In provincia di Trapani il potere della mafia imprenditrice

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di Rino Giacalone

In arrivo a Marsala i giovani dell’associazione Libera  per l’annuale raduno nazionale //Gaspare Giacalone è il sindaco di Petrosino, un piccolo “paesello” che negli anni ’80 ha conquistato la sua autonomia dalla più famosa Marsala. Oggi Petrosino pare sia suo malgrado a subissare dal punto di vista della notorietà la “vicina” Marsala. Questo perché una multinazionale europea, che però avrebbe i giusti amici in terra siciliana, la Bbc Power e Tre – Tozzi Renewable Energy , vuole “riempire” il panorama sul mare di Petrosino di una infinita serie di pale eoliche. Se il progetto andrà avanti, se il parco eolico verrà realizzato, di Petrosino si parlerà come del primo paesello di Sicilia che avrà nuovamente una sua muraglia, una bella protezione dagli attacchi che dal mare possono giungere dai pirati.

Certo magari le barche dei pescatori perderanno una zona di secca appena sotto costa, per i bagnanti andare al mare non sarà cosa facile, pensate poi quelle foto che serviranno ad invitare i turisti ad arrivare a Petrosino, non c’è dubbio lo scenario in mare che da qualunque parte verrà visto mostrerà le pale eoliche perfettamente allineate sarà un grazioso motivo…per magari cambiare destinazione. Dicevamo di Gaspare Giacalone, sindaco di Petrosino. Tornato dall’Inghilterra, dove lavorava nel cuore della city finanziaria, apposta per venire a fare il sindaco del suo paese, la sera del 19 luglio scorso ricordando Paolo Borsellino e gli agenti di scorta del magistrato, morti 21 anni addietro nella strage mafiosa di via D’Amelio a Palermo, suo malgrado ha dovuto ricordare che il territorio che amministra, anche questo sporcato dal sangue di tanti morti ammazzati dalla mafia, oggi fa i conti con un nuovo assalto, quello di una imprenditoria che è senza scrupoli.

Spregiudicata, “mafiosa” non nel senso dell’appartenenza che non c’è, non emerge da alcuna parte, ma perché finisce con l’intaccare la bellezza della nostra terra, quella bellezza che Borsellino spesso citava: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compresso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Il sindaco Giacalone e la sua “squadra” ha deciso di dare movimento e azione alla rivoluzione culturale e morale, per difendere il territorio dalle pale eoliche e quindi nello stesso tempo avvertire la nuova mafia, quella della grande holding imprenditoriale del latitante Matteo Messina Denaro, che nel territorio petrosileno troverà precisi avversari. Il lavoro è difficile e lo dice lo stesso sindaco Giacalone aprendo la serata dedicata al 19 luglio 1992. “Mi rendo conto oggi che a 21 anni dalle stragi tanti miei colleghi sindaci non vogliono più parlare di mafia…”.

Questa è la realtà della provincia di Trapani dove tranne nelle giornate dedicate alle ricorrenze tragiche di mafia se ne parla pochissimo anzi non se ne deve parlare, perché, per esempio, come ha detto il sindaco di Trapani, Vito Damiano, “la cosa può spaventare gli studenti”, o come ha detto anche il sindaco di Castelvetrano, Felice Errante, “Matteo Messina Denaro non è il primo dei problemi”, e se guardiamo al passato troviamo addirittura il sindaco di Campobello di Mazara, Ciro Caravà, che inaugurava i beni confiscati tornati al riuso sociale e dopo si scusava con i mafiosi per quelle sue partecipazioni.

Accade anche che di mafia se ne possa parlare per fare passerella, concedendo patrocini a grandi e piccole manifestazioni e poi comportarsi con la stampa come si comportano i sindaci che sostengono che la mafia esiste perché c’è l’antimafia, ossia portando avanti querele “intimidatrici” come ha fatto il sindaco di Marsala Giulia Adamo: intimidazioni in nome della legge si è detto ieri e si ripete oggi. A Petrosino il ricordo di Paolo Borsellino non è stato fatto secondo desideri di fare passerella e lo si è capito l’indomani mattina quando la strada di accesso ad uno dei litorali strappato dall’amministrazione alla speculazione è stata trovata ostruita da grandi massi. Non ci sono azioni del genere se l’azione politica contro il malfare è fatta solo di parole.

Il giorno dei funerali in Cattedrale a Palermo degli agenti della scorta di Borsellino straziati dal titolo della mafia, forte fu la reazione dei poliziotti che rivolti al Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, gridarono la loro richiesta, “fuori la mafia dallo Stato”. Oggi si stanno facendo le indagini, si stanno cominciando a celebrare processi, perché tra mafia e Stato ci sarebbe stata una trattativa, perché le stragi del 92 e del 93 non furono solo azioni mafiose. Ventuno anni addietro quei poliziotti dissero chiaramente che mafia e Stato stavano insieme, hanno dovuto attendere 21 anni per ricevere una prima attenzione. Ma quel grido attende anche un’altra risposta alla domanda se oggi “la mafia è fuori dallo Stato”. Che non è così ce lo dicono i giovani che non hanno conosciuto il periodo delle stragi, la stagione dei lenzuoli bianchi di Palermo, un sondaggio recente ci ha detto che gli studenti ritengono invincibile la mafia proprio a causa delle collusioni.

