Per cattolici in politica non solo credenti, ma anche credibili

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Il giudice Antonino Caponnetto, successore di Rocco Chinnici come prefetto di Palermo, creatore e coordinatore del pool antimafia che giurò sulla bara del suo collaboratore Paolo Borsellino che finché avrebbe avuto fiato, avrebbe continuato a testimoniare nelle piazze e nelle scuole il valore della legalità, in un discorso tenuto al corso di formazione per giovani, a Milano il 6 Marzo 1996, parlava così dell’impegno politico: “Non solo come cittadini abbiamo il dovere di impegnarci in politica, ma anche come cristiani, per questa competizione alta e nobile, come diceva Paolo VI. […] c’è la politica dei corrotti, dei disonesti e degli affaristi e la politica di chi si dedica al bene comune. Dobbiamo sentire il dovere di impegnarci: per ogni persona onesta, per ognuno di voi che si ritiri o rifugga l’impegno politico ci saranno alle sue spalle due, tre, quattro persone disoneste pronte a prendere il suo posto alle urne, se noi diserteremo”. Ecco, dunque, tutto il valore dell’impegno politico, a partire dal suo atto base, ma ormai nient’affatto scontato, che è recarsi a votare.
Ma lo specifico cristiano? In questo periodo in cui si tende tanto ad identificarsi politicamente in base alle proprie identità per parlare al proprio elettorato, in cui è tanto importante professare qualche cosa, scandire lo slogan giusto, proclamare qualcosa, anche un insulto razzista contro un ministro della Repubblica, pur di dire qualcosa, ci aiutano queste parole del giudice Rosario Livatino: “Alla fine non ci verrà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili”. Cosa vuol dire essere credibili? Essere credibili è un lavoro costante, presume fedeltà alle proprie idee e valori e non alle mode del momento, altro problema per essere credibili non si può scegliere una sola parte o un solo slogan, essere credibili è uno stile di vita: come si può affermare in Parlamento una visione cristiana della vita se poi si scacciano il debole che ci chiede una parola buona e il povero che ci chiede un soldo in metro?

Ma allo stesso tempo, come si può essere credenti senza essere credibili? Non si diventa servitori di un vuoto vessillo?

Alcide De Gasperi scriveva nell’agosto del 1954: “Quello che ci dobbiamo soprattutto trasmettere l’un l’altro è il senso del servizio al prossimo, come ce lo ha indicato il Signore, tradotto e attuato nelle forme più larghe della solidarietà umana, senza menar vanto  dell’ispirazione profonda che ci muove e in modo che l’eloquenza dei fatti tradisca la fonte del nostro umanitarismo e della nostra socialità”.
In bocca ad un politico cristiano non credibile i valori si svuotano e diventano solo bandiera di una parte, ma le bandiere ingrigiscono.

Lo descrive bene Pasolini nel suo “Le ceneri di Gramsci” quando si riferisce ai suoi compagni di partito (comunisti) così “… vi siete assuefatti / voi, servi della giustizia, / leve della speranza, ai necessari atti / che umiliano il cuore e la coscienza. / Al voluto tacere, al calcolato parlare, / al denigrare senza odio, all’esaltare senza amore; / alla brutalità della prudenza / e all’ipocrisia del clamore. / Avete, accecati fari, servito / il popolo non nel suo cuore / ma nella bandiera: dimentichi / che deve in ogni istituzione sanguinare, perché non torni mito, / continuo il dolore della creazione”.
Se le cose non diventano vita muoiono, sopravvivono scheletri di regole, utili a dire quello che non si deve fare ed a condannare gli altri e salvare se stessi. Come fa Giona che, quando gli abitanti di Ninive si convertono e il Signore li salva, si sdegna perché quanto aveva profetizzato non avvererà e perché la città non verrà distrutta e la sua fama è a rischio più che gioire per la salvezza di tanti. Giona non sente un destino comune fra se e gli abitanti di Ninive, tanti politici non sentono un destino comune fra se e il proprio Paese, e così condannano alcuni per salvare gli altri. Vi sono politici che condannano intere categorie: stranieri, zingari, ma anche industriali o uomini di borsa, tutti, senza remissione, senza pensare che qualcuna di queste persone possa convertirsi. A volte, come Ninive, sono condannate intere città: penso a città guardate male, pregiudizialmente come patria della criminalità, ad esempio Napoli, ma anche alla stessa Roma, culla della politica, additata come ladrona. Città condannate in toto, come pezzi di territorio e non come pezzi di società o insieme di persone; di fronte a questo, i politici cattolici dovrebbero farsi intercessori come Abramo.

