3 ottobre. A Lampedusa, due anni dopo la strage, superstiti e ragazzi dell’isola parlano di accoglienza

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Il 3 ottobre 2015 arriva portando con se una notizia che non è di secondo piano. Il Viminale certifica che gli arrivi quest’anno sono diminuiti. Poco meno di diecimila arrivi in meno rispetto al 2014. Alla fine arriva anche dal ministero dell’interno arriva la conferma che l’invasione non c’è.
Ma a Lampedusa i numeri hanno poca importanza. I numeri hanno poca importanza ovunque si respiri la tensione per il futuro mentre la paura del viaggio in mare comincia a scivolare via dai muscoli del corpo. In questi posti contano gli sguardi, i nomi, le storie di ognuno. E i loro sogni, le speranze di una umanità alla deriva cui non è concesso un viaggio ed un approdo sicuro.
A Lampedusa sono tornati i sopravvissuti al naufragio che esattamente due anni fa ha mostrato al mondo intero la forma della morte nel mediterraneo.
Mehrawi, Tesfay, Fanus, Adal e gli altri. Sono tornati con il passaporto con su il visto di protezione internazionale. Scappati dalla dittatura Eritrea, dopo due anni sono tornati a Lampedusa da cittadini europei. Vengono dalla Svezia, dalla Germania, dalla Norvegia, dall’Inghilterra, sono tornati per annaffiare il giardino della memoria, un esercizio che l’Europa, che di fronte a quelle 368 bare allineate nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa aveva detto “mai più”, non vuole imparare a fare.
La memoria invece è il tema centrale dei giorni di commemorazione di Lampedusa. La memoria è tutto per Abdul e Sabah che vengono dalla Siria e cercano disperatamente Ahmed, il loro figlio disperso nel naufragio dell’11 ottobre di due anni fa tra Malta e l’Italia. 268 vittime tra cui 60 bambini, una strage di cui oggi pochi parlano ancora.
La memoria è fondamentale per Adal che ancora non sa con certezza se suo fratello è davvero sepolto nel cimitero di Mazzarino oppure se piange su un altro corpo.
La memoria è importante anche per Guarino che è di Palermo e che una mattina del 1948, a nove anni, giocava in cortile ed è saltato in aria su una bomba inesplosa che ha ucciso 4 suoi compagni. Anche lui è un sopravvissuto. È venuto a Lampedusa questo 3 ottobre per incontrare i superstiti del naufragio, per abbracciarli e per dire al mondo che la solidarietà è un valore universale, perché siamo tutti sopravvissuti, siamo tutti migranti.
I ragazzi di Lampedusa in questi giorni di commemorazione si esercitano con la memoria e con le parole. Scelgono parole come salvezza, vita, speranza al posto di clandestini, sbarco, invasione. Si esercitano nei laboratori che in questi giorni animano l’isola di Lampedusa. Parlano di migrazione, di accoglienza, di solidarietà e scrivono il loro manifesto dell’Europa che comincia sull’isola di Lampedusa.
Sta succedendo qualcosa di nuovo su questa isola in questi giorni. I ragazzi incontrano i superstiti del naufragio e insieme al Comitato 3 ottobre e alle Ong che si occupano di migrazione (Save the Children , Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli, Archivio Memorie Migranti), scrivono un messaggio ai potenti d’Europa affinché si aprano corridoi umanitari per chi scappa dalle guerre e dalle dittature e si smetta di alzare muri che servono solo a rendere più pericoloso il viaggio di chi non può tornare indietro.

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