Assassinio di Giulia: lo Stato impari la lezione dai suoi familiari

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Una lezione di umanità, comprensione, intelligenza: è quella che stanno dando a tutti noi il padre e la sorella di Giulia Cecchettin che, nonostante il profondo dolore, non si sono abbandonati all’odio.
Chissà che la lezione non riescano a recepirla anche quanti, come Salvini e i suoi seguaci leghisti, sanno ragionare solo in termini di repressione, di castrazione chimica, di ergastoli.
Ma davvero si può credere che chi, in preda ad un raptus di violenza, possa fermarsi pensando a cosa quel raptus potrebbe costargli? La pena di morte è mai servita a far diminuire i delitti? La sua progressiva eliminazione sta certificando il suo fallimento come deterrente.
Qui da noi si cerca invece il puro effetto ricorrendo ancora una volta all’uso di slogan da propaganda, invece di ragionare sulle cause dello spaventoso aumento della violenza maschile sulle donne, su cosa la produce, su quali modelli culturali si fonda.
La divaricazione progressiva tra l’affermazione del proprio diritto alla scelta, alla libertà d’azione, alla costruzione di un proprio modello esistenziale da parte femminile sta violentemente scontrandosi con il vecchio stereotipo dell’uomo che non può ricevere alcun no. Stereotipo vecchissimo che negli ultimi trent’anni, grazie all’ossessione del successo personale, dell’affermazione fisica di sé, all’idea del maschio-padrone ha trovato una nuova esaltazione nei messaggi televisivi, in quelli sportivi, in quelli estetici, in una parola nel berlusconismo.
L’impegno nella lotta politica contro quell’idea del mondo non è andata di pari passo con la lotta a quei modelli culturali che sono diventati sempre più pervasivi, fino a diventare gli unici vincenti. Modelli culturali che, da chi li ha imposti, venivano finalizzati ad un consumismo sfrenato, mentre chi ha cominciato a copiarli passivamente ne ha colto solo l’esteriorità.
Così in tante famiglie nelle quali il bombardamento televisivo è diventato ossessivo, i ‘tronisti’ da adorare sono diventati l’emblema a cui i ragazzi più giovani hanno fatto sempre più riferimento. Successo non solo fisico, ma anche nelle relazioni, addirittura anche tra i banchi di scuola. Quanti insegnanti sono stati aggrediti da genitori insoddisfatti o offesi da voti o note legittimamente assegnati ai rampolli?
Se si trasferisce tutto questo nei rapporti interpersonali si comincia a capire quali orribili meccanismi di rivalità se non di vero e proprio odio sono nati tra il maschio schiavo della propria idea di supremazia che non deve ottenere rifiuti e la vita del tutto nuova di giovani donne aperte al mondo, all’affermazione della propria libera esistenza.
Quanta responsabilità ha lo Stato nel non aver voluto contrastare questo rapido precipitare verso l’abisso dello stereotipo maschio-padrone? Ecco perché Elena, la sorella di Giulia, ha avuto ragione quando ha affermato che il brutale assassinio della sorella può essere catalogato come un delitto di stato.
Ora che, nell’undicesimo mese dell’anno, abbiamo superato la soglia delle cento donne uccise brutalmente da uomini che si dichiaravano ‘innamorati’ lo Stato continuerà a tacere, a girarsi dall’altra parte, ad aspettare che la nuova bufera passi? Oppure l’unica voce che sentiremo sarà quella stupida e inutile della repressione, della vendetta, della punizione?
Quando è che finalmente si comincerà ad andare alla radice del male, all’educazione, alla formazione, alla costruzione di rapporti di rispetto paritario come unica, vera base per dare vita a relazioni profonde, anche d’amore?
Se finalmente si comincerà dalle scuole, se la televisione eliminerà immagini e contenuti deleteri soprattutto per le menti più giovani e influenzabili, se anche l’informazione smetterà di osannare solo i vincenti e avrà il coraggio, e la competenza, di descrivere anche come gli insuccessi possono diventare importanti lezioni di vita, senza per questo sentirsi sminuiti, qualcosa comincerà a cambiare anche nelle famiglie. Quanti padri e madri, condizionati da un mondo sempre più competitivo, aspirano soltanto all’affermazione a tutti i costi dei propri figli, dal lavoro alle relazioni sentimentali.
Altro che castrazione chimica! Bisognerebbe cominciare a castrare, a cancellare tutte le idee che impongono all’uomo di dimostrare quello che ha, non quello che è.


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