Anche Abramo sceglie una categoria, ma quella categoria quella dei “giusti” , non serve per salvare chi vi appartiene condannando tutti gli altri uomini, ma per salvare, grazie a loro, anche tutti gli altri. Questo dovrebbe essere lo sguardo che il politico cristiano-cattolico posa sul mondo, quello di chi cerca anche fra coloro che sbagliano una bene da salvare, da valorizzare, su cui far leva per cancellare il male che ha intorno.

Inoltre, come Abramo, non dovrebbe porsi fra i giusti, ma vedersi come un peccatore a sua volta. Il politico cattolico dovrebbe avere uno sguardo pieno di fiducia sugli altri, siano essi nemici o compagni di partito o cittadini, alla ricerca dei talenti nascosti che possono essere valorizzati. I giusti non sono eletti o pochi o persone straordinarie, “i Giusti” assomigliano a quelli di questa poesia del poeta argentino Jorge Luisa Borges, intitolata appunto “I Giusti”, sicura che chiunque ne conosce qualcuno. La poesia fa così:

Un uomo che coltiva il suo giardino

come voleva Voltaire

chi é contento che sulla terra esista la musica

chi scopre con piacere una etimologia

due impiegati che in un caffè del Sur giocano

in silenzio agli scacchi

il ceramista che premedita un colore ed una forma

il tipografo che compone bene questa pagina che forse

non gli piace

una donna ed un uomo che leggono le terzine finali di

un certo canto

chi accarezza un animale addormentato

chi giustifica o vuole giustificare un male che gli

hanno fatto

chi é contento che sulla terra ci sia Stevenson

chi preferisce che abbiano ragione gli altri

tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.


I Giusti di Borges sono persone semplici, ma amano il loro lavoro, il ceramista o il tipografo, apprezzano e gioiscono di beni di cui possono godere tutti, Stevenson o la musica, condividono atti gratuiti: il gioco degli scacchi, la lettura di una terzina, e guardano gli altri con fraternità. Preferiscono che abbiano ragione e li giustificano anche se fanno loro del male.

Questo modo di guardare gli altri, l’atteggiamento di giustificazione degli altri, richiamano strettamente quanto detto sopra, ma c’è di più nei giusti di Borges: in primis, nessuno di loro fa un atto appariscente o rumoroso; in ultimo, si ignorano. Quante volte si sbandiera in politica quello che si fa o peggio ciò che non si fa? Quante volte si accontentano solo le richieste dei gruppi più rumorosi, prepotenti o più vicini alla propria fazione e non si accetta che anche in altri gruppi o partiti possa risiedere della ragione ?

Un’altra cosa hanno in comune quasi tutti i Giusti di Borges, tranne il primo che coltiva il suo giardino: condividono qualcosa o fanno cose che avranno comunque come destinatari gli altri, non tengono per sé. Anche l’atto creativo del ceramista o del tipografo ha come fine rendere visibile ciò che non lo era. E qui torniamo alla testimonianza del magistrato Antonino Caponnetto con cui ho aperto: cuore della politica e dell’essere giusti è il senso di un destino o meglio di un bene comune che la “Gaudium et Spes” poneva come limite all’azione dei partiti: “I partiti devono promuovere ciò che a loro parere è richiesto dal bene comune, mai, però, è lecito anteporre il proprio interesse al bene comune”. (Gaudium et Spes, 75). Servizio agli altri, credibilità, intercessione, bene comune e fiducia, come quella del buon seminatore che butta il seme sui terreni fecondi e non fecondi, sicuri che qualcosa rimarrà.


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