Rai-ahi-ahi che male

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Credevano di sapere. Facile immaginare lo stupore dell’accoppiata Tatantola-Gubitosi nella scoperta graduale della portata della loro sfida. Rai, come vuole lo slogan, di tutto, di più, ma soprattutto, troppo di troppo. E perfettamente disorganizzato. I segnali lanciati dall’accoppiata di ferro imposta da Monti sono chiari. Partiamo dal corpo vivo, dai lavoratori della Rai. 11.410 ufficiali, a tempo indeterminato (come Gubitosi), ed un popolo di precari stabilizzati che servono a far funzionare un meccanismo spesso irrazionale. Diciamo 13 mila collaboratori a vario titolo per la più grande azienda culturale del Paese. Neppure troppo scandaloso se il prodotto,  per qualità e per resa pubblicitaria, corrispondesse ai numeri di questa potente ma inceppata macchina da guerra. Esuberi in vista e contenziosi sindacali già a preventivo, col dettaglio di 4 diversi contratti di lavoro: dirigenti, giornalisti, operai e impiegati (da mesi in attesa di rinnovo), e gli orchestrali che restano.

Contratti e contrattisti. Rozzamente la contabilità umana interna. 1.650 giornalisti, di cui 327 con qualifica di dirigenti. E due terzi almeno di graduati. Salvo le amenità di 160 parrucchieri del reparto trucco, l’essenziale per fare televisione (al modo antico), vede 600 tra operatori e montatori. I quattro centri di produzione di Roma, Milano, Torino e Napoli hanno 3.800 addetti. Le 21 sedi regionali (più redazioni che regioni per i vincoli del bilinguismo) aggiungono altri 1.500 dipendenti.

La radiofonia -racconta Stefano Carli- ne conta 800, di cui 150 sono giornalisti. La differenza che rimane agli 11.400 ufficialmente dichiarati sono gli amministrativi della struttura di comando: Viale Mazzini, Saxa Rubra, Via Teulada, Borgo Pio, Dear, Teatro delle Vittorie, amministrazione finanziaria a Torino (?). Per fortuna non entrano nella conta totale i circa 650 tecnici e operai di manutenzione che fanno capo a RaiWay, la società delle torri di trasmissione e della rete.

Troppo di tutto. Ora, col digitale, i canali Rai sono 15, la maggior parte dei quali ignoti persino a noi addetti ai lavori. Le testate giornalistiche sono 9 (anche qui qualche difficoltà nella conta), con altrettanti direttori, spesso con dei condirettori, una miriade di vicedirettori e un battaglione di Caporedattori. Gli ormai noti 327 dirigenti. Esuberi minacciati, da 500 a mille. Difficile da immaginare. Sperabile almeno qualche accorpamento. Con relative difficoltà. Unire Rai International, Televideo e RaiNews fu deciso nel 2011. Realizzato il giorno del mai. Gr e Rai Parlamento (tv) sono strutture destinate ad una assimilazione. Tra di loro, o come costola di radio e televisione. Mentre già qualcuno sta discutendo di copiare da Mediaset la creazione di una sola struttura tecnologica di produzione per le tre diverse testate giornalistiche, sino a che resisteranno. Sinergie per contenere i costi, dicono i vertici, “perdita dell’autonomia professionale”, la risposta.

Troppo poco di Sipra. Una concessionaria di pubblicità che quando il mercato cala perde il doppio della media. Trascinamento dell’effetto Berlusconi: i grandi centri media favoriscono i canali Mediaset a scapito Rai. Ma Sipra -dicono gli specialisti- ci mette del suo. Pacchetti pubblicitari rigidi, rotazione sui canali altrettanto. Offerte speciali praticate dall’ultimo supermercato di periferia, nessuna. Parrebbe persino che la Sipra si sia dimenticata di vendere gli spot sui calci di rigore delle semifinali. Ma peggio, e certo, quel 35% di anticipo contrattuale che nessun altro concorrente pratica. Mediaset ringrazia attraverso Publitalia che nel pessimo 2012 (per i mesi trascorsi), perde solo il 10% rispetto al 25% della Sipra. Rai antipatica o Rai cretina? I canali digitali -valutano gli specialisti- dovrebbero valere 30 milioni annui e ne incassano 10. Lo share medio dei nuovi canali digitali Rai è ora vicino al 6%. 30 milioni per 6 uguale 180. Che mancano.

I soldi assenti ingiustificati. Sembrano mancare all’appello 130-140 milioni su un fatturato pubblicitario che nel 2011 che è stato di 973 milioni (1.039 nel 2010). Settore chiave, internet e digitale. Pensare che Rai è stata la prima a lanciare nuovi canali puntando alla quantità. Rinunciando -così allora ci fu raccontato dal Dg Mauro Masi- ai 50 milioni annui del contratto con Sky. Ora la magistratura sentenzia che fu una ruberia a danno Rai per avvantaggiare l’editore politico di riferimento. Dunque la Rai ha reso subito ricca l’offerta dei nuovi canali, ma non si è preoccupata di renderli redditizi. Quindi, se non  incassi, tagli. A rischio di accorpamento e di una pur minima razionalizzazione, una diversa collocazione sulle Reti di canali sportivi, per bambini, di Rai Storia, Rai Scuola. Oltre alle tre Reti generaliste. Più che tagli, almeno intelligenti ripensamenti.

Vendere e non svendere. Tempi grami, come è noto, per il mercato immobiliare. E proprio ora la Rai parrebbe decisa vendere gran parte del proprio patrimonio immobiliare. Forse si dovrebbe partire da Vile Mazzini 14 e dei suoi rimasugli di amianto sopra il cavallo, ma l’idea di una Rai tutta esiliata a Saxa Rubra trova opposizioni trasversali. Restano comunque immobili da vendere, terreni edificabili a Roma e nelle vicinanze (Saxa Rubra), gioielli come Palazzo Lavia a Venezia. E moltissime sedi regionali di ormai inutile vastità e costi. Ogni minaccia di dismissione, almeno una decina di interrogazioni parlamentari da mettere in conto. Più facile provare a vendere RaiWay e la sua struttura tecnica di trasmissione, ma anche qui si sono sbagliati i tempi. Ci sta provando Telecom con La7 e la sua rete ma i clienti non si trovano. A sintesi: un po’ di tagli, accorpamenti, razionalizzazioni, moralizzazione interna, un po’ di vendite, se si riesce. E poi investire sul web.

* www.globalist.it 


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