Napolitano stimato ma bocciato nel Pci

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Giorgio Napolitano sapeva sorprendere. Nel giugno del 1992 con passo elegante attraversa la sala stampa della Camera. Si ferma davanti a un televisore che trasmette un servizio del Tg2. Si rivolge al vostro cronista con aria quasi distaccata e commenta: «Quel signore che parla mi sembra di conoscerlo!».

Il riferimento è a se stesso, al discorso tenuto poco prima nell’aula di Montecitorio dopo l’elezione a presidente della Camera. Non sono tempi facili. Nel febbraio del 1992 è arrestato Mario Chiesa, è appena scoppiata Tangentopoli.

Napolitano muore a Roma il 22 settembre alla veneranda età di 98 anni. I funerali laici si svolgono la mattina di martedì 26 settembre, giornata di lutto nazionale, nell’aula Montecitorio.  Attraversa da protagonista la Prima e la Seconda Repubblica, fa politica per ben 80 anni e per 50 anni è deputato a Montecitorio e all’Europarlamento: un primato. Da giovane nel Pci il suo riferimento è Giorgio Amendola, il leader della destra comunista.

Compassato, severo, competente, meticoloso. Napolitano incute rispetto, è chiamato Lord Carrington a Botteghe Oscure per l’eleganza e lo stile aristocratico. Ma non è amato con la sola eccezione della sua corrente, allora si diceva “componente” in ossequio alla regola del “centralismo democratico” di matrice leninista. Conosce grandi vittorie e grandi sconfitte. Per tre volte intravede la possibilità di diventare segretario del Pci ma è sempre battuto: prima da Berlinguer, poi da Natta e quindi da Occhetto. La sua colpa è di essere un “migliorista”. L’appellativo lo conia Pietro Ingrao, il leader della sinistra comunista, perché (questa è l’imputazione) vuole migliorare e non superare il sistema capitalista.

Fino agli anni Ottanta “migliorista” è un’offesa cocente nel partito. Coincide con l’accusa di socialdemocratico, una qualifica che non suona come un complimento, è quasi un’imputazione di collusione con il “nemico di classe” (la borghesia) e con i cugini-avversari del Psi. Il contrasto è duro con Enrico Berlinguer dopo il fallimento del compromesso storico. Accusa il segretario del Pci di settarismo per la linea di scontro frontale con il Psi di Bettino Craxi, per il varo dell’eurocomunismo, per la critica della socialdemocrazia, per l’isolamento politico del partito. Insiste per costruire un partito riformista, del socialismo europeo. Parla un inglese fluente, è il primo comunista italiano ad andare negli Stati Uniti.

Ma il partito ama e dà ragione a Berlinguer. Crolla il comunismo e l’Unione Sovietica tuttavia non vince, non diventa mai segretario. Il Pci subisce una continua metamorfosi diventando prima Pds, poi Ds e quindi Pd. Ma l’identità politica resta confusa: un po’ liberaldemocratica, ecopacifista, socialista, postcomunista.

I “giovani” Massimo D’Alema e Walter Veltroni alla guida del partito vanno per conto loro. La Seconda Repubblica leaderista e maggioritaria nasce nel segno di Silvio Berlusconi. Il fondatