Anche con un arazzo

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Mi piace iniziare con lei. Con Michela Murgia, la quale diceva che “di tutte le cose che una donna può fare, parlare è la più sovversiva”. E mi piace dilatare il discorso di Michela, usarlo per ricordare quanto per tutti, non solo per le donne, raccontare, scrivere, informare, parlare siano diritti irrinunciabili. Mi piace pensarci in giorni in cui si cerca di mettere la museruola a queste libertà fondamentali perché sono i giorni della Legge bavaglio e dell’emendamento Costa. E mi piace di fronte a un tema così delicato, il diritto dei cittadini ad essere informati, a non vedere colpito e umiliato chi vuole semplicemente raccontare perché il suo lavoro è quello, cascare ancora volta nel mito.

Sarà che mythos vuol dire proprio racconto. Sarà che ce ne sono tanti sul potere sovversivo del parlare. Sarà che si è sempre deciso tutto, anche di parlare e non parlare, a Roma. E nell’antica Roma per esempio, dai tempi di re Numa Pompilio, le giovani romane onoravano una divinità dalla storia inquietante, Tacita Muta. Tacita Muta era una ninfa, in origine chiamata Lara, sorella di un’altra ninfa cara ai romani di nome Giuturna. Un giorno Lara scopre che Giove ha molestato sua sorella Giuturna e denuncia tutto alla di lui sposa e sorella Giunone. Giove a questo punto, risentito, le taglia la lingua, la condanna agli inferi e il nome di Lara, che etimologicamente aveva a che fare con il verbo greco laleo, parlare, opportunamente diventa Tacita. Tacita Muta. A Lara è stato messo il bavaglio. Il mito prosegue poi in una maniera abbastanza sconvolgente, che a me con audace volo più che pindarico fa pensare a chi ha interrogato la giovane che accusa di violenza sessuale, tra gli altri, Ciro Grillo. Mi riferisco all’avvocata di Francesco Corsiglia, altro imputato nel processo per stupro, la quale qualche giorno fa ha detto in aula che “un processo si fa per accertare i fatti e i tanti non ricordo”. E quindi voleva sapere certe cose dalla principale accusatrice nonché presunta vittima. Per esempio perché le fossero stati tolti gli slip. Ecco, a questa avvocata capace di condurre “un interrogatorio da Medioevo”, come è stato detto dal legale di parte civile, raccontiamo la fine del mito di Tacita Muta. Scortata agli Inferi da Mercurio, dio dei ladri e messo degli dei, la ninfa viene stuprata e poi partorirà due gemelli, destinati a diventare con lei i guardiani dell’Oltretomba. Se non c’è un silenzio eterno qui. E perché non ha gridato durante la violenza, chiederebbe ora la nostra avvocata a Tacita Muta?

Con un mito siamo dunque riusciti a catturare due fatti di attualità. I nostri due piccioni. E forse non è un caso che adesso entrino in scena una rondine, una upupa, un usignolo. La bellezza del mito è proprio questa: un racconto si incastra in un racconto che si incastra in un altro racconto ancora. A ribadire quanto sia bello e importante riuscire a raccontare, a parlare, avere la libertà di farlo. Ce lo ricordano anche queste due sorelle, due principesse, Procne e Filomela. La prima sposa Tereo, re di Tracia, che però poi violenta la seconda, Filomela, e per assicurarsi che non dica nulla le taglia la lingua. Bavaglio anche a Filomela. Ma lei testardamente non accetta di rimanere muta. Così tesse una tela in cui racconta la sua storia e la invia alla sorella. Succederanno altre cose, perché anche questa storia diventerà un’altra storia da raccontare. Ma a noi interessa che i tre ad un certo punto vengano trasformati in uccelli: Procne una rondine, Filomela un usignolo che ha di nuovo la voce, e una voce bellissima, Tereo un’upupa che annuncia disgrazie.

Trovare il modo. Anche con un arazzo. Far uscire parole libere sempre.


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