La mafia è sempre più forte ma Berlusconi affonda

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Mentre in Sicilia – secondo notizie  impossibili da smentire – si svolge una campagna martellante   dell’associazione mafiosa primogenita per così dire-quella siciliana-che minaccia di uccidere un altro commerciante refrattario al racket, come fu Libero Grassi già nel 1991(e i segni, secondo il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari intervistato ieri a Chianciano Terme, non sono equivocabili giacchè si succedono, una dopo l’altra,  le minacce e le intimidazioni a chi è impegnato sul fronte della legalità), i saggi scelti in parte dal Capo dello Stato e in parte dal presidente del Consiglio,sempre più preoccupato sia per le voci insistenti su un gruppo di senatori del PDl tra i quali Gibbino,Torrisi e Pagani che sarebbero pronti a non seguire Berlusconi se decidesse di “staccare la spina”. A loro volta  i “falchi” della nuova Forza Italia,tra i quali sono in prima fila Verdini  e l’ex radicale Capezzone, metterebbero da parte Alfano e spingerebbero l’uomo di Arcore,vorrebbero le dimissioni dei ministri berlusconiani dal governo e le elezioni immediate. E’ difficile immaginare una situazione più complicata e difficile di quella che si sta determinando per le spinte differenti, e spesso legate a questioni di correnti o di piccoli gruppi, concorrenti l’uno con l’altro, all’interno dei tre gruppi distinti che occupano l’attuale parlamento.

Se a questo si aggiunge che,secondo voci insistenti, l’imprenditore di Arcore,forse anche perché – tra i leader attuali- è, a suo modo, è  esperto più degli altri nel campo  della  comunicazione, in generale, e di quella televisiva in particolare, sarà fino all’ultimo della lunga procedura per la decadenza dall’incarico di parlamentare incerto su che fare e si riserverà la carta delle dimissioni un minuto prima del voto e perché, a sua volta,il Partito Democratico dopo l’incredibile votazione di qualche mese fa che portò a un numero spropositato di 101 franchi tiratori sul nome di Romano Prodi per la presidenza della repubblica,si trova in notevole difficoltà. Non è facile, infatti, controllare il voto segreto e sembra abbastanza improbabile  che partiti alleati ma molto lontani tra loro come il PD, Sel e i grillini, si mettano d’accordo per approvare in quattro e quattrotto una legge di modifica del regolamento di votazione al Senato. Ma questo significa di nuovo che, di fronte al voto sull’uomo di Arcore su cui pure esiste l’accordo astratto di tutti i parlamentari dei tre partiti-si scarichino gli scontri personali o di minicorrenti che hanno caratterizzato qualche mese fa le votazioni sulla presidenza della repubblica e hanno condotto i deputati e i senatori democratici a votare più di cento in modo tale da affondare la candidatura dei uno dei padri del partito democratico.

Certo il partito democratico, che resta il fondamento della coalizione di centro-sinistra anche perché è l’unica formazione presente in parlamento che non ha i caratteri dei partiti personalistici e populisti presenti in parlamento,si troverebbe in una grave difficoltà di fronte ai propri elettori se,sia pure con un’indubbia lentezza,non si arrivasse tra una quindicina di giorni alla votazione della commissione sulla decadenza di Berlusconi dal Senato.

Basta in queste settimane girare l’Italia,come mi è capitato nei giorni scorsi e parlare con persone che pure non si occupano della politica italiana, per rendersi conto che ormai una parte ampiamente maggioritaria ritiene che la legge debba essere osservata e che il Cavaliere debba scontare la pena che la Cassazione ha deciso nei suoi confronti. Questo non significa che Berlusconi non possa guidare Forza Italia fuori dal parlamento come ha già fatto Grillo negli ultimi mesi. Certo la sentenza della Corte di Cassazione di ieri che ha respinto il ricorso della Fininvest e confermato il risarcimento alla CIR di De Benedetti per 542 milioni di euro a proposito del lodo Mondadori non rende le cose più facili all’imprenditore lombardo. Ma la partita che si gioca in queste settimane ha una certa influenza su una larga opinione pubblica del paese che dopo vent’anni di trionfo del populismo vorrebbe finalmente voltare pagina. Non ci sembra troppo, a dire il vero.


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