Mi sono abituato. Viene giù un altro condominio in Ucraina, a causa di un bombardamento deliberato russo contro i civili: prima era un crimine di guerra, ora è normale. Si ribalta un barcone di migranti con molti annegati, tra cui anche una bimba di pochi mesi: prima era un’immorale omissione di soccorso, ora è normale. Altri palestinesi ammazzati in fila per il cibo: prima era una strage indegna, ora è normale.
Non sono i cattivi ad essere cambiati, ma noi buoni. Tra lo stress dell’empatia e il sollievo dell’indifferenza scegliamo quest’ultimo. Anche perché l’usura continua della nostra sensibilità ha provocato calli di percezione e atrofia solidale. Ormai persino il genocidio è diventato cronaca nera di routine. ”È solo un film”, mi dicevo da piccolo per scacciare il turbamento indotto da scene horror. ”È solo dolore che riguarda persone lontane, in posti lontani”, mi ripete una voce analgesica che mi toglie – insieme – angoscia e umanità.
