Voci dalla carovana solidale a Gaza

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–  “Siamo al di là della catastrofe”  ha affermato Richard Brennan, direttore per l’emergenza regionale della World Health Organization. Brennan ha condiviso con la delegazione di parlamentari, ONG, giornalisti della Carovana Solidale promossa da AOI, in collaborazione con ARCI e Assopace Palestina, alcune statistiche drammatiche sullo stato del sistema sanitario a Gaza. “Dall’inizio delle operazioni militari il 65% delle vittime sono minori, esattamente il contrario di quello che accade in tutti gli altri conflitti dove i minori rimangono una percentuale molto bassa. Abbiamo stimato – continua Brennan – che se il conflitto continuerà con questa progressione e escalation saranno 85mila i morti sia per  bombardamenti che per le malattie, con un cessate il fuoco immediato arriveremo comunque a circa 6000 vittime in più”.

Nei giorni che hanno preceduto il nostro arrivo alla frontiera, al Cairo abbiamo incontrato, oltre agli organismi internazionali (MSF,OCHA e altre), anche organizzazioni palestinesi di Gaza per la difesa dei diritti umani come Al Mezan e Palestinian Center for Human Rights. Nella Striscia si sta consumando una catastrofe umanitaria senza precedenti: solo nel nord vivono, o meglio sopravvivono, oltre 300mila persone che, se va bene, consumano un pasto ogni quattro giorni. C’è chi è costretto a nutrirsi con cibo per animali ed erbe selvatiche. Domenica 3 marzo, l’Unicef ha comunicato che in quel solo giorno sono morti 10 bambini per malnutrizione e disidratazione. Le autorità israeliane, nonostante la gravità della situazione, continuano a negare l’ingresso degli aiuti.

Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi le lunghe file di camion fermi lungo la strada e il deposito dove vengono respinte le merci che non passano i controlli israeliani, tra le quali incubatrici, kit igienici, generatori elettrici, e molti altri beni, ammassati in un magazzino di stoccaggio della Croce Rossa egiziana. Per non parlare delle ambulanze, donate ma non consegnate perché il numero massimo fissato in modo arbitrario e disumano dalle autorità israeliane, che controllano gli accessi, è fissato in 7 mezzi a settimana.

Al sud, nella città di Rafah, a poche centinaia di metri dal valico che siamo riusciti a raggiungere, dove prima abitavano circa 280 mila persone adesso ne sono stipate 1,6 milioni in alloggi di fortuna: uomini, donne e bambini che hanno perso tutto, esposti alle intemperie, con cibo, acqua razionati. Un bagno ogni 600 persone, quando lo standard nelle emergenze è un bagno ogni 20. La negazione della dignità umana, a Gaza, è anche questo. Per non parlare del sistema sanitario ed ospedaliero che è completamente collassato a causa dei bombardamenti indiscriminati e della penuria di medicinali e dispositivi medici, incapace quindi di rispondere ai tanti bisogni.

La delegazione ha portato il messaggio lanciato da ottobre dalla società civile italiana per il cessate il fuoco, per l’aiuto umanitario, per la ripresa delle trattative diplomatiche e per la pace, guidate dalle Nazioni Unite.

Non si riesce ad uscire dall’inferno di Gaza e da giornalisti stranieri non si entra e si è costretti a restare al valico e raccogliere le testimonianze di chi fugge e degli operatori umanitari. Oltre alle forze militari a fornire informazioni sono le colleghe e i colleghi di Gaza che stanno pagando un prezzo altissimo nell’esercizio del loro lavoro. Sono oltre 100 i giornalisti uccisi nella Striscia dall’inizio del conflitto. Solo nel 2023 sui 99 operatori dei media uccisi nel mondo tre quarti sono stati uccisi a Gaza.

L’indignazione non basta più. “Siate la nostra voce e il fate arrivare il nostro grido di dolore” chiedono le organizzazioni di palestinesi con cui COSPE lavoro da anni. Fornire un’informazione ampia, costante, plurale un altro dei diritti che non vogliamo vedere violato.


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