Si è tenuta alla Camera dei deputati una riuscita iniziativa promossa dall’Ordine dei giornalisti del Lazio sul fragile e contraddittorio recepimento nel nostro ordinamento della direttiva europea 2024/1069, cosiddetta anti Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation). Si tratta di una importante normativa, nata in seguito all’omicidio della coraggiosa giornalista maltese Daphne Caruana Galizia uccisa perché aveva messo il naso negli sporchi affari che coinvolgevano il governo. La scossa morale indusse -finalmente- il vecchio continente a muoversi. Meglio tardi che mai, come si usa dire.
Tuttavia, nel convegno si è affrontato il buco nero della vicenda. Infatti, nel disegno di legge del governo finalizzato al recepimento delle direttive si circoscrive all’articolo 7 – per di più con delega al governo- la materia anti Slapp alle «questioni con implicazioni transfrontaliere». Sembra il latinorum manzoniano, il linguaggio contorto utile per ingannare le persone comuni. Insomma, ritagliare così il territorio applicativo a tipologie davvero limitatissime. La grande parte delle querele temerarie- di questo si tratta- si svolge in Italia, che al riguardo ha un primato. Tale supremazia spiega perché nel 2025 si sia precipitati nella classifica sulla libertà di informazione al 49° posto, risultando i ventesimo Paese nell’Unione europea. E si collega ai dati del monitoraggio dell’osservatorio Ossigeno per l’informazione, che ha sottolineato quanto sia stato forte l’aumento delle giornaliste e dei giornalisti minacciati nei primi sei mesi di quest’anno rispetto al corrispondente periodo del 2024: +78%.
Il solo Sigfrido Ranucci, responsabile della efficace e attaccatissima rubrica Report, ha collezionato oltre duecento querele con tutti gli annessi e connessi, a cominciare dall’infinito tempo perso, di cui ha parlato nel suo seguitissimo contributo. E sappiamo quanto sia nel mirino della criminalità una figura di riferimento per coloro che interpretano il proprio lavoro come una vera missione civile.
L’incontro è stato introdotto da una accurata relazione di Anna Laura Bussa sulla serie di testi depositati e rimasti fermi o dimenticati, come ad esempio fu nella diciassettesima legislatura la proposta vergata al Senato da Lucrezia Ricchiuti, fermata subito: naturalmente, visto che quando si toccano i fili elettrici della diffamazione e delle liti temerarie si prende una scossa pericolosa.
I parlamentari presenti, da Piero De Luca a Walter Verini, hanno ribadito la volontà delle forze di opposizione di tentare in seconda lettura di modificare l’articolsto.
Qualche apertura è arrivata dal Vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, che ha fornito la notizia niente affatto scontata che si appalesa un accordo sulla riforma dell’Ordine dei giornalisti, di cui si dibatte senza successo da anni. Ma ora l’ambiente disegnato dalle Intelligenze artificiali rende ineludibile il ripensamento di una professione assai diversa da quella degli anni che incubarono la vecchia legge.
Di maggiore portata polemica sugli argomenti discussi è apparso il Presidente della Commissione cultura di Montecitorio Federico Mollicone, assai prudente sulle eventuali modifiche da apportare alla legge di delegazione europea e asprigno sul deficit di pluralismo dei talk. Chissà dove corre il suo telecomando. Ad essere messa in causa è la par condicio, una disposizione del 2000 rimasta più o meno intatta malgrado le critiche permanenti.
Ha tirato le conclusioni il Presidente dell’Ordine del Lazio Guido D’Ubaldo, che già aveva espresso nelle audizioni parlamentari un parere critico nei riguardi del pasticciato ddl di un governo che ha rigettato emendamenti e persino ordini del giorno, presentati da vari protagonisti del confronto: dal citato De Luca, a Cafiero De Raho, a Elisabetta Piccolotti.
Una noterella di colore. Da un governo sovranista era lecito aspettarsi un’attenzione ben maggiore a ciò che avviene in Italia. Si è preferito il comodo inganno transfrontaliero. Una consueta tattica di distrazione di massa. Ma c’è chi dice no. L’Europa è a giorni alterni?
(da Il Manifesto)
