Bertoldi (“Alto Adige”): “Ecco perché mi hanno perquisito”

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A Ossigeno il racconto della doppia inchiesta, giudiziaria e giornalistica, per cui il cronista è stato sottoposto a perquisizione sul luogo di lavoro

Mario Bertoldi, giornalista professionista del quotidiano Alto Adige, stava approfondendo un’inchiesta della magistratura quando, lo scorso 21 marzo, ha subito una perquisizione in redazione da parte della Guardia di Finanza, alla ricerca della registrazione di una sua intervista. A Ossigeno riferisce la vicenda. Cominciando dal “caso Podini”, su una famiglia di imprenditori di Bolzano coinvolti in una presunta evasione fiscale.

IL “CASO PODINI” – “L’inchiesta aperta dalla magistratura riguarda una delle famiglie di imprenditori altoatesini più potenti”, spiega il giornalista. “Tutto nasce da una verifica fiscale nei confronti della “Podini Holding” con sede a Bolzano. La verifica è durata due anni ed ha impegnato diversi uomini della Guardia di Finanza che hanno scoperto l’esistenza di almeno due società “estero vestite”, cioè di fatto gestite e dirette in Italia (da Bolzano) ma ufficialmente con sede legale all’estero per sfuggire agli obblighi fiscali italiani e godere di regimi fiscali più vantaggiosi”.

“Le due società scoperte – continua Bertoldi – sono la “P.i.n.sa” con sede in Lussemburgo, presso una banca del gruppo Intesa San Paolo, e la “Eneco Strom”, che si occupa di produzione energetica, con sede in Austria. Nel primo caso la Guardia di Finanza ha rilevato presunte evasioni delle imposte dirette per circa 7 milioni di euro. I fratelli imprenditori Giovanni, Alessandro e Stefano Podini hanno in corso un contenzioso sotto il profilo amministrativo davanti all’Agenzia delle Entrate e sono finiti sotto processo penale per l’evasione di 1,7 milioni di euro. Il procedimento penale è stato possibile solo per alcuni anni della verifica fiscale perchè per annate precedenti – contestate amministrativamente – il fronte penale è prescritto. Per “Eneco Strom” la contestazione riguarda presunte violazioni delle norme sull’Iva per 15 milioni di euro, che i Podini contestano in toto”. I vari accertamenti sulle società riguardano sia il profilo amministrativo che quello penale, con la presunta evasione di alcuni milioni di euro, che i Podini contestano.

Bertoldi, che segue il caso con i suoi articoli, spiega come i finanzieri siano giunti alla perquisizione. “Nell’ambito di questa vicenda io ho avuto un lungo colloquio con uno degli ispettori della Guardia di Finanza che ha fatto le verifiche e che, con molta amarezza, ha denunciato presunti favoritismi nei confronti della potente famiglia di imprenditori. «Ho visto cose che mai avrei pensato» ha detto l’ispettore, parlando di mancanza di rigore anche da parte dell’Agenzia delle Entrate (che però con altri soggetti fiscali avrebbe sempre attuato la linea dura). Nell’intervista l’ispettore considera la situazione pesante al punto da dire: «Se sarà necessario andrò fino in fondo, costi quello che costi», annunciando l’intenzione di presentare un esposto alla Corte dei Conti per presunto danno erariale da imputare a chi non intende procedere in maniera ferma nei confronti del gruppo imprenditoriale. A questo punto, sia la Finanza che la magistratura ritengono necessario intervenire. Credono che le dichiarazioni rilasciate dall’ispettore siano pesanti e così inizia la caccia alla registrazione del colloquio. Obiettivo: identificare con certezza l’ispettore delle Fiamme Gialle per punirlo in maniera esemplare. E così scatta l’ordine del magistrato”.

LA PERQUISIZIONE – Cosa è accaduto di preciso il 21 marzo, quando i finanzieri sono entrati in redazione? Quella mattina, spiega Bertoldi, “io vengo invitato in caserma a Bolzano dal comandante della Guardia di Finanza per un «colloquio sull’intera vicenda e per un caffè». In realtà, una volta in caserma, preso atto della mia indisponibilità a fornire la registrazione del colloquio, mi viene notificato l’ordine di perquisizione della Procura (firmato dal procuratore capo Guido Rispoli) e vengo trattenuto per un’ora e mezza all’interno della stessa caserma, dove mi si fa presente che, di fatto, non posso andarmene”.

“Scortato da quattro uomini della Guardia di Finanza – continua Bertoldi – vengo accompagnato in redazione all’Alto Adige dove scatta la perquisizione dei cassetti della mia scrivania e il controllo delle memorie del computer, del telefonino e dell’iPad. Il tutto, a caccia del file audio che, per fortuna, non trovano. Poi sono stati costretti a ritornare in caserma per il verbale. Ciò è durato circa 5 ore”.

Come già riportato da Ossigeno e confermato dal cronista, reazioni di solidarietà e di denuncia di quanto avvenuto gli sono giunte dal comitato di redazione del giornale, dall’Ordine dei Giornalisti e dal Sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige.

