Morti sul lavoro. Non sono solo numeri

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Il più grande pericolo per tutti noi è l’assuefazione, la terribile autodifesa inconscia che porta a catalogare come normale ciò che normale non è. Numeri, qualche volta nomi, spesso neanche quelli. Ma i morti sul lavoro sono persone, donne e uomini che vogliono vivere. Per questo lavorano: per vivere, non per morire.

La disumanizzazione può essere un drammatico metodo, un metodo per indurci a credere che morire in un cantiere, in una fabbrica sia inevitabile perché i cantieri e le fabbriche sono “posti pericolosi”. Eppure in fabbrica ed in cantiere si lavora per pochi euro, spesso con contratti irregolari, spesso in nero. Sono posti in cui il lavoro e la fatica valgono poco. Anche la vita vale poco.

Perché questo è il tema: quanto vale la vita di un lavoratore.

In un sistema economico governato dal capitalismo contemporaneo, quel capitalismo che ha rinunciato ai minimi principi di rispetto dell’essere umano per approdare nella forma estrema del liberismo senza freni, il lavoratore, i suoi diritti, persino la sua vita valgono molto poco. Valgono solo in relazione al massimo profitto. Non devono ostacolarlo, soprattutto.

I dati sono sotto gli occhi di chiunque voglia indagarli. Aumenta in Italia la povertà media; diminuisce la capacità d’acquisto delle buste paga, quando ci sono; le offerte di lavoro per i più giovani si attestano sui livelli più bassi degli ultimi vent’anni. E contemporaneamente si abbattono diritti, primo su tutti quello alla propria salute.

Ci vogliono molti poveri per fare un ricco.

E’ in questo contesto che si muore sul lavoro. In un contesto politico ed economico nel quale i diritti degli esseri umani contano sempre meno, in un contesto in cui il diritto al lavoro e alla vita sono offuscati dal diritto a fare profitti. E a pagare salari sempre più bassi.

La sicurezza sul lavoro è un investimento sociale, non un costo. I controlli e l’aggiornamento sono un dovere per ogni imprenditore, non un fastidio. La vita di ogni singolo lavoratore vale più di ogni profitto.

L’ Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, recita la nostra Costituzione. “Fondata” sul lavoro, non sullo sfruttamento dei lavoratori, sul disprezzo della loro stessa vita.

Ma il Ministro Nordio si dice contrario all’introduzione del reato di “omicidio sul lavoro”. Anche di fronte a dati così impressionanti, anche di fronte a tragedie come quella di Firenze.

Domenico Fatigati aveva 52 anni, era sposato, aveva tre figli. Lavorava da vent’anni nella stessa azienda, usciva ogni giorno di casa la mattina presto, tornava la sera. Fino a che un macchinario lo ha stritolato ed ucciso e a casa non è più tornato, poche ore fa.

La sua vita valeva. Per lui e per la sua famiglia. Valeva moltissimo.


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