La discarica presso Villa Adriana e la sentenza del TAR a favore della “movida” alcolica stravolgono e degradano la vita e l’immagine internazionale di Roma

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Dov’è finito il senso dello Stato? Dov’è precipitata l’idea di comunità e di città? Ce lo chiediamo dopo due episodi che chiamano in causa i vertici della Repubblica: 1) la dichiarazione del prefetto Giuseppe Pecoraro: “O si farà la nuova discarica a Corcolle o a Roma, dal 1° luglio, sarà emergenza rifiuti”, che suona ricattatoria: o lì o il caos; 2) la sentenza del TAR che consegna praticamente il centro storico più grande e più bello del mondo alla “movida” con libertà di orari (a questo ci ha già pensato il decreto del governo Monti) e di alcol per tutti, a piacere.

Il primo caso: dopo mesi di discussioni, appelli, pronunciamenti del Consiglio Superiore per i beni culturali, il diniego di due ministri, Clini e Ornaghi, Giuseppe Pecoraro, prefetto e commissario straordinario per i rifiuti, va per la sua strada. Non conta nulla che il sito di Corcolle disti 1 Km circa dal parco archeologico di Villa Adriana, sito Unesco, una delle meraviglie della civiltà romana, celebrata dal capolavoro letterario di Margherite Yourcenar. Non conta nulla che da lì passi l’Acquedotto dell’Acqua Marcia, che l’Acea abbia fonti di captazione non solo per l’acqua potabile, ma anche per uso agricolo.

Non conta nulla che questo lembo di campagna romana serbi ancora memoria di quelli che erano i dintorni di Roma agli occhi dei visitatori dei secoli scorsi. La discarica si deve fare e per forza lì, così chi si avventurerà ancora verso Villa Adriana dovrà attraversare un’area di miasmi e liquami, affrontare un traffico infernale di camion carichi di spazzatura, olezzanti ad ogni ora.

Una ostinazione cieca e oltraggiosa, agli occhi del mondo intero. Anche così si decreta la morte dello Stato, del senso dello Stato.
L’altro episodio, la sentenza del TAR che spiana ancor più la strada all’uso più scriteriato delle zone storiche, alla definitiva trasformazione di Roma e, in generale, delle città antiche in altrettanti divertimentifici notturni, senza orari di chiusura e senza limiti all’asporto di alcolici, con un inquinamento acustico che caccia i pochi residenti rimasti (e con essi il commercio e l’artigianato) e affida i rioni alla criminalità e alle sue infiltrazioni finanziarie.

Noi riteniamo indispensabile e urgente passare, per il centro storico, dalle ordinanze per l’emergenza all’inserimento di norme e di limiti rigorosi nello stesso regolamento di polizia urbana, facendolo poi rispettare con mezzi e vigili, senza arrendevolezze nei confronti del commercio più indifferente alla bellezza e all’integrità di Roma. A chi appellarsi allora? Al governo Monti che ha liberalizzato gli orari notturni non distinguendo fra quartieri nuovi e antichi? Non possiamo che rivolgerci per entrambi gli angosciosi problemi al presidente della Repubblica tutore della Costituzione e di quell’articolo 9 in base al quale “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” e di quell’articolo 32 in base al quale “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. A lui ci rivolgiamo con fiducia e passione civile.

Irene Berlingò presidente Assotecnici del MiBAC
Vittorio Emiliani, Desideria Pasolini dall’Onda, Vezio De Lucia, Luigi Manconi, Paolo Berdini, Gaia Pallottino del Comitato per la Bellezza.


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