Deve migliorare l’etica pubblica delle classi dirigenti (speciale Conflitto di interessi)

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Può essere noioso sentirselo dire – quando si ha occasione di andare in Europa per i dibattiti sulla libertà di informazione – ma dobbiamo ammettere ormai  l’esistenza di  due dimensioni presenti nella nostra  storia recente:1) la prima è che abbiamo incominciato a discutere sul piano legislativo di conflitti di interesse soltanto a metà degli anni novanta 2) la seconda è che nel nostro paese, rispetto a tutti i paesi del vecchio continente, il sociologo americano Edward Banfield scrisse, in un suo libro, di “familismo amorale” in Italia, cioè di un possibile, completo mescolio tra interessi pubblici e privati nella nostra società.

I due elementi di fatto la dicono lunga sulla fragilità della nostra etica pubblica, oggi dimostrata palesemente dal distacco innegabile tra le classi dirigenti e l’intera popolazione della penisola, e dalle difficoltà dell’appena varato governo di Matteo Renzi, pur guidato dal partito maggiore della coalizione di centro-sinistra, di presentare un disegno di legge sul conflitto di interessi in un paese nel quale già esiste, da più di  un trentennio, un duopolio tra la tv pubblica e quella commerciale e c’è un imprenditore, già quattro volte presidente del Consiglio nella repubblica, che controlla un complesso impressionante di media che include canali televisivi, quotidiani e settimanali, per non parlare degli imponenti incassi pubblicitari delle sue grandi aziende mediatiche.

L’interrogativo di fondo in simili circostanze è che, una volta compiuta una comparazione complessiva con le esperienze di altri paesi di tutto il mondo (per cui resta fondamentale il libro scritto da Stefano Passigli e pubblicato da Ponte alle Grazie nel 2001 (Democrazia e conflitto di interessi. Il caso italiano), il problema diventa più chiaro e la scelta efficace resta quella tra la vendita dei beni da parte di chi è soggetto principale del conflitto di interessi e la realizzazione di un blind trust che renda impossibile il controllo di quei beni da parte del soggetto di cui sopra.

Le vicende politiche italiane del “ventennio populista” da cui, a mio avviso, non siamo ancora usciti, ha visto un serio tentativo che unifica proposte precedenti dei senatori Pasquino e Passigli nell’agosto-ottobre 1994. Scrive Passigli nel suo libro: “La proposta che riguardava il presidente del Consiglio, i ministri e i sottosegretari di Stato, si poneva l’obbiettivo di adeguare la normativa italiana a quella di altre grandi democrazie europee e occidentali che avevano ormai da tempo adottato norme stringenti in materia di incompatibilità e di conflitto di interessi. Il suo principio ispiratore era fondato sulla convinzione che si dovesse intervenire non solo sulla gestione delle aziende ma anche sulla loro proprietà. La proposta prevedeva che i membri del governo comunicassero alla Consob la consistenza del loro patrimonio e che nel caso di società appartenenti a settori strategici come la difesa, le telecomunicazioni, i media, il credito, le azioni possedute fossero alienate entro 120 giorni dalla nomina.” Ma furono le vicende politiche successive, nella XIII Legislatura, quando si decise di regolamentare il conflitto di interessi nell’ambito della Commissione Bicamerale Berlusconi-D’Alema (posizione sostenuta dalla maggioranza della coalizione e non solo dall’allora segretario del PD), che si arrivà alla legge Frattini, uno degli uomini di Forza Italia, allora più vicini al Cavaliere. Quella proposta prevedeva un bonus fiscale grazie al quale, in caso di vendita delle sue aziende, l’imprenditore di Arcore avrebbe usufruito di un risparmio di circa 7500 miliardi di lire. La proposta fu approvata all’unanimità alla Camera con una sola astensione ma al Senato il relatore Passigli riuscì a fermarla per i successivi due anni ma il centro sinistra eliminò il bonus fiscale, ma non riuscì ad approvare una legge degna di questo norme. E così sarebbe avvenuto nelle legislature che ne sono seguite.

La storia dimostra ancora una volta due cose che oggi varrebbe la pena tener presenti: 1) che Berlusconi ha molti alleati, più o meno invisibili, o meglio persone che difendono i suoi privilegi perché sono, o potranno essere, ancora loro investiti da conflitti di interessi; 2) che, se non migliora l’etica pubblica delle classi dirigenti, non riusciremo mai a varare una legge davvero efficace su una materia centrale di questi tempi moderni.


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