SD

Da ossigenoinformazione.it

A Ossigeno il racconto della doppia inchiesta, giudiziaria e giornalistica, per cui il cronista è stato sottoposto a perquisizione sul luogo di lavoro

Mario Bertoldi, giornalista professionista del quotidiano Alto Adige, stava approfondendo un’inchiesta della magistratura quando, lo scorso 21 marzo, ha subito una perquisizione in redazione da parte della Guardia di Finanza, alla ricerca della registrazione di una sua intervista. A Ossigeno riferisce la vicenda. Cominciando dal “caso Podini”, su una famiglia di imprenditori di Bolzano coinvolti in una presunta evasione fiscale.

IL “CASO PODINI” – “L’inchiesta aperta dalla magistratura riguarda una delle famiglie di imprenditori altoatesini più potenti”, spiega il giornalista. “Tutto nasce da una verifica fiscale nei confronti della “Podini Holding” con sede a Bolzano. La verifica è durata due anni ed ha impegnato diversi uomini della Guardia di Finanza che hanno scoperto l’esistenza di almeno due società “estero vestite”, cioè di fatto gestite e dirette in Italia (da Bolzano) ma ufficialmente con sede legale all’estero per sfuggire agli obblighi fiscali italiani e godere di regimi fiscali più vantaggiosi”.

“Le due società scoperte – continua Bertoldi – sono la “P.i.n.sa” con sede in Lussemburgo, presso una banca del gruppo Intesa San Paolo, e la “Eneco Strom”, che si occupa di produzione energetica, con sede in Austria. Nel primo caso la Guardia di Finanza ha rilevato presunte evasioni delle imposte dirette per circa 7 milioni di euro. I fratelli imprenditori Giovanni, Alessandro e Stefano Podini hanno in corso un contenzioso sotto il profilo amministrativo davanti all’Agenzia delle Entrate e sono finiti sotto processo penale per l’evasione di 1,7 milioni di euro. Il procedimento penale è stato possibile solo per alcuni anni della verifica fiscale perchè per annate precedenti – contestate amministrativamente – il fronte penale è prescritto. Per “Eneco Strom” la contestazione riguarda presunte violazioni delle norme sull’Iva per 15 milioni di euro, che i Podini contestano in toto”. I vari accertamenti sulle società riguardano sia il profilo amministrativo che quello penale, con la presunta evasione di alcuni milioni di euro, che i Podini contestano.

Bertoldi, che segue il caso con i suoi articoli, spiega come i finanzieri siano giunti alla perquisizione. “Nell’ambito di questa vicenda io ho avuto un lungo colloquio con uno degli ispettori della Guardia di Finanza che ha fatto le verifiche e che, con molta amarezza, ha denunciato presunti favoritismi nei confronti della potente famiglia di imprenditori. «Ho visto cose che mai avrei pensato» ha detto l’ispettore, parlando di mancanza di rigore anche da parte dell’Agenzia delle Entrate (che però con altri soggetti fiscali avrebbe sempre attuato la linea dura). Nell’intervista l’ispettore considera la situazione pesante al punto da dire: «Se sarà necessario andrò fino in fondo, costi quello che costi», annunciando l’intenzione di presentare un esposto alla Corte dei Conti per presunto danno erariale da imputare a chi non intende procedere in maniera ferma nei confronti del gruppo imprenditoriale. A questo punto, sia la Finanza che la magistratura ritengono necessario intervenire. Credono che le dichiarazioni rilasciate dall’ispettore siano pesanti e così inizia la caccia alla registrazione del colloquio. Obiettivo: identificare con certezza l’ispettore delle Fiamme Gialle per punirlo in maniera esemplare. E così scatta l’ordine del magistrato”.

LA PERQUISIZIONE – Cosa è accaduto di preciso il 21 marzo, quando i finanzieri sono entrati in redazione? Quella mattina, spiega Bertoldi, “io vengo invitato in caserma a Bolzano dal comandante della Guardia di Finanza per un «colloquio sull’intera vicenda e per un caffè». In realtà, una volta in caserma, preso atto della mia indisponibilità a fornire la registrazione del colloquio, mi viene notificato l’ordine di perquisizione della Procura (firmato dal procuratore capo Guido Rispoli) e vengo trattenuto per un’ora e mezza all’interno della stessa caserma, dove mi si fa presente che, di fatto, non posso andarmene”.

“Scortato da quattro uomini della Guardia di Finanza – continua Bertoldi – vengo accompagnato in redazione all’Alto Adige dove scatta la perquisizione dei cassetti della mia scrivania e il controllo delle memorie del computer, del telefonino e dell’iPad. Il tutto, a caccia del file audio che, per fortuna, non trovano. Poi sono stati costretti a ritornare in caserma per il verbale. Ciò è durato circa 5 ore”.

Come già riportato da Ossigeno e confermato dal cronista, reazioni di solidarietà e di denuncia di quanto avvenuto gli sono giunte dal comitato di redazione del giornale, dall’Ordine dei Giornalisti e dal Sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige.

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