Parigi, ci sono scarpe e scarpe…

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È l’ordine, la prima cosa che disturba. La meticolosità con cui sono disposte in fila, un paio accanto all’altro, con un rigore geometrico che sa di militaresco. Tutte, immancabilmente, con le punte dritte verso una stessa meta indefinita: puntano a sud est, all’imbocco di Boulevard Voltaire. E già questo, per certi versi, infastidisce, a riguardare oggi le foto di Place de la République, due mesi dopo la marcia fantasma contro l’inconcludenza dei “grandi della terra” riuniti nella conferenza mondiale sul clima. Perché è vero che quelle scarpe vogliono testimoniare la voglia negata di scendere in piazza per protestare contro il surriscaldamento globale: e un corteo, si dirà, una direzione deve pur averla; eppure viene da pensare che per una volta, approfittando di un divieto imposto dall’alto, si evitasse di cedere all’abitudine della marcia inquadrata, in ranghi serrati, tutti insieme verso un ipotetico orizzonte. La Libertà di Delacroix – quella stessa Marianna che troneggia in Place de la République – indicava al popolo una direzione chiara perché in quel caso c’era un ben preciso palazzo da assaltare, sede ed emblema del potere contro cui si combatteva. Ma oggi, la battaglia contro lo sfruttamento scriteriato delle risorse, contro uno sviluppo divenuto insostenibile, a quale Bastiglia vorrebbe lanciare l’assalto? Non è piuttosto una lotta contro tanti piccoli Moloch, contro le nostre stesse abitudini quotidiane?

E poi c’è la fattura di quelle scarpe, la loro qualità. Sono scarpe occidentali, scarpe costose, quelle che occupano la piazza. È vero, a guardar bene qualche infradito sdrucito, qualche sandalo malandato lo si scorge: ma perlopiù si tratta di calzature griffate, di stivali in cuoio, di ballerine elegantemente rifinite, di sneakers e All stars. Ed è difficile non pensare a chi in questi mesi è costretto a fare marce assai meno scenografiche, meno simboliche. I tanto raccontati esodi dei migranti, che con i cambiamenti climatici hanno eccome a che fare, vedono spesso migliaia di persone camminare per una quantità di chilometri inimmaginabile a piedi scalzi. Ce lo ha ricordato Andrea Segre, il settembre scorso, organizzando a Venezia una delle più belle manifestazioni degli ultimi anni. Ci sarebbe stato bene, a Place de la Répubblique, qualche spazio vuoto, magari con le orme dei piedi tracciate col gesso sull’asfalto, o al limite qualche bottiglia di plastica resa calzabile da uno spago.


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