Disabilità e sessualità. L’amore secondo Enea

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È difficile parlare di disabilità senza cadere nella rete dei discorsi usurati dalla retorica delle parole svuotate di quel senso che fa di un già detto qualcosa che è ancora da dire. Se poi, volendo oltrepassare gli angusti confini del linguaggio ordinario, si fa la fatica di cercare le parole che sappiano rappresentare le componenti essenziali della persona quali la corporeità, l’erotismo, la sessualità, l’amore, allora il rischio di restare incagliati nelle Secche della superficialità o di sprofondare nel fango della morbosità diventa incombente ad ogni istante. Questo ambito della riflessione, quello dell’identità sessuata, ci mette a confronto con un pensiero comune che pretende di disconoscere nel disabile la dimensione affettivo-sessuale. Questo perché il riconoscimento della sessualità, in quanto inerente all’essere stesso dell’uomo, implica il pensare l’altro come altro da sé e contemporaneamente come reciprocità praticabile.

Ancora oggi, in piena postmodernità, è possibile sperimentare su questi temi un complesso intreccio di pregiudizi basati sulla diversità corporea, che finisce per confinare ai margini di qualunque ragionamento l’orizzonte sessuale del disabile, considerato dalla cecità storica della società privo d’identità di genere e di conseguenza soggetto incapace di dare e ricevere piacere. In assenza di un dibattito pubblico volto ad incidere sull’immaginario comune, occorrerebbe riflettere sulle modalità di esposizione della disabilità sui mass media, esposizione che si dà nei termini di un eccesso di discorsività priva però di sostanza e inserita all’interno di un quadro di riferimento al cui centro l’esibizione del corpo corrispondente ai canoni estetici dominanti diviene il solo elemento di s’oggettivazione. Di fronte al vuoto che caratterizza tutto il sistema mediatico e televisivo, il documentario intitolato ” L’amore secondo Enea” ( The special need) di Carlo Zoratti, andato in onda su Rai tre lo scorso 12 Settembre nell’ambito della bellissima serie Doc 3, rappresenta un raro esempio di grazia e di leggerezza, perfetta dimostrazione di come sia possibile parlare di disabilità e sessualità senza scivolare nel pietistico o nel morboso.

Presentato al festival di Locarno, il film racconta la storia di Enea, 29 anni, autistico, che non ha mai avuto un rapporto sessuale malgrado lo desideri molto.

In realtà, ciò che Enea vuole più di ogni altra cosa è conoscere una donna con la quale costruire una vera relazione d’amore. Data l’inevitabile difficoltà ad incontrare ragazze disposte ad avere un rapporto con lui, gli amici Alex e Carlo decidono di aiutarlo. Inizia così un lungo viaggio d’iniziazione all’amore, fatto di momenti divertenti e pieni di tenerezza, di sconfitte e di piccole vittorie.

Dopo il primo tentativo fallito di far incontrare Enea con una prostituta, Alex e Carlo si rivolgono a Pia Crove e Carla Corso, storiche fondatrici del movimento di difesa dei diritti delle prostitute, le quali spiegano loro che, secondo la legge italiana, cercare una ragazza a pagamento per Enea può configurare il reato di favoreggiamento alla prostituzione. A bordo di un furgone, i tre amici partono per l’Austria dove, contattate le prostitute di un bordello, sperano di portare finalmente a compimento il loro progetto. Purtroppo, anche questa idea si rivela fallimentare e i tre si rimettono di nuovo in viaggio, questa volta diretti in Germania dove esistono dei centri di aiuto alla vita affettiva e sessuale dei disabili. Si tratta di luoghi in cui specifiche figure professionali,, i cosiddetti assistenti sessuali, si offrono di accompagnare il disabile nel suo percorso d’amore attraverso tutta una serie di atti che vannodall’ascolto alle prestazioni più prettamente sessuali, al fine di soddisfare le esigenze della persona nella sua totalità. Enea viene accolto con gioia da Ute che s’incarica di fargli finalmente provare quel piacere da così tanto tempo inseguito. Questo piccolo capolavoro colpisce per la forza dirompente del problema che affronta e, nello stesso tempo, per la disinvoltura e delicatezza con cui parla di sentimenti e di sesso, ma anche perché mette al centro della ribalta un corporeo non più reso oggetto di uno sguardo negativo, che esclude dal suo orizzonte il non bianco, il non bello, il non sano, il non produttivo. Per una volta, il che accade sempre più di rado, la televisione si è fatta medium di una riflessione molto feconda riguardante la cultura della differenza quale unica via percorribile e capace di accogliere in sé l’idea della diversità dell’altro come forma della sua stessa identità.

In questa prospettiva, s’impone il superamento della categoria di ” disabile” in quanto correlativa ad una concezione della diversità fisica e psichica sul piano puramente corporeo, a favore di un pensiero critico che non concepisca più l’handicap come patologia, ma che, ragionando sul presente e precedendo i movimenti sociali e politici, contribuisca a liberare le potenzialità, spesso represse, degli uomini e delle donne con disabilità.


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