Repressione in Bolivia e Cile: quando lo Stato uccide

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La contro-rivoluzione in atto in Sud America, non ha solamente stritolato assetti politici ed economici che hanno avuto il merito di abbassare il tasso di povertà delle fasce più deboli della popolazione e consolidato il welfare, pur mantenendo garanzie democratiche e impresa privata.

Il ritiro di Rafael Correa, dopo il voltafaccia del suo successore Lenin Moreno in Ecuador, e l’esilio forzato di Evo Morales in Bolivia, hanno distrutto in pochissimo tempo l’unico progetto di successo in America Latina portato a termine da un socialismo atipico, quale è stato quello andino, in grado di coniugare le  rivendicazioni degli strati sociali più emarginati con gli interessi della classe media. La conseguenze più gravi sono al momento l’annullamento della rappresentanza india nel Parlamento boliviano (in una nazione a maggioranza indigena) e l’interruzione del processo di pacificazione in Colombia, dopo che l’ex Presidente Santos aveva messo fine alla guerra civile tra Stato e FARC. D’altro canto, il neoliberismo in Brasile, Cile e Argentina, ha trasformato la vita della cittadinanza ordinaria in un inferno costellato di aumenti dei costi, che hanno reso i servizi sociali – quali elettricità, trasporto, sanità e istruzione – affare privato di finanziarie e grandi aziende. Quando gli amministrati non ce la fanno più, ecco che gli organi di controllo scatenano la repressione violenta.

Amnesty International in due missioni separate effettuate in Cile e Bolivia, denuncia senza mezzi termini tutto ciò.

Lo riporto qui di seguito.

 

Bolivia

 

L’organizzazione ha sollecitato le autorità boliviane ad abrogare immediatamente il decreto 4078 del 14 novembre 2019, e a garantire che le forze armate agiscano nel rispetto delle norme e degli standard internazionali sull’uso della forza e a proteggere i diritti umani di tutte le persone che intendono protestare, a prescindere dalla loro opinione politica.

La grave crisi dei diritti umani che sta attraversando la Bolivia dopo le elezioni del 20 ottobre, è peggiorata con l’intervento delle forze armate. Qualsiasi messaggio che favorisca l’impunità è inaccettabile. I nefasti precedenti storici nella regione per quanto riguarda il ruolo dei militari, devono essere tenuti nella massima considerazione così come massimo dev’essere l’impegno al rispetto e alla protezione dei diritti umani”. Così ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty.

Il decreto 4078, che non è stato ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, prevede la partecipazione delle forze armate “alla difesa della società e al mantenimento dell’ordine pubblico, in appoggio alle forze della Polizia nazionale” ed esime dalla responsabilità penale i membri delle forze armate che partecipino alle operazioni di ristabilimento dell’ordine interno e della sicurezza pubblica “quando, nel compimento delle loro funzioni costituzionali, agiscano per legittima difesa o per stato di necessità, osservando i principi di legalità, necessità assoluta e proporzionalità”.

Amnesty International è preoccupata per il fatto che il decreto permetta che possibili violazioni dei diritti umani o crimini di diritto internazionale commessi dalle forze armate siano lasciati impuniti. Lo stesso testo del decreto segnala che la situazione “tende ad aggravarsi” e paventa persino “una guerra civile”, presupponendo che qualsiasi atto di violenza potrà essere una scusante per favorire l’impunità. L’organizzazione per i diritti umani ricorda che i membri delle forze armate non solo devono rendere conto delle loro azioni od omissioni a titolo individuale, ma che allo stesso modo sono responsabili, anche sul piano penale, i loro superiori che diano ordini illegali – portando a termine l’esecuzione di detti ordini – o che possano essere mandanti della pianificazione e della preparazione di operazioni illegali.

L’attuale crisi sociale, politica e dei diritti umani della Bolivia corre il rischio di aggravarsi se le autorità continueranno a rispondere con la violenza alle critiche, alle proteste e al lavoro dei mezzi d’informazione. “L’altissima tensione sociale non può essere una scusa perché le forze armate agiscano in modo contrario agli standard internazionali sui diritti umani o per fomentare un’ondata di odio e discriminazione razziale che è già emersa con forza negli ultimi giorni.

Jeanine Añez, che si è proclamata presidente ad interim, ha l’obbligo di fermare immediatamente le violazioni dei diritti umani e di rendere conto di fronte ai meccanismi nazionali e internazionali sui diritti umani” ha concluso quindi Guevara-Rosas.

Secondo Amnesty International è necessario che le autorità garantiscano l’accesso alle informazioni circa le persone uccise, ferite e arrestate nel contesto della crisi iniziata il 20 ottobre. A tal riguardo, la Commissione interamericana dei diritti umani, (OAS)  ha quantificato in almeno 32 le persone uccise, con oltre 715 feriti.

L’organizzazione chiede alle autorità boliviane di indagare in modo rapido, completo e imparziale sulle denunce di violazioni dei diritti umani da parte delle forze armate e di atti di violenza da parte di ulteriori soggetti. Allo stesso modo, è fondamentale garantire che i giornalisti e i difensori dei diritti umani possano svolgere il loro legittimo e prezioso lavoro senza subire censure, attacchi e stigmatizzazioni. Amnesty  è preoccupata per le accuse di “sedizione” rivolte dalla ministra delle Comunicazioni ai giornalisti, e ricorda che non spetta ad autorità politiche diverse da quelle giudiziarie determinare responsabilità penali. Infine l’ONG rammenta che, nel contesto attuale, i mezzi di sopravvivenza della popolazione sono a rischio. L’organizzazione per i diritti umani ha ricevuto informazioni da La Paz circa l’assenza di benzina e gas e la conseguente diminuzione dei prodotti alimentari disponibili.

 

Cile

 

Le forze di sicurezza sotto il comando del presidente Sebastián Piñera – principalmente le forze armate e i carabineros (polizia nazionale) – sono responsabili di attacchi generalizzati e dell’uso di una forza non necessaria ed eccessiva con l’obiettivo di colpire e punire i manifestanti. Queste azioni hanno finora causato cinque morti, mentre migliaia di persone sono state torturate, sottoposte a maltrattamenti o ferite in modo grave. Lo ha dichiarato oggi Amnesty International, al termine di una missione di ricerca in Cile.

Le intenzioni delle forze di sicurezza cilene sono chiare: colpire chi manifesta per disincentivare la partecipazione, ricorrendo all’atto estremo di praticare la tortura e la violenza sessuale contro i manifestanti. Invece di prendere misure per fermare la gravissima crisi dei diritti umani, le autorità sotto il comando del presidente Sebastián Piñera appoggiano questa politica di punimento da oltre un mese, col risultato che le vittime di violazioni dei diritti umani aumentano ogni giorno“ ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe.

La responsabilità penale individuale non può limitarsi a processare gli autori materiali delle violazioni dei diritti umani. Garantire la giustizia e la non ripetizione implica sanzionare coloro che hanno dato gli ordini nella piena consapevolezza dei crimini commessi o li hanno tollerati“ ha aggiunto Guevara-Rosas.

Secondo l’Istituto nazionale dei diritti umani, almeno cinque persone sono morte per mano delle forze di sicurezza e oltre 2300 sono state ferite: di queste, 1400 sono state raggiunte da colpi di arma da fuoco e 220 hanno subito gravi traumi agli occhi. La Procura ha registrato oltre 1100 denunce di maltrattamenti e tortura e 70 denunce di violenza sessuale a carico di pubblici ufficiali. Secondo i carabineros, nessun pubblico ufficiale è stato ucciso e vi sono stati circa 1600 feriti – 105 in modo grave – tra le forze di sicurezza. Le manifestazioni, iniziate a metà ottobre per protestare contro l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico, si sono poi estese alla richiesta di una società più giusta in cui lo stato garantisca diritti quali salute, acqua pubblica gratuita, scuola e qualità della sicurezza sociale, in un paese profondamente iniquo.

Amnesty ritiene che le violazioni dei diritti umani e i crimini di diritto internazionale commessi dalle forze di sicurezza non siano fatti isolati o sporadici ma, invece, costituiscano una costante del modus operandi praticato in tutto il paese principalmente dai carabineros.

Il livello di coordinamento richiesto per sostenere la repressione violenta delle proteste in corso, fa ragionevolmente concludere che vi siano responsabilità ai più alti livelli per aver ordinato o aver tollerato la repressione. Ciò, naturalmente, dovrebbe essere chiarito attraverso indagini indipendenti e imparziali. La decisione del presidente Piñera di dispiegare l’esercito nelle strade a seguito della proclamazione dello stato d’emergenza ha avuto conseguenze catastrofiche. Sia coloro che hanno deciso di affidare all’esercito il controllo delle manifestazioni con l’uso della forza letale, sia coloro che hanno sparato contro le persone che manifestavano, causando morti e feriti gravi, devono essere sottoposti a indagini e, ove vi siano prove sufficienti, essere giudicati da un tribunale indipendente e imparziale.

