A Milano, all’alba del 21 agosto 2025, ha preso il via lo sgombero del Leoncavallo, storico centro sociale autogestito fondato nel 1975, da sempre simbolo di cultura antagonista, poesia urbana e resistenza politica. Hanno sgomberato non solo un luogo fisico, ma mezzo secolo di militanza, concerti, dibattiti e identità collettiva. È una violenza devastante, resa possibile da una legge sugli sgomberi voluta dal governo Meloni, attuando con freddezza legale ciò che altrove suonerebbe come atto politico. Lo è, eccome. Lo sgombero arriva dopo 120 notifiche di sfratto, un lunghissimo contenzioso che ha visto il Viminale condannato dalla Corte d’appello a risarcire i proprietari – i Cabassi – con 3 milioni di euro, ora richiesti a chi è impegnato nel mantenere vivo un bene comune.
Nel frattempo, a Roma, lo stabile occupato da CasaPound in via Napoleone III, proprietà statale affidata a Miur e Demanio, ha accumulato un danno erariale di oltre 4,6 milioni di euro per mancata riscossione di canoni e mancato utilizzo pubblico, su cui la Corte dei Conti ha freddamente chiuso le indagini. Un simbolo di impunità: a CasaPound sono stati tollerati occupazioni abusive per anni, grazie a inerzia e omertà istituzionale, quando invece vengono sgomberati i centri sociali antifascisti che tengono vive pratiche collettive e cultura libera.
L’operazione sul Leoncavallo si inserisce in una strategia precisa: colpire l’antifascismo, la resistenza culturale, la voce critica, mentre si lascia intatta la presenza politica organizzata dell’estremismo. Salvini esulta per lo sgombero, esaltando la legalità come bandiera, mentre il Leoncavallo veniva snobbato come un fastidio, non come storia viva. Le “Mamme Antifasciste” chiamate a riscuotere il risarcimento milionario – “non li ho, io vivo di pensione” – diventano un contrappunto ferito all’arroganza dello Stato, incapace di proteggere il bene comune e pronto a punire chi senza fondi ricorda dignità collettiva.
Quella del governo non è innocente amministrazione: è una scelta ideologica. In un clima di crescente polarizzazione e radicalizzazione, dove gli antifascisti vengono neutralizzati e i nostalgici fascisti continuano a prosperare, lo sgombero del Leoncavallo è un messaggio preciso: resistere è pericoloso, la memoria collettiva va cancellata.
Massimizzare la repressione è la priorità di uno Stato che teme l’antifascismo vivo, creativo, conflittuale ma libero. Il Leoncavallo non ha mai rubato case, non ha causato danni miliardari. Ha seminato cultura, comunità, bellezza condivisa. E ora viene scacciato, senza pietà, per il semplice fatto che è antifascista, e l’antifascismo è il vero e più temuto avversario.
