Giornalismo sotto attacco in Italia

“Il silenzio uccide più dei missili israeliani”. La testimonianza dei giornalisti palestinesi premiati a Udine durante il festival vicino/lontano

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«Questo è un tempo eccezionale. Ed è con una decisione eccezionale che la giuria del Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani rinuncia a premiare quest’anno un’opera letteraria, per affermare invece con forza la necessità di dedicare il Premio alla memoria dei giornalisti uccisi a Gaza a partire dal 7 ottobre 2023.

Oltre 200 sono i giornalisti, i fotoreporter e gli operatori della comunicazione che hanno scontato con la loro vita – e spesso anche con quella dei loro cari – l’impegno di testimoniare i fatti dall’interno e impedire una narrazione unilaterale e controllata. Divenuti bersaglio dell’esercito di Israele, nemmeno il giubbotto antiproiettile, nemmeno il casco con la scritta PRESS ha potuto proteggerli, in flagrante violazione del diritto umanitario e della libertà di stampa. Mai, nella storia, il tributo pagato dal giornalismo è stato così pesante.

Erano tutti giornalisti palestinesi. Da subito la stampa internazionale è stata deliberatamente tenuta fuori dalla Striscia. E così, ciò che sappiamo, ciò che da Gaza esce, lo si deve al loro coraggio: senza la loro testimonianza, e la loro denuncia, oggi non avremmo chiare le proporzioni della tragedia di una popolazione ridotta allo stremo da 20 mesi di bombardamenti indiscriminati e dal blocco degli aiuti umanitari.

Tiziano Terzani, cui questo premio è intitolato, era un giornalista: un corrispondente di guerra sempre in prima linea nella copertura dei conflitti. Ed era profondamente convinto che si dovessero ascoltare – sempre – “le ragioni degli altri”: contro il rischio di scivolare nella barbarie dell’intolleranza e del fanatismo. E attribuiva al giornalismo questa precisa responsabilità.

Oggi a Gaza il giornalismo muore.

La giuria del Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani sente l’urgenza di lanciare un allarme e, con decisione unanime, rende onore al sacrificio di chi è stato messo a tacere e non può più raccontare “l’altra parte della storia”, conferendo il Premio Terzani 2025 – ad memoriam – ai giornalisti di Gaza.»

Queste le motivazioni con cui sabato 10 maggio, al teatro “Giovanni da Udine”, davanti a più di mille persone sono state premiate le giornaliste e i giornalisti uccisi a Gaza mentre facevano il proprio dovere, che per un giornalista — come diceva Anna Politkovskaja — è unicamente quello di scrivere ciò che vede. Ed è fondamentale, perché come sosteneva Tiziano Terzani «se la storia non viene raccontata è come se non fosse mai esistita. Questo vale ancora di più per la sofferenza: se non la racconti, se non rendi gli altri partecipi della sofferenza altrui, nessuno capirà mai».

Oggi grazie al coraggio dei giornalisti e delle giornaliste di Gaza, testimoni oculari dei crimini che si stanno compiendo, nessuno può dire di non sapere quello che sta succedendo, nessuna può dire di non sapere che — come ha ricordato Paola Colombo, presidente dell’associazione vicino/lontano che promuove il festival omonimo, nell’ambito del quale si assegna il Premio Terzani — «a Gaza sta morendo un popolo, a Gaza sta morendo il diritto, a Gaza sta morendo l’Europa». Eppure nessuno fa nulla.

«Vi arriva questa sofferenza, questo dolore?» ha chiesto Wael Al-Dahdouh, giornalista, capo della redazione di Al Jazeera nella Striscia, a cui hanno ammazzato dodici familiari, tra cui la moglie e tre figli. «Il silenzio ci uccide più dei missili israeliani» ha aggiunto. Per questo anche dopo le gravissime perdite subite è tornato subito in diretta, perché non ci si può fermare, bisogna far vedere al mondo come vive la gente di Gaza: bisogna dire che si ha paura di bere perché poi non si ha modo di andare in bagno, oggi purtroppo anche e soprattutto perché le gocce d’acqua che si racimolano sono spesso torbide e non potabili; che mancano gli assorbenti e le condizioni igieniche minime per evitare infezioni e malattie e preservare la dignità; che nel luogo che è al tempo stesso la più grande prigione e il più grande cimitero a cielo aperto non si stanno distruggendo solo le case e eliminando le persone ma si sta distruggendo la cultura, quel patrimonio che rappresenta un ponte tra il passato e il futuro.

Eppure nonostante questo «noi palestinesi ci risolleveremo, l’abbiamo sempre fatto» ha detto Munther Isaac, pastore luterano di Betlemme a Natale del 2023 «anche se questa volta sarà più difficile. Non so voi però, voi che siete rimasti a guardare mentre ci sterminavano. Non so se potrete mai risollevarvi.»


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