Durante il viaggio “Per non dimenticare Sabra e Chatila” abbiamo incontrato l’intellettuale marxista e artista visivo Marwan Abdelal, che ha risposto alle domande della delegazione italiana.
L’associazione “Per non dimenticare Sabra e Chatila”, nata in Italia all’inizio degli anni 2000 grazie all’impegno di attivisti, sindacalisti, intellettuali, giornalisti e associazioni solidali con il popolo palestinese, organizza ogni anno nel mese di settembre un viaggio della memoria a Beirut per partecipare alle commemorazioni della strage del 1982. Il programma delle delegazioni ha compreso incontri con le comunità, visite nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, seminari culturali e confronti con intellettuali e artisti palestinesi e libanesi. Obiettivo del percorso è stato costruire una memoria attiva, che non si limiti a ricordare la tragedia del 1982 ma la leghi alle lotte del presente.
Proprio in questo spirito, a Beirut, presso Shababeek, si è svolto un incontro culturale organizzato dall’“Accademia Dar al-Thaqafa” per il Comitato internazionale. Nel suo intervento, Abdelal ha ricordato come “il massacro di Sabra e Chatila continui finché l’assassino resta libero e l’ideologia dell’uccidere rimane viva”. La memoria collettiva, ha aggiunto, è l’unica garanzia perché il dovere della responsabilità e della giustizia non cada nell’oblio. Nel 43° anniversario della strage ha sottolineato la necessità di proteggere i campi come spazi di coscienza politica e culturale, ribadendo che il rapporto tra libanesi e palestinesi non è contingente, ma una scelta strategica che difende tanto l’identità palestinese quanto l’identità libanese.
Marwan Abdelal ha ricordato come ogni anno questo incontro si rinnovi in un contesto sempre più difficile. L’ultimo è stato un anno particolarmente duro sul piano umano, sociale e politico: per i palestinesi in Libano e per quelli a Gaza, dove ciò che accade non è altro che un genocidio, un fuoco che divora tutto. “Ogni giorno – ha detto – sentiamo di perdere una parte di noi, ma abbiamo promesso di non spezzarci e di non piegarci. I popoli non vengono sconfitti con la forza: questo è ciò in cui crediamo. Il 7 ottobre non è stato l’inizio di una storia, ma l’esplosione di una rabbia accumulata. Non crediate che l’obiettivo di Israele fosse solo Hamas: l’obiettivo è molto più grande. Lo dimostrano le stragi, gli studenti uccisi”.
Secondo Marwan Abdelal, il conflitto non riguarda soltanto Hamas, ma si inserisce in un progetto coloniale più ampio di Israele, che opera come agente esecutore di un disegno che va oltre i suoi confini. È per questo che le comunità palestinesi in Cisgiordania, Libano e Siria guardano con grande preoccupazione al futuro.
In Libano, ha spiegato, i palestinesi vivono una triplice oppressione: quella delle difficoltà quotidiane, quella delle restrizioni imposte dallo Stato libanese e quella legata alla crisi dell’UNRWA. Israele ha lavorato per screditare l’Agenzia, facendo pressione per smantellarla o ridurne il mandato. Sono circolate proposte per trasferire i suoi servizi ad altri enti o per integrare i rifugiati nelle società ospitanti, cancellando così il diritto al ritorno.
Abdelal ha ricordato che anche lo Stato libanese ha spesso trattato la questione palestinese solo dal punto di vista della sicurezza, trascurando i diritti sociali, economici e umani dei rifugiati. Questo approccio ha aggravato i problemi anziché risolverli. Serve invece una visione politica che riconosca la presenza palestinese non solo come un problema di armi o di sicurezza, ma come una questione nazionale e umana.
Riflettendo sul contesto siriano, in passato le fazioni palestinesi erano molto attive, ma i palestinesi non devono essere usati come strumenti da altri: hanno bisogno di una politica unitaria che garantisca diritti fondamentali come vita, lavoro e giustizia.
“Se si dà una giustificazione ideologica a una strage, questa si ripeterà”. Abdelal ha citato Ben Gurion e Sharon, ricordando come entrambi sostenessero che “l’esistenza di Israele è più importante della sua immagine”: un principio che ancora oggi guida la politica israeliana.
Il movimento dei detenuti, ha detto, è vasto e importante, ma Israele ne gestisce la dinamica con cinismo: ha liberato figure anziane, malate o senza ruoli centrali, mentre tiene in carcere i leader più forti e carismatici. Abdelal ha citato in particolare Marwan Barghouti e Ahmad Sa’adat, la cui liberazione potrebbe avere un impatto decisivo sul popolo, e che proprio per questo restano imprigionati.
Un altro nodo centrale è quello dell’unità nazionale palestinese. Abdelal ha paragonato la situazione all’esperienza della Resistenza italiana, in cui forze politiche diverse, comunisti, socialisti, cattolici, seppero unirsi contro il fascismo e il nazismo. Oggi manca una piattaforma unitaria palestinese, e anche il movimento di boicottaggio (BDS) avrebbe bisogno di maggiore forza, come avvenne in Sudafrica contro l’apartheid.
Ha chiarito anche la situazione nei campi palestinesi in Libano: non vi sono armi medie o pesanti, consegnate anni fa, ma soltanto armi leggere rimaste per l’autodifesa interna.
Nel suo intervento Abdelal ha affrontato poi la questione femminile, ammettendo che nella società orientale le donne subiscono discriminazioni, ma sottolineando che la causa non è religiosa bensì sociale. “L’emancipazione femminile è un percorso che richiede tempo, come è successo anche in Europa”. Ha ricordato che l’Islam originariamente ha dato alla donna il diritto all’istruzione e altri diritti, ma che è difficile spiegare questa realtà in Occidente, dove l’attenzione si concentra quasi esclusivamente sul velo dimenticando la priorità attuale: fermare il genocidio.
Infine, riferendosi al Libano, Abdelal ha rimarcato che la Resistenza non può essere ridotta a una questione di partiti o di ideologie. Possono esserci divergenze tattiche, ma non strategiche. Hamas, Hezbollah, i comunisti e altri movimenti hanno differenze tra loro, ma sul piano della lotta contro Israele non possono dividersi: ciò che conta è la funzione nazionale della Resistenza.