Un risultato davanti al quale ci sono stati politici, amministratori che hanno mostrato parole increduli, sgomente, frasi scandalizzate…Dimenticando che in questi 21 anni in Parlamento, a Roma e a Palermo, sono stati seduti uomini mafiosi o collusi con la mafia, in Sicilia oggi nella commissione antimafia regionale c’è addirittura un politico che fu socio dei Messina Denaro, siamo stati governati da politici che incontravano la mafia nei retrobottega dei negozi, politici sotto processo invece di fermarsi hanno preteso di fare carriera. Se nel ricordo di chi è morto per fare il proprio dovere non inseriamo queste amare considerazioni ovviamente alla fine si fa solo passerella. “La mafia oggi è ancora dentro lo Stato” e ce lo dicono magistrati, investigatori, dirigenti di Polizia: “Ieri i servitori dello Stato venivano uccisi se davano fastidio oggi vengono trasferiti”. Ieri si applaudiva dinanzi alle bare che uscivano dalle chiese oggi si applaude alla notizia del magistrato e poliziotto trasferito, “promoveatur ut amoveatur”, e tanti sono contenti, magari lo Stato, il Governo, il ministro dell’Interno ci verranno a dire che tutto si fa per combattere meglio le mafie.

Tante bugie. In questi giorni di ricorrenza avremmo per esempio sentire qualcuno che ci venisse a dire cosa si sta facendo per mettere fine alla latitanza di Matteo Messina Denaro, il sanguinario assassino che ha disseminato morti dal sud al nord del Paese. Abbiamo ascoltato la voce di un procuratore della Repubblica, Francesco Messineo, che al Csm, e quindi non alle piazze piene di gente, si è dovuto giustificare ed ha detto che non ci sono stati mai concreti elementi per catturare Matteo Messina Denaro, A Trapani i poliziotti dell’allora capo della Mobile Giuseppe Linares un paio di anni addietro potevano essere ad un passo della cattura di Messina Denaro, “sono stati fermati”, il Viminale decise di cambiare strategia. A Messineo, procuratore della Repubblica,  questo particolare deve essere sfuggito.

Ventuno anni dopo quella mafia che doveva essere cacciata dallo Stato si è infiltrata ancora meglio. E i giornalisti che alzano il livello della denuncia, raccontando fatti di cronaca, se non vengono querelati si sentono dire di essere solo dei parolai. Si accade anche questo. Abbiamo ascoltato il sindaco di Castelvetrano Errante dire così, pensarla in questa maniera, dimenticando che usando le parole tanti giornalisti sono morti ammazzati, ed altri oggi si trovano posti all’indice un giorno si e l’altro pure. In questi giorni di ricorrenza abbiamo sentito anche il presidente dell’antimafia regionale Musumeci prendersela con la società civile che non sa essere abbastanza civile perché elegge impresentabili.

Dimenticando però che ci sono pezzi di società civile che da otto anni attendono che il prefetto Fulvio Sodano diventi cittadino onorario di Trapani e la politica continua a girare lo sguardo dall’altra parte. Come ha spiegato il giudice Massimo Corleo ,oggi la società civile ha fatto passi avanti non ha raggiunto però la sufficienza, “è come uno studente che prendeva 2 e che oggi prende 5, non possiamo non apprezzare l’imepgno che è stato messo”. Il giudice Corleo è  uno che ha cominciato a lavorare facendo il poliziotto lavorando a stretto contatto con Rino Germanà, l’investigatore che Messina Denaro, Bagarella e Graviano volevano uccidere e non ci riuscirono, ma l’opera la completò il Governo e il ministro dell’Interno dell’epoca, era sempre il 1992, Nicola Mancino, che lo mandarono lontano dalla Sicilia e dalle indagini antimafia, dando indiretto ascolto alla mafia che non voleva più quel poliziotto tra i piedi.

Corleo poi si è ritrovato a fare l’uditore a Palermo, ha visto l’allegria nel volto di Borsellino mentre faceva le indagini e il dolore dopo l’uccisione di Falcone quando sentiva addosso a se il pericolo. “Oggi la mafia non sta perdendo” dice il giudice Massimo Corleo “perché non è più un fenomeno criminale”. La mafia si è trasformata, fa impresa, gestisce il governo delle città. “Ma dobbiamo coltivare la speranza – ha osservato il giudice Corleo – bisogna lavorare con la speranza di farcela ogni giorno, ai giudici però non serve avere il tifo, serve la collaborazione della gente, la collaborazione vera, noi garantiamo che i nostri Palazzi di Giustizia non sono più i porti delle nebbie che potevano essere una volta”. Ventuno anni dopo le stragi il giudice Corleo ha ben chiaro cosa andrebbe fatto subito, “cancellare la prescrizione dal nostro codice”.

La prescrizione non riguarda la mafia criminale, quella che uccide, ma oggi che la mafia non uccide più, e per questo qualcuno dice che è sommersa, qualcun altro azzarda alla sua fine, la  prescrizione aiuta la mafia di oggi che c’è ed è ben presente, è infiltrata ovunque, è la mafia che corrompe e fa gli intrallazzi e questi reati sono quelli che già all’indomani dall’essere scoperti sono già a rischio prescrizione. Fuori la mafia dallo Stato dunque, oggi questo grido deve essere più forte, Libera nei prossimi giorni a Marsala dovrà essere capace di convincere i giovani a fare proprio quell’urlo dei poliziotti alzatosi 21 anni addietro nella Cattedrale di Palermo.

Fuori la mafia dallo Stato, e se il 19 luglio 2014 il ricordo lo  si farà con Matteo Messina Denaro non più latitante ma consegnato alle patrie galere significherà che alla mafia si saranno fatti fare i passi per uscirei dalle stanze del potere e che il potere non è più roba dei criminali ma come giusto cosa della gente. Il “potere alla gente” non deve essere solo uno slogan ma  l’obiettivo. Come a Petrosino in questi giorni ha detto un sindaco serio e capace come Gaspare Giacalone, “il potere non è nostro, non è dei sindaci, è solo della gente”.

da liberainformazione.org


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