Paolo Graziosi: una attore schivo e irrituale

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L’inverso del grande istrione: scabro, laconico, auto vigilante il senso ed il sentimento dell’essenzialità. Così era il caro e irripetibile Paolo Graziosi, attore finissimo che non amava i narcisismi e gli stucchevoli vezzi del mestiere. A sua volta considerato un modo come l’altro – indubbiamente più elaborato e tribolato- di vivere la condizione umana e la sua sete di conoscenza. Nel tempo in cui ci lasciava Monica Vitti, anche Paolo, interprete volitivo e di poche parole, concludeva la sua terrena permanenza, desolando un fitto gruppo di colleghi ed estimatori, oltre al ‘pudore’ dei familiari chiusi in ammirevole silenzio.

Era nato a Rimini nel 1940, Paolo Graziosi, stesso rione di Federico Fellini, ma indole tendente alla ‘critica’e autoanalisi, per nulla propenso ad eccessi e gaudenze degli stereotipi romagnoli (ricordandomi in tal modo la l’anomala ‘sicilianitudine’ di Luigi Vannucchi e le origini Ubaldo Lay….nomi cari di un passato remoto).

Diplomatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica (inizio anni ’60), Graziosi era apparso in bella evidenza, sin da subito, interpretando il ruolo di Mercuzio in una edizione di “Romeo e Giulietta” del 1963 diretta da Zeffirelli. Scritturato (l’anno successivo) dal Teatro Stabile di Torino emerge in uno spettacolo ruzantiano di Gianfranco De Bosio- “L’anconitana”. Per poi legarsi (dal 1971) alla Compagnia del Gran Teatro di Carlo Cecchi: con il quale stringerà un forte sodalizio che darà luogo (in quelli che al tempo definivamo i “circuiti alternativi”, di cui il Carrozzone di Carlo Quartucci e il Teatro di Strada di G. M. Volontè, A. Salines e F. Bucci furono apripista) ad una quaterna di titoli deliziosi (un privilegio conservarne lucida memoria). Da “Le statue mobili” e “A morte d’int ‘o lietto e Don Felice” di Petito a “Tamburi di notte” di Brecht e “L’uomo, la bestia e la virtù” di Pirandello.

Diretto da Peter Stein, a fine anni ottanta, Paolo Graziosi sarà nel cast di “Tito Andronico” e, successivamente, per la regia di Walter Pagliaro, protagonista di “Timone d’Atene”- classici shakespeariani dozzinalmente catalogati fra le opere ffupri repertorio.

Con “Storia di un soldato”, elaborata da Pier Paolo Pasolini (e la triade di registi Martone, Dell’Aglio, Barberio Corsetti), Graziosi “polarizza” il Festival di Avignone del 1995, così come l’anno successivo- al Teatro Greco di Siracusa, in coppia con Valeria Moriconi, sarà uno dei Giasone più introversi, enigmatici, tremendi che ci sia mai capitato di conoscere. “Distaccato e incisivo nella sua disarmante chiarezza”, l’interprete si consegna al nuovo millennio con un allestimento di Werner Schoeter, “Sangue” dello svedese Lorén, esplorato in tandem con la sempre algida ma funzionale Marina Malfatti.

Valorizzato anche dal cinema, Paolo Graziosi è ‘voluto’ (ancora giovanissimo) da Marco Bellocchio per “La Cina è vicina” e “La condanna”. Poi da Liliana Cavani in “Galileo” e da Francesco Rosi per “Cadaveri eccellenti”. Ruoli di spicco, in seguito, per “Una storia semplice” di Emidio Greco, “Cuore di mamma” di Salvatore Samperi, “Il lungo silenzio” di Margaretha vov Trotta, “Itaklian Village” di Giancarlo Planta

Più di recente, e sempre svettante di eleusina, introversa personalità: “Nessuna qualità agli eroi” (2007) di Paolo Franchi; “Il papà di Giovanna” (2008) di Pupi Avati; volto ed occhi di Aldo Moro in “Il divo” (2008) di Paolo Sorrentino, interpreta il ruolo di Carlo Antici in “Il giovane favoloso” (2014) di Mario Martone, un cammeo per il “Pinocchio” (2019) di Matteo Garrone e una partecipazione (a fianco di Anna Bonaiuto) in “Tre piani” di Nanni Moretti (2021)

Un ‘eretico’, esilarante Pirandello alla Sala Umberto (“Sei personaggi…” di ritorno con Cecchi) e “Der Park”, ancora diretto da Peter Stein (Teatro Argentina), furono invece e ultime occasioni dataci per apprezzarlo ‘in presa diretta’. Mentre adesso esce di scena a testa alta.


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