Pd e 5 Stelle, un confronto in Parlamento

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Sono cominciate, da lontano, le manovre per arrivare a una soluzione concordata della crisi post-elettorale, che consenta a un parlamento senza maggioranza di inventarsene una, la meno lontana possibile dalle affinità, anche se non proprio elettive, dei partiti. Nella conferenza stampa di martedì pomeriggio, Bersani, “non vincitore ma primo”, come si è definito, ha detto con più chiarezza di quanta solesse usare la vecchia politica, le cose che proporrebbe se toccasse a lui di tentare la costituzione di un governo
. Un “governo di combattimento”, ha chiarito subito il leader del Pd, che affronti subito alcuni capitoli non rinviabili: moralità , lavoro, anticorruzione, riforma dei partiti e della politica, problema sociale (con cambiamento delle clausole europee e con impegno per il Mezzogiorno e per la ripresa produttiva). Ha anche aggiunto, per quanto riguarda i rapporti istituzionali, che le presidenze delle due camere potrebbero essere assegnate a due gruppi parlamentari di diverso colore, come in altri tempi quando di solito il Senato era presieduto da un democristiano e la Camera da comunista. Ed è parso chiaro dal contesto del discorso che si sia trattato di un’avance di dialogo all’ M5S, affinché concorra ad assumersi le sue responsabilità e non esca fuori della strada riformista con palingenesi di tipo forzista-leghista.

Il discorso bersaniano sembra dunque chiudere le porte tanto a un governo di cosiddetta unità nazionale, guidato da una personalità esterna, quanto a un accordo con Berlusconi per far fronte a una specie di invasione barbarica. Proprio a questo accordo aveva invece accennato in mattinata Berlusconi, né era mancata qualche voce, sia pure in sordina, che l’aveva presa per buona, proponendo un paradiso dorato (sul Colle?) per il cavaliere e un governo Bersani-Alfano. Articolo 21, pur giudicando una tale ipotesi di pura fantasia malata, ribadisce i suoi paletti. Come non accetteremo che Grillo continui in parlamento (con norme contro l’editoria e soppressione dell’Ordine dei giornalisti) gli oltraggi all’articolo 21 della Costituzione perpetrati in campagna elettorale; così non accetteremmo un’intesa col Pdl che escludesse il conflitto d’interesse, la lotta al duopolio televisivo, la legge anticorruzione (non la camomilla della ministra Severino), la guerra all’Europa, che noi vogliamo trasformare dall’attuale sudditanza in pace paritaria e costruttiva.

Dunque, niente inciuci Pd-Pdl, ma solo un passo verso i nuovi gruppi che entrano per la prima volta alla camera e al senato, affinché partecipino, col loro bagaglio di idee buone ma non di pregiudizi distruttivi, alle prime incombenze istituzionali (e cioè l’elezione dei vertici dello Stato); e poi concorrano a dare spunti programmatici condivisi al “governo di combattimento”.
Forse rinunciando a pregiudizi, risentimenti ed estremismi da comizio, sarà possibile ritrovare anche quella comunione di elettori contrari alla destra oligopolista e fascista, che ha tenuto in mano l’Italia per vent’anni, strangolandola fino all’avvento del governo Monti: chirurgo probabilmente bravissimo, ma che non s’accorse (e non se ne accorsero per un anno, o non lo dissero, i suoi assistenti parlamentari), che gli interventi tecnicamente perfetti prostravano un malato gravemente debilitato.

D’altronde, se non Grillo, i grillini “giovani e puliti” non avranno difficoltà a comprendere che un dialogo a distanza col Pd, sul terreno istituzionale e di alcuni punti del programma, non è una compromissione; ma è una garanzia anche per loro a non fuoriuscire dai problemi e non finire nella sola alternativa possibile al centrosinistra: la destra razzista e corrotta, che in Italia usurpa il nome di liberale ma è a pieno titolo fascista.


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