La persecuzione dei giornalisti kazaki e il rimpatrio di Alma, blitz dai contorni opachi

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Un giornalista kazako, Alexander Kharlamov, sta in carcere da quattro mesi in attesa di processo: rischia una condanna a sette anni. Sessant’anni, ha un blog molto critico nei confronti delle autorità locali e del sistema giudiziario nella sua città natale, Ridder. Collabora su alcuni giornali e ha anche scritto due libri online. L’accusa è di incitamento all’odio, secondo l’articolo 164 del codice penale. In realtà sta battendosi per la promozione di una nuova corrente religiosa che secondo il governo “potrebbero provocare odio e conflitti tra le persone”. A marzo è stato prelavato a casa dalla polizia senza un mandato e condotto in un istituto psichiatrico. Da lì, dopo qualche giorno, in prigione. Di fatto in Kazakistan la libertà religiosa non esiste. Tutti i volumi di letteratura religiosa, anche quelli importati, sono sottoposti al controllo degli ispettori statali. Sergei Duvanov, un giornalista indipendente, ha dichiarato che in Kazakistan, è ormai rischioso esprimere la propria opinione, su tutto. Non a caso, Reporter senza frontiere, ha classificato il Paese al 160.posto nella classifica della libertà di stampa su 179.

I casi sono numerosi. C’è il processo farsa per il tentato omicidio di un cronista,  Lukpan Akhmedyarov, colpito da numerose coltellate. Alla sbarra continuano ad essere messi i quattro esecutori, evitando di cercare i mandanti. Ma Akhmedyarov, insignito l’anno scorso di un premio per il giornalismo coraggioso, era notoriamente all’opposizione del governo. Poi c’è la strana sparizione di Tokbergen Abiyev, dopo aver annunciato una conferenza stampa per denunciare la corruzione dilagante. Era già stato in carcere tre anni per aver dato una tangente a un poliziotto in cambio di informazioni. Un’altra collega, Oralgaisha Omarshanova, è stata rapita nel 2007  e  mai ritrovata. Inoltre da annotare un altro tentato omicidio, quello di Ularbek Baitailak .

Nell’ultimo anno c’è stato un aumento considerevole della persecuzione di giornalisti indipendenti, culminata nel recente divieto di pubblicazione dei principali media di opposizione, banditi secondo il procuratore generale come “estremisti”. Il risultato di un uso scandaloso del sistema giudiziario kazako ridotto a uno strumento di repressione. I tribunali non cercano nemmeno più di mantenere le apparenze, violando i diritti della difesa, tenendo udienze sommarie e senza procedure. Un tribunale della capitale ha emesso un’ordinanza che vieta le otto diverse versioni che il quotidiano Respublika era stato costretto a creare nel corso del tempo al fine di evitare le conseguenze di azioni legali. Il divieto vale anche per i 23 siti web e account di social network on-line che hanno ospitato i contenuti di questi giornali . L’ordine è stato l’ultimo di una serie di divieti sui media dell’opposizione nazionali rilasciati nelle ultime settimane. Bloccati la Tv Stan,  la Tv satellitare Stazione K e il giornale Vzglyad. Un altro sito di notizie, Guljan.org, è stato sospeso per tre mesi, e il suo editore, Guljan Yergaliyeva, ha cercato di lanciare un giornale chiamato ADAM Reader, ma è stato bloccato.

Non è finita. Il tribunale si è interessato anche a una raccolta di racconti, con una tiratura di 99 copie, pubblicato con il titolo Ne Vzglyad (“Questo non è Vzglyad “). Secondo la legge kazaka, una pubblicazione che consente di stampare meno di 100 copie non ha bisogno di registrarsi presso le autorità. Tuttavia, la maggior parte delle copie di Ne Vzglyad sono state sequestrate dalla polizia, quando era ancora in vendita in strada. Allo stesso modo, la 30 edizione del giornale di opposizione Azat , che ristampa alcune storie da Golos Respubliki , è stato ritirato dalla vendita.
La persecuzione dei media indipendenti e la polarizzazione del sistema giudiziario , sono solo alcuni segni del pantano ultra-autoritario in cui il Kazakistan sta affondando. Con grande enfasi, il Paese ha celebrato la “Giornata del Primo Presidente” mentre i pubblici ministeri, nel frattempo, hanno cercato di accusare la stampa di sostenere le rivolte, fomentando l’odio sociale e minando la sicurezza dello Stato.

Non sono dunque infondati, in conclusione, i timori di Mukhtar Ablyazov, marito di Alma Shalabayeva, rimpatriata in Kazakistan da Roma assieme a sua figlia di 6 anni, con un blitz dai contorni opachi. Il regime di Nazarbayev, stando ai rapporti di Amnesty International, non rispetta gli standard internazionali di garanzia dei diritti umani. Non soltanto la quasi inesistente libertà di stampa. Ma anche arresti illegali, detenzioni non registrate e addirittura la tortura come riportato in un dossier dell’Onu.


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