Giornalismo sotto attacco in Italia

Il corteo per il Leoncavallo ha mostrato due modelli di città e di società

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Scampoli di dialoghi dal corteo contro lo sgombero del Centro Sociale Leoncavallo.  “Mi dai il cambio a reggere lo striscione? Con la mia cervicale non posso farlo a lungo”. Chi lo diceva era probabilmente ragazzino ai tempi della nascita del Leoncavallo, dunque ci sta che si senta un po’ affaticato. Però non ha rinunciato a sfilare.

“Scusa, ma non c’è la raccolta differenziata per il vetro?” chiedeva il ragazzo con la kefia al collo al vigile urbano totalmente sprovvisto di risposta.

“Vedi amore, tutta questa gente ha subito un torto, un’ingiustizia e adesso dice che non è giusto”. La giovane mamma ha trovato le parole giuste per il suo bimbo che si trovava circondato da musica a palla, fumogeni e slogan. Per la cronaca: il bambino sembrava divertito.

Corteo grosso, disordinato nella forma – più gente nei marciapiedi che nei cordoni – ma estremamente ordinato nelle indicazioni: far capire a Milano che c’è un’alternativa al modello che costruisce per ricchi, favorisce lo shopping per ricchi, sponsorizza passatempi per ricchi, promuove cultura per ricchi.

Gente che al Leoncavallo, o negli altri centri sociali, ha goduto di concerti introvabili, ha trovato una birra a prezzi contenuti e, se era in difficoltà, pure un tetto per non dormire all’addiaccio.  La politica? Se c’era – sì, qualcuno s’è visto – era marginale: come stupirsene dopo che una buona parte di quella politica ha assistito al sacco di Milano girandosi – nel migliore dei casi – dall’altra parte?

Il suggello di queste due Milano opposte è arrivato a corteo in corso, con una nota autografa di Manfredi Catella, il più importante finanziere-immobiliarista, agli arresti domiciliari per qualche giorno per l’ultima inchiesta giudiziaria. “Le manifestazioni violente con azioni illegali e occupazioni abusive da parte dei cortei formati dai centri sociali, con la partecipazione di rappresentanti di espressioni politiche, rappresentano evidentemente la nuova proposta del cosiddetto modello Milano, che interpreta la democrazia urbanistica invocata da alcuni. L’opinione pubblica potrà scegliere se questa è la Milano che vogliamo”. Manfredi Catella dà con questo comunicato tre notizie: azioni simboliche sono considerate “illegali”; non va bene che le forze politiche del centro sinistra manifestino con i centri sociali; io – Manfredi Catella – rappresento il modello migliore dello sviluppo di Milano. Beppe Sala e il centro sinistra sono dunque avvisati.

Questa divisione insanabile, queste due città, sono il dato politico della giornata e forse del periodo politico: mentre una parte di Milano colpita a freddo dallo sgombero, disillusa dal ceto politico, è stata capace di aggregare così tante persone in difesa di un modello accogliente, sociale, solidale, l’altra metà della metropoli continuava a girovagare per negozi e locali della movida, innamorata di un modello escludente, social e individualista.

Danilo De Biasio, direttore Fondazione Diritti Umani


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