Non sarà TeleGiorgia a salvare Meloni

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Ci sono dei precedenti in questi tre decenni. Non è la prima volta, infatti, che sotto elezioni la destra si inventa degli strani marchingegni per forzare le regole sulla par condicio, faticosamente introdotte nel corso della tredicesima legislatura (’96- 2001) per provare a porre un argine allo strapotere del berlusconismo in rampa di lancio. Le forzature non sono mai mancate, come spesso si è incaricata di far notare l’AGCOM, talvolta anche comminando multe piuttosto salate ai responsabili, ma certo non si era mai arrivati al punto di scorporare l’attività del governo, in chiave propagandistica, da quella dei vari partiti della maggioranza, come se si trattasse di due universi paralleli. Persino Forza Italia, guarda i casi della vita, per una volta ha espresso delle perplessità. Saremo maligni, sicuramente lo siamo, ma l’impressione che ricaviamo da questo atteggiamento del partito fondato dalla massima espressione del conflitto d’interessi mai esistita in questo Paese è di una discreta insofferenza nei confronti di una Presidente del Consiglio mai amata dalle parti di Arcore e del Biscione e oggi sopportata con furba rassegnazione da Tajani e altri esponenti azzurri. Diciamo, sempre con la malevolenza che ci è propria, che se dovessero mutare gli equilibri politici e si dovesse giungere a un governo di segno diverso, sempre con la destra all’interno ma con un tratto distintivo più centrista, magari di impronta draghiana, difficilmente vedremmo i maggiorenti di Mediaset e di Forza Italia strapparsi i capelli.

A tal riguardo, pur essendo suoi strenui oppositori, ci permettiamo di fornire un consiglio alla donna che, da un anno e mezzo, domina la scena politica italiana. Cara presidente Meloni, stia attenta, perché lei non ha una vera opposizione parlamentare, e anche nel Paese – vuoi per la fragilità dei corpi intermedi, per la crisi del sistema nel suo complesso e per la miseria che morde le fasce sociali più deboli, rendendo assai difficile una partecipazione e corale a scioperi, manifestazioni e quant’altro – in qualche modo se la cava. In compenso, ha a che fare con alleati che non non possono più del suo predominio, di natura missina molto più che berlusconiana, in quanto il Sire di Arcore aveva tutti i difetti di questo mondo ma era altresì un uomo capace di includere, unire e tenere insieme almeno i suoi, federando l’impossibile e facendosi concavo e convesso a seconda delle circostanze. E poi deve vedersela con la realtà: il Sud desertificato e in preda alla disperazione, la crisi che rende la vita impossibile a milioni di persone, la povertà in aumento, il lavoro precario, la rabbia sociale e l’indignazione dei giovani per uno scenario globale sempre più all’insegna della ferocia e della guerra, tanto per citare qualche esempio.
Ebbene, presidente Meloni, tenga conto che tutti i suoi avversari, almeno per ora, sembrano non avere né la voglia né la forza di fare fronte comune, altrimenti il suo esecutivo, non propriamente di qualità degasperiana o morotea, scricchiolerebbe assai di più; sono, tuttavia, in grado di coalizzarsi virtualmente per farle perdere la battaglia campale del referendum sul premierato. Sapoia, dunque, che non le basterà un’informazione ancora più addomesticata, non le basterà una narrazione unilaterale, non le basteranno i proclami e la propaganda a gogò, a tutte le ore e con ogni mezzo. Per far fronte a una situazione così difficile e delicata serve la politica. Se lei non saprà fornire, in tempi brevi, risposte concrete a un’Italia che ne avverte un crescente bisogno, come detto, stia pur certa che i suoi alleati di comodo saranno i primi a indicarle l’uscita. Perché nessuno è eterno e, meno che mai, indispensabile, figuriamoci a Palazzo Chigi!

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