Durante e dopo lo stato d’emergenza i dirigenti dei carabineros, così come coloro con funzioni superiori, invece di esercitare un controllo effettivo per prevenire la commissione di atti di violenza, hanno permesso che tutto ciò continuasse col conseguente aumento delle denunce di maltrattamenti, torture e danni oculari irreversibili. Finora, Amnesty International ha documentato 23 casi di violazioni dei diritti umani nelle regioni di Valparaíso, Tarapacá, Bío-Bío, Antofagasta, Coquimbo, Maule, Araucanía e in 11 comuni della regione metropolitana di Santiago, verificatisi tra il 19 ottobre e l’11 novembre. Attraverso i suoi esperti, l’organizzazione per i diritti umani ha convalidato oltre 130 contenuti fotografici e video su l’uso non necessario ed eccessivo della forza. Crimini di diritto internazionale e gravi violazioni dei diritti umani, commessi in modo intenzionale e generalizzato.

 

Uso letale della forza:

Amnesty ha potuto documentare cinque uccisioni a carico delle forze di sicurezza cilene durante lo stato d’emergenza proclamato dal presidente Piñera il 19 ottobre: quattro ad opera delle forze armate, uno dei carabinieri. Attraverso l’analisi delle immagini ricevute, l’ONG ha potuto confermare che le forze armate hanno usato armi letali in modo indiscriminato contro manifestanti privi di armi in almeno quattro casi. Si è identificato l’uso di fucili semiautomatici Galil Ace e Famae Sg 540. Sono stati osservati agenti della Polizia investigativa cilena e carabineros mentre sparavano proiettili veri. Gli standard internazionali vietano l’uso di armi del genere per disperdere le proteste.

Romario Veloz, un cittadino ecuadoriano di 26 anni, è stato colpito al collo da un proiettile esploso da un soldato mentre partecipava a una piccola manifestazione nella città di La Serena. Appena arrivato nelle vicinanze di un parco, l’esercito ha iniziato a sparare indiscriminatamente contro i manifestanti. Le immagini mostrano che, quando è stato colpito, Romario Veloz stava camminando tranquillamente con le mani in tasca. Nella stessa occasione Rolando Robledo, 41 anni, è rimasto ferito al torace da un colpo esploso da un soldato.

Ha trascorso vari giorni in coma con prognosi riservata. Secondo i testimoni oculari, le autorità non hanno aiutato i feriti: anzi, hanno continuato a sparare contro altri manifestanti intenti a prestare i primi soccorsi. A Curicó, José Miguel Uribe, 25 anni, è morto dopo che un militare gli ha sparato al torace. Stava prendendo parte a un corteo spontaneo di giovani che avevano temporaneamente bloccato la circolazione stradale. I soldati arrivati sul posto hanno iniziato a sparare contro chiunque. Secondo i testimoni oculari, nessun militare presente ha prestato soccorso a Miguel.

Maltrattamenti e torture:

Una delle principali forme di repressione nei confronti dei manifestanti è stato il ricorso ai maltrattamenti e, in misura minore, alla tortura: si tratta di crimini di diritto internazionale. Oltre a un caso di morte a seguito di maltrattamenti, Amnesty International ha documentato finora tre casi di tortura, anche di tipo sessuale.

La morte di Alex Nuñez, 39 anni, ad opera dei carabineros è stata la conseguenza di un pestaggio selvaggio. Alex stava attraversando una manifestazione per fare una consegna a Maipú, nella regione metropolitana di Santiago, quando è stato bloccato da tre carabineros che lo hanno gettato a terra e preso a calci alla testa e al torace. È morto il giorno dopo. Fino a questo momento, la Procura cilena ha ricevuto 16 denunce di violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza. Una di queste riguarda Josué Maureira, omosessuale, violentato con un bastone mentre si trovava in custodia di polizia.

Un altro caso riguarda una persona picchiata brutalmente in piazza Ñuñoa, a Santiago. Questa persona, che ha chiesto l’anonimato, è stata aggredita da 12 carabineros mentre stava manifestando pacificamente facendo rumore con una pentola e un cucchiaio. Ha perso la vista da un occhio, ha subito una frattura al setto nasale, la rottura di tre costole e lesioni gravi a un polmone. Un ulteriore caso ha avuto luogo a Isla de Maipo, nella regione metropolitana. I carabineros hanno arrestato Cristóbal Alexis “Flen”, 30 anni, e lo hanno picchiato durante le ore di detenzione. Un ufficiale ha impedito a un medico di prendere nota di tutte le ferite, una prassi che è stata frequentemente segnalata ad Amnesty International e che presuppone che si cerchi di occultare la commissione di reati. Quando Amnesty ha incontrato l’uomo 19 giorni dopo, questi mostrava ancora segni di emorragia a entrambi gli occhi ed ematomi su diverse parti del corpo.

L’ONG ha anche documentato nove casi di investimento, o tentato investimento, di manifestanti da parte dei carabineros e delle forze armate, lungo le strade di Quilpué, Santiago, Viña del Mar, Valparaiso. Un soldato ha ucciso in questo modo Manuel Rebolledo, 23 anni, a Talcahuano. Oltre ai casi documentati, Amnesty ha verificato oltre 30 contenuti audiovisivi in cui si vedono carabineros e soldati accanirsi ingiustificatamente e senza ragione apparente contro i manifestanti. Questo è accaduto nei confronti di persone già fermate e rese inoffensive, per sgomberare proteste pacifiche e persino contro bambini e adolescenti nelle città di Valparaiso, Viña del Mar, Antofagasta e Concepción.

 

Ferimenti gravi e uso di armi potenzialmente letali:

Nonostante il diritto internazionale esiga che le armi da fuoco con munizioni potenzialmente letali (compresi i proiettili di gomma) siano usate solo in casi eccezionali – quando vi sia un immediato pericolo per la vita o l’incolumità di una persona e comunque a condizione che si causi il minor danno possibile – Amnesty ha registrato l’uso costante dei fucili a pallettoni nel corso delle proteste. Oltre al caso di un manifestante ucciso a colpi d’arma da fuoco, l’organizzazione ha documentato 14 casi di danni all’integrità fisica – sette dei quali implicanti lesioni oculari irreparabili – e ha verificato attraverso le immagini quasi 20 operazioni di questo tipo.

I carabineros hanno usato fucili Benelli M3 ed Escorts Aimguard con munizioni potenzialmente letali in modo ingiustificato, generalizzato, indiscriminato e mirando alla testa. Kevin Gómez, 24 anni, è morto il 21 ottobre a Coquimbo. Secondo il referto medico, “una ferita toracico-polmonare causata da più proiettili”. Secondo altri testimoni, un soldato ha improvvisamente aperto il fuoco contro l’uomo, che era privo di armi, senza preavviso e da breve distanza.

A Cerrillos, nella regione metropolitana, una ragazza di 15 anni è stata ripetutamente colpita durante una manifestazione pacifica da un agente che le ha sparato da una camionetta in movimento. È stata raggiunta all’occhio sinistro, alla fronte, sul collo e a una spalla.

Un altro caso riguarda un uomo di 24 anni colpito 18 volte da un carabinero in una strada di Santiago. Nelle immagini si vede l’uomo protestare contro i carabineros che avevano aggredito un suo amico; uno di loro gli spara a bruciapelo, colpendolo alle gambe e alle braccia. In almeno 11 casi Amnesty ha registrato l’uso inadeguato e in quantità allarmante dei gas lacrimogeni all’interno di ospedali, università, negozi e persino scuole, coinvolgendo bambini, adolescenti e altre persone che richiedevano al contrario particolare attenzione.

Un altro carabinero ha lanciato un candelotto lacrimogeno contro Natalia Aravena, 24 anni, senza preavviso e mentre stava manifestando pacificamente. Anche lei è entrata nel gruppo di persone che hanno riportato gravi danni agli occhi. Amnesty ha pure riscontrato l’uso di granate fumogene con possibile contenuto di esacloroetano, un agente chimico estremamente tossico e pericoloso che viene usato nei conflitti armati ed è vietato durante le manifestazioni.
Il 14 novembre a Temuco un gruppo di soccorritori è stato attaccato con granate fumogene e cannoni ad acqua mentre stata prestando cure mediche a persone ferite.

 

Limitazioni al lavoro dei difensori dei diritti umani:

Durante la crisi un’infinità di movimenti e organizzazioni per i diritti umani hanno cercato di assistere le persone ferite, di pretendere il rispetto delle persone arrestate e di aiutare a sporgere denunce. In varie occasioni le autorità hanno ostacolato il lavoro di avvocati, difensori dei diritti umani e personale medico impedendo loro l’accesso a commissariati e ospedali.

Il 21 e il 22 ottobre rappresentanti dell’Istituto nazionale dei diritti umani si sono visti impedire l’ingresso al pronto soccorso dell’ospedale “Posta Central”, dove si trovavano decine di feriti. Amnesty ha documentato casi di persone colpite dai proiettili mentre prestavano i primi soccorsi e di attivisti e difensori dei diritti umani minacciati per impedire loro di svolgere il loro lavoro. Il 29 ottobre Jorge Ortiz, un funzionario dell’Istituto nazionale dei diritti umani, è stato colpito da sei proiettili mentre stava monitorando lo svolgimento di una manifestazione a Santiago.

Nonostante indossasse la divisa dell’Istituto, un carabinero gli ha sparato senza alcun motivo e poi ha rifiutato di soccorrerlo.

La situazione in Cile non può andare avanti in questo modo. Le autorità devono vigilare affinché coloro che difendono i diritti umani e le organizzazioni della società civile possano svolgere il loro lavoro liberamente, senza alcun tipo di pressione, minaccia o rappresaglia“ ha dichiarato Ana Piquer, direttrice generale di Amnesty in Cile. “Purtroppo le violazioni dei diritti umani commesse durante questa crisi non sono una novità ed erano già state denunciate da noi così come dal resto della società civile cilena negli ultimi anni. Questa tragica pagina della storia cilena deve servire una volta per tutte per arrivare a quelle riforme istituzionali e strutturali che la società chiede, come la riforma delle forze di polizia e la garanzia dei diritti sociali” ha concluso Piquer.

 

Raccomandazioni preliminari di Amnesty International:

Le autorità devono porre urgentemente fine alla repressione, dando precisi ordini alle forze di sicurezza affinché esercitino la massima moderazione nell’uso della forza, nel rispetto degli standard internazionali. Un messaggio particolarmente chiaro dev’essere inviato riguardo all’uso di armi potenzialmente letali, affinché non vengano mai usate come mezzo di dissuasione. Gli organi di giustizia devono indagare sulla catena di comando nelle violazioni dei diritti umani e nei crimini di diritto internazionale commessi nel contesto della crisi dai militari o dai carabineros, come previsto dagli standard internazionali e dall’ordinamento giuridico cileno.

Le autorità dovrebbero invece assecondare le legittime richieste della popolazione, avviando le riforme legislative e politiche necessarie per garantire a tutti i diritti economici, sociali, culturali e ambientali, senza discriminazione e con particolare attenzione alle persone maggiormente vulnerabili, nonché per assicurare un processo partecipativo e inclusivo verso una nuova costituzione che promuova e protegga i diritti umani. Le autorità dovrebbero perciò intraprendere una seria riforma delle forze di polizia per far sì che diventi un’istituzione a garanzia di tutti e che esistano rigorosi meccanismi di controllo e di assunzione delle responsabilità (A.I.)

Non dimentichiamoci gli otto indios uccisi dalla polizia durante le manifestazioni in Ecuador contro gli sconsiderati aumenti del carburante (con il diesel addirittura raddoppiato) decisi da Moreno in seguito alle pressioni del Fondo Monetario; ciò avvenne nel quadro di austerity imposto ai Paesi destinatari di aiuti. In seguito a quei disordini che misero in ginocchio il governo, tali aumenti furono annullati. Nel frattempo in Bolivia, la presidentessa pro tempore Jeanine Añez ha accolto la prima delegazione USA nel paese dopo 12 anni dal ritiro dell’ambasciatore. Il gas naturale e soprattutto il prezioso litio, minerale indispensabile per le batterie degli smartphone che viene estratto dalle saline di Uyuni, fa gola ai futuri investitori statunitensi, i quali dovranno comunque contenderlo ai cinesi già presenti sul territorio.

A questo punto, direi che il golpe è completo. (f.b.)

(Copyright di Flavio Bacchetta – ringrazio Amnesty International per la preziosa collaborazione)


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