Social network: torna la tentazione del bavaglio

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Le minacce a Laura Boldrini, gli insulti a Enrico Mentana e altre offese hanno riacceso la voglia di controllare di più questi media. Pareri a confronto

ROMA – Nei giorni scorsi la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha richiamato l’attenzione sull’opportunità di creare nel web nuove forme di controllo per limitare i contenuti minacciosi, oltraggiosi, offensivi, razzisti che circolano in particolare nei social network, spesso in forma anonima, da Facebook a Twitter. Boldrini lo ha detto rendendo noto di avere  ricevuto un numero impressionante di offese e minacce.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il fotomontaggio oltraggioso che ritrae una donna nuda falsamente identificata con lei, immagine pubblicata su Facebook dal giornalista simpatizzante di Forza Nuova, Antonio Mattia e rimbalzata all’infinito. In questo caso, l’autore ha agito a viso aperto e perciò è stato identificato, denunciato ed ora è indagato. Ciò ha fatto nascere la richiesta che chiunque scrive qualcosa su un social network sia identificabile dalle autorità e punibile. Ma questo non toglierebbe alla rete quella leggerezza da piazza in cui ognuno può dire la sua senza pretendere che gli altri siano d’accordo?

Mentre i vecchi fautori di controlli e bavagli da imporre ai blog o, tout court, a tutto il web forzavano le parole della Boldrini (che ha dovuto precisare il senso del suo allarme) il costituzionalista ed ex garante della privacy Stefano Rodotà ha riportato il dibattito entro i termini della legislazione generale spiegando che le norme invocate per evitare gli abusi più gravi già esistono e non a caso non vengono introdotte norme più stringenti. “Internet  – ha detto – non è un far west. Le leggi, che puniscono i reati virtuali allo stesso modo di quelli fisici, ci sono già. Bisogna solo farle rispettare”.

Dello stesso avviso è l’avvocato Guido Scorza, esperto della materia, che ha inviato una lettera aperta alla Boldrini dal suo blog sul “Fatto Quotidiano”: “Le leggi ci sono e disciplinano la pressoché totalità delle azioni umane on line. La verità – scrive l’avvocato – probabilmente è che quella che Lei definisce “anarchia del web”, è solo la Sua personale percezione di inadeguatezza delle leggi e del sistema investigativo e giudiziario esistente rispetto alla repressione di talune condotte illecite”.

A rinfocolare le polemiche è arrivata la decisione del direttore del Tg La7 Enrico Mentana di abbandonare Twitter, su cui era piuttosto attivo, dopo esser stato travolto da una marea di insulti mentre cercava di ragionare in rete proprio a proposito dell’opportunità di mantenere la possibilità di ‘messaggiare’ mantenendo l’anonimato. “Sono contrario a limitazioni o censure per legge”, ha tenuto a precisare il giornalista. “Resterei se ci fosse almeno un elementare principio d’uguaglianza: l’obbligo di usare la propria vera identità”.

Prima di Mentana, era stato travolto da mesaggi minacciosi ed offensivi di internauti il giornalista Marco Frittella, conduttore del Tg1, per avere, nel corso della campagna elettorale per le elezioni politiche, accusato su Twitter il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, di trattare gli operatori televisivi da “fascista”.

Questi episodi evidenziano la facilità con cui sul web è possibile passare dalla libertà di espressione a offese personali, minacce, intimidazioni, aggravate dall’anonimato. La quantità e la velocità con cui si condividono pensieri e informazioni sui social network rischia di minare l’etica della comunicazione scardinandone i principi fondanti: spesso si spacciano i pareri per notizie, o peggio si immettono notizie false e tendenziose, i commenti sono urlati e la dialettica anche aspra si può persino trasformare in sottrazione illecita dell’altrui identità. Il pericolo, come sottolinea Roberto Saviano, è che il diritto ai social network possa celare, dietro l’anonimato, una cultura della violenza. “Noi siamo ciò che diciamo – ha spiegato lo scrittore in un articolo su Repubblica l’11 maggio scorso – quindi il turpiloquio, l’insulto o l’aggressività costruiscono non una società più sincera, ma una società peggiore”.

L’informazione è a un punto di svolta epocale: il web ha consentito la diffusione di idee e notizie in tempo reale e ha contribuito notevolmente al cambiamento di intere società attraverso le rivolte come quella araba, ma l’eccesso di velocità, la superficialità e il mancato rispetto dei diritti dei cittadini rischia di essere l’ostacolo per la comprensione della realtà.

“In questa materia è illusorio (o autoritario) imporre limitazioni che non siano condivise dai forum internazionali. E’ semplicistico – afferma Alberto Spampinato – equiparare media molto diversi che svolgono funzioni diverse. I giornali on line somigliano ai giornali stampati e ai notiziari televisivi, ma non possono essere assoggettati alle stesse regole e alle stesse limitazioni. Ancor meno si possono assimilare blog e social network ai media tradizionali con la pretesa di applicare le stesse regole. Quando leggiamo i messaggi su un social network frequentato da  utenti con identità anonima dobbiamo avere lo stesso atteggiamento che assumiamo quando leggiamo le scritte anonime sui muri della città o nei gabinetti pubblici. Possiamo arrabbiarci, indignarci, offenderci. Possiamo chiedere di cancellare quelle più triviali, offensive o violente, ma non chiediamo di targare chi gira con un pennello o con una bomboletta di vernice spray. Il web deve essere libero veicolo del dissenso. Non possiamo pensare che ciò valga solo quando inneggiamo alle primavere arabe o difendiamo i dissidenti cinesi e non a casa nostra. Anche i rappresentanti pubblici  e i giornalisti più noti dovrebbero esser più tolleranti. Se frequentano il web, se vanno in quel mondo, devono mettere in conto che possono essere investiti da espressioni più o meno colorite di persone che urlano nascondendo il viso con una maschera. Devono ricordare che nel mondo virtuale anche le proteste sono virtual, nel bene e nel male”.

DEBRR – OSSIGENO  


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