Vitalità della memoria delle persone e degli oggetti quotidiani. Daniele Gorret, Reliquie, Einaudi, Torino 2023

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Cominciamo dalla fine.

Prendiamo l’Indice e leggiamolo tutto: Il quaderno di scuola, Il passero a terra, La pietra raccolta, Il disco serbatoI peli di CicciusLa parola dimeposenlàiLa foglia nel libroL’immaginetta consacrataLa tendina in cassettoLa lapide di LiaLo specchio marchiatoLa radio silenziosaIl ritratto di PuffIl vocabolario RigutiniLa giacca d’AnselmoI fiori secchiL’immagine della neveCarta aromatica d’eritreaLa tovaglia coprimensaIl pensiero della cortesiaIl libro leopardianoLa foto di famigliaI primi occhialiLa lettera di nonna AngelaIl segnalibro nel quaderno vuotoLa cartolina del paeseL’abito festivo della madreL’antico cioccolatinoLa tartaruga imbalsamataLa moneta ritrovataIl cane di stoppa scomparso.

È un elenco di oggetti, accompagnati da una determinazione: un nome proprio, un aggettivo, un complemento di specificazione o di stato in luogo. Rivestono un ambito ben delimitato di vita vissuta, quotidiana, familiare (l’arredamento, il guardaroba, persone, animali, piante), e soprattutto un mondo femminile (la madre, la nonna, le loro amiche e vicine) e oggetti che riguardano la scuola e la letteratura, (i lemmi più ricorrenti: libroquaderno).

È sufficiente una prima lettura dei testi per renderci conto che si tratta di fotografie, immaginette, cartoline, ritratti, foglie, fiori secchi, vecchi libri, vecchi vestiti, vecchi occhiali, custoditi da buste, album, libri, cassetti, armadi, bauli. Delineando paesaggi e storie, ricostruiscono un’archeologia domestica minuziosa, stratificata nel tempo e articolata ancora più di quanto non abbiamo già rinvenuto in precedenti opere di Daniele Gorret.

Adesso passiamo al titolo: Reliquie.

Che cosa ridesta, in primo luogo, in tutti (credo) questa parola?

L’ambito sacro: il culto, la venerazione delle reliquie. Ciò che resta di una persona santa. Il suo corpo: ossa, sangue. Gli oggetti di sua appartenenza o che riguardano la sua storia: chiodi, pezzi della croce, calici, posate, vestiti.

Cristo, la Sacra famiglia, i Santi. I poteri taumaturgici, talvolta miracolosi, ad esse attribuiti.

Per chi si ricorda un po’ di letteratura, possono risalire alla memoria i versi di Foscolo: «e l’uomo e le sue tombe/ E l’estreme sembianze e le reliquie/ Della terra e del ciel traveste il tempo» (Dei Sepolcri, vv.20-22).

Il vocabolo italiano ricalca, senza cambiamenti, la parola latina, reliquia, appunto, che significa resto, avanzo, relitto. Il verbo relinquere vuol dire: lasciare indietro, rimanere indietro, abbandonare. In biologia la reliquia indica una fauna o una flora residuali, collegabili a condizioni climatiche superate nel territorio in cui si trovano.

Leggiamo, quindi, dalla prefazione, una sorta di auto-prefazione, La Reliquia: «Non c’è difatti luogo più pieno di corpianime di quello che occupa lo spazio delle morti: cimitero cittadino o campagnolo, di marmi, di cumuli di terra, di cementi: non importano gli aspetti e l’eleganza, non contano i dispendi o le vergogne: lì ogni corpo trascorso ed anima passata aspirano a Reliquia che non muoia. Ma non erriamo pensando che soltanto corpi a forma d’umano siano corpi capaci d’attendere a Reliquia; non ossa soltanto di femori e di tibie di teschi di dita e di costati possono trapassare alla Reliquia! Tutto ciò che ha forma peso e storia, tutto quanto è possibile Reliquia: è questo che – fermi, convinti ed ostinati – in questa prefazione sosteniamo! Reliquia è numerosa e multiforme: a lei aspirano nei luoghi più diversi i più diversi aspetti di materia: tutto ciò che nasce per morire, tutto è vita aspirante alla Reliquia!» (La Reliquia, pp.3-4).

Portatrici di un senso panteistico platonico della vita come bios (vita) e psyché (anima), le reliquie di Gorret investono un ambito devozionale sia religioso sia laico, sia umano sia ultra-umano, universale, che interseca ma ci porta oltre il culto dei morti e l’ambito cultuale cattolico.

Passiamo a una lettura più approfondita delle poesie.

Dal punto di vista metrico si tratta di poemetti di settenari ma soprattutto di endecasillabi. È un endecasillabo, da un punto di vista retorico e ritmico, agli antipodi di quello neo-classico, scolpito nel marmo, di Foscolo: l’andamento di Gorret, come ci ha abituati dalle precedenti opere, è prosastico, narrativo, spesso colloquiale, guizzante, ironico, gozzaniano. In questa opera, però, si fa un passo avanti concettuale.

Dal punto di vista dei contenuti, in modo paradossale, si ritorna a Foscolo, andando oltre Dei Sepolcri e la corrispondenza d’amorosi sensi: le reliquie per Gorret, come le tombe per Foscolo, raccolgono e testimoniano eventi e persone scomparsi ma ancora vivi nella memoria. «Reliquia è figlia di Memoria» (p.3), come ci dice la prefazione, ma aggiunge tre righe dopo: «Angelo strambo capace di proferire a bocca chiusa». Che cosa vorrà dire?

La reliquia di Gorret, di solito, è un oggetto materiale (serbato, perduto/ritrovato), traccia mnestica di una persona o di un animale amato come umana persona o di un momento, o di un motivo o di una parte della propria esistenza: i peli conservati del cane Ciccius, una pietra, un quaderno, un abito, dei fiori (secchi), una lettera, una fotografia, un libro, degli occhiali, una moneta, un cioccolatino.

Qualche volta è immagine mentale, ricordo puro, concetto astratto, ma non meno intenso, di un’esperienza vissuta o di una persona. Il cassetto, il contenitore, in cui è conservata la reliquia, in questo caso, è la mente stessa.

In L’immagine della neve, è l’immagine, ferma nel tempo, della prima, magica, neve, lieve e spugnosa, raccolta da bambino e trasformata in palla di neve, densa e pesante, a sua volta trasformata, una volta portata in casa, in una piccola pozza d’acqua.

In Il cane di stoppa scomparso, l’ultima poesia della raccolta, è lo stesso oggetto-giocattolo-reliquia, ormai scomparso ma vivo nella mente, a trarre la forza, discendente da traumi arcaici e archetipici, di sostenere, con relativa evocazione di eroi e miti, un lungo colloquio con il suo proprietario, raccontando la sua drammatica vicenda.

In La parola dimeposenlài, è l’evocazione, tramite un intercalare dialettale che significa nondirmiquestacosa, di una precisa persona, Giorgetta, morta da tempo, di un volto, di una bocca: «Ora, pensando, ci appare la bocca:/ larga, potente, capace di curve/ un poco a destra un poco a sinistra/ e poi in alto e quindi in basso di nuovo:/ “dimeposenlài” ridetto ripetuto.» (p.19).

In Il pensiero della cortesia, si tratta di Amalia, la quintessenza della cortesia: «È questo il caso dell’infinita cortesia/ della signora Amalia Bratnata Costante/ che visse porta a porta con l’alloggio/ che allora nonna Angela abitava.» (p.49).

Le reliquie, però, nel libro di Gorret, non sono solo questo. Le reliquie non sono anticaglie o monumenti alla memoria: sono vive esse stesse, sono dotate di sensi propri e ci parlano come e più di persone se le sappiamo e vogliamo ascoltare.

La tendina in cassetto, ad esempio, racconta la storia di una tendina salvata da una servetta che l’ha messa in un baule, disobbedendo alla padrona che le aveva intimato di farla a pezzetti e buttarla nella spazzatura. Come capita spesso alle reliquie, l’oggetto sopravvive al proprietario: «La tenda è ancora viva nella casa:/ come fato ha deciso ed ha voluto,/ padrona è stramorta e non sa nulla/ ma tendina è visibile a chiunque.» (La tendina in cassetto, p.27). Ma è viva anche in un altro senso: «è immagine rappresa che contiene/ la quale immagine se vuole/ esce da lei e subito sa agire:/ immagine agente la chiamano difatti/i dottori studiosi di reliquie./ Tale immagine da vista passa ai sensi/ e dai sensi trapassa a cuore e mente// Oh, come sanno gli ingenui ed i bambini/ che toccare la tendina porta bene!» (p.28). Immagine, dunque, che, partendo dalla vista, coinvolge grazie alla sua concretezza gli altri sensi (il tatto: toccare la tendina), entra nel cuore e nella mente.

In La foglia del libro, una foglia di betulla, lasciata in una vecchia edizione della Commedia di Dante, è riuscita ad assorbire come solo un vegetale può fare, in modo immaginalemisterioso, con scienza vegetale, i versi scritti, grazie a un materiale, la carta, già di per sé vivo e vegetale: «Lì da quarantanove anni foglia dorme/ e ha dormito talmente bene e a lungo/ da essersi non solo conservata/ intatta come foglia appena colta,/ da essersi coltivata alla lettura!/ Come potrebbe la foglia di betulla/ non avere assorbito qualche verso,/ di quelli che la pagina contiene?» (p.21).

In L’immaginetta consacrata, (immaginetta di San Michele, stampata nel XIX secolo, appartenuta a nonna Angela), non sono valse le traversie di due secoli, odiorivoluzioniterremoti, a cancellarla: «Ora difatti è qua, di nuovo riposata/ bene inquadrata sopra il tavolino,/ come il secolo intero che è trascorso/fosse ormai per lei solo viaggio/ necessario a trovare nuovo porto:/ un po’ viaggio un poco scherzo lieve/ tanto per dire adesso: “Non son persa/ e se al mondo ci sono ancora cose/ che non svaniscono del tutto, queste cose/ è chiaro che siamo noi, son le reliquie”» (p.25).

Daniele Gorret

In Lo specchio marchiato, si tratta di uno specchio vecchissimo: «in lui sono rimaste come intrappolate/ le immagini gli istanti le figure/ che furono degli avi e della casa/ che specchio vide e specchio conservò.»(p.31). È la stessa realtà magica e metafisica de La scacchiera davanti allo specchio di Massimo Bontempelli. Ma nel realismo magico di Bontempelli è la magia a mettere in movimento la realtà, in Gorret è l’opposto: è la realtà concreta della vita, tramite la memoria, che innesca la magia, le sue metamorfosi. Soltanto l’uomo stolido può pensare che lo specchio sia un oggetto stupido, incapace di storie, privo di memoria. «Specchio al contrario è tutto sensitivo,/ distingue più o meno fulgide le luci,/ partecipa di spazi partecipa di tempi/ ha dentro di sé i volti da bisnonno/ a nonno a prozio a padre a tutti noi.» (p.31).

Con l’immagine e con la forza dell’immaginare, la reliquia diviene una sorta di macchina del tempo, che trasforma una radio silenziosa, (La radio silenziosa, p.33), una radio a valvole silente appesa a un trespolo della sala, in un deus ex-machina che rievoca e ricostruisce la scena di una famiglia che si riunisce devotamente intorno a essa per ascoltare un lungo melodramma.

In Il libro leopardiano si tratta del miracolo più esaltante, la poesia, quello che si può far risalire alle ventuno lettere dell’alfabeto: «ventuno suoni in modi combinati/ tali da fare, essi da soli, un mondo:/ quello dei Canti in cui egli è vissuto,/ egli s’è dato e tanto ha ricevuto…/ Sente la forza della scienza sacra/ delle lettere del semplice alfabeto:/ non l’alfabeto che s’usa sui giornali,/ non di pubblicità stramenzognera/ ma di poesia che ne è la cosa opposta;» (p.51).

Come già aveva fatto in La pietra raccolta una pietra, in Il segnalibro nel quaderno vuoto è il più umile degli oggetti della cultura, un segnalibro, a prendere, sia pure come se dicesse (per finta, era stato precisato nel caso della pietra-reliquia), la parola: «”Basto a me stesso, sto qui dentro il quaderno/ e se un domani qualcuno degli umani/ decidesse per me della mia morte,/ sarei come e dove l’umano decisore/ vorrà finirmi: strappato o spazzatura…/ Ma fin che sono qui, mi sento in regno/ che è tutto mio: segno nel quaderno/ la pagina in cui sono, uguale a tutte/ le altre cento di cui quaderno è fatto”» (p.59). In questo basto a me stesso, in questa voce che ci parla nel presente da un altrove atemporale, in questo regno/segno, c’è il potere più intrigante della reliquia di Gorret: un potere evocativo di un mondo a se stante, parallelo al nostro, dotato di un potere autobiologico, che gli consente di vivere tra di noi, in noi, spesso senza che noi ce ne accorgiamo, integro, autonomo, silente ma sempre pronto a sbloccarsi se sappiamo come azionarlo. Un meccanismo segreto, pronto a parlare, a testimoniare, a descrivere, se si è pronti ad ascoltarlo. Chiuso se lo si lascia chiuso, aperto ed eloquente, senza retorica, se la luce della memoria e della lingua poetica arriva ad illuminarlo, a dargli vita, come un palombaro o uno speleologo/archeologo che scende nelle profondità del mare o della terra e trova gli oggetti smarriti dal tempo, adagiati sui fondali da naufragi: anfore, statue, monete, clessidre, capitelli.

La lingua poetica e l’umanesimo panteista di Gorret hanno la prerogativa di risvegliare il passato, un mondo quotidiano, umile ma vigoroso, inconfondibile, unico, di piccole, a volte minuscole cose dimenticate, abbandonate nei depositi della casa o della memoria, di mettercelo davanti agli occhi, sotto il naso, in mano, viva e vegeta, parlante presenza.

Vitalità della memoria delle persone e degli oggetti quotidiani. Daniele Gorret, Reliquie, Einaudi, Torino 2023


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