa su Berlinguer, persino nella sua Sardegna. Poi – tra foto di infanzia e dei primi comizi  – arrivano i 100 giorni di carcere, dove Enrico entra giovane ed esce uomo consapevole dei sacrifici di un ideale.

La sua mitezza – come ho ritrovato nei Sardi che ho conosciuto – è una componente della sua tenacia e del suo coraggio. Doti che dimostra nella distanza sempre più netta che pone tra il PCI e i comunisti sovietici, culminata nella famosa frase “La democrazia è un valore universale”, che gli costerà molti nemici e persino un attentato in Bulgaria.
Il film scorre sulla vita di Berlinguer con fluidità, con inserti di repertorio di telegiornali che parlano dell’uccisione di Moro, interviste (su un terrazzo di Roma) di  Franceschini (Brigate Rosse) che descrive un infiltrato sotto copertura che non impedì il rapimento del giudice Sossi. C’è anche Scalfari che ricorda la telefonata di La Malfa dopo lo strappo con l’URSS, dove i due si ripromettono di non lasciare solo Berlinguer, nell’isolamento dove si era cacciato con l’Euro-comunismo.
Le scene del suo ultimo discorso a Padova sono struggenti. Il malore che cerca di fermarlo e lui che va avanti, mentre tutti in piazza – capendo il problema – gridano “basta!”. C’è la morte e l’immenso funerale, con un particolare significativo: la bara era trasportata da un semplice pulmino nero, quello usato nei funerali popolari.
Io non sono stato comunista.
Eppure, alla fine del film, mi sono sentito orgoglioso.
E orfano.

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