La rete: censura o barbarie? Laura Boldrini insultata e minacciata via web

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Ci risiamo. È sempre così. Nei momenti di tensione rispunta sempre lo spettro del web. Da stella della “democrazia delle opinioni” Internet diventa all’improvviso la sentina di tutti i mali. Perché? Perché qualcuno la usa per dire quello che altri non vogliono sentire, tipo che Preiti non era un mostro e che l’odio verso la casta è una bomba ad orologeria, ma si dimentica che le offese del leghista Borghezio al ministro Kyenge hanno scatenato un’ondata di proteste proprio in rete, #iostoconCecileKyenge, e una petizione di solidarietà – proposta dal direttore di Articolo21 – che ha raccolto 50.000 adesioni.
Eppure. Eppure stavolta l’allarme viene da un un pulpito credibile, quello di Laura Boldrini che si è scagliata contro gli insulti razzisti e sessisti sul web. Problema reale e preoccupazione comprensibile la sua: donna, madre, attivista per i diritti civili e oggi Presidente della Camera dei deputati, fatta oggetto di odiose minacce e rozze invettive. Però. Però la soluzione non è quella che erano abituati a invocare i peggiori conservatori che nel passato hanno chiesto la censura della rete: ricordate D’Alia, Alfano e Pecorella? D’Alia voleva chiudere Facebook per l’insulto di un singolo, Alfano mettere il bavaglio ai blog amatoriali che non rettificano le notizie, Pecorella aumentare le pene per la diffamazione nei commenti online sulle piattaforme aperte. Sbagliavano obiettivo.
E ci auguriamo non lo sbaglino quelli su cui riponiamo tante speranze per un corretto esercizio delle proprie funzioni e il ripristino della dignità del Parlamento.
Da censurare sono i comportamenti dei singoli, non gli strumenti, non la rete. E l’anarchia per favore lasciatela agli anarchici, visto che il web anarchico non lo è, ma ha le sue regole e quelle del codice civile e penale: sono spesso gli utenti a farle rispettare e la polizia postale è sempre pronta a intervenire e, quando vuole, lo fa con diligenza e celerità. Come nel caso dei razzisti di Stormfront. E con facilità, visto che oggi l’anonimato in rete non è più tale e gli esagitati in genere non sono capaci di nascondersi tra le maglie di una rete che usano come un elettrodomestico di cui capiscono appena il funzionamento, a digiuno come sono di netiquette e strumenti di anonimizzazione e protezione della privacy.
E poi. Per contrastare il razzismo online e dei media esiste addirittura un ufficio che se ne occupa e si chiama Unar: fa analisi, raccoglie denunce e le inoltra alla polizia, ma soprattutto interviene a livello culturale. Quanti lo conoscono? Eppure è creatura di due ministri: Pari opportunità e Integrazione.
È dalla cultura e dall’educazione che si deve partire per costruire una società più aperta e tollerante, ed è un lavoro che va fatto in famiglia, nelle scuole e negli stadi. Ma pure in televisione e dentro il Parlamento. Anche su web, certo, ma senza censure e con la consapevolezza che è ormai lo specchio delle nostre società. Ed è inutile deformarlo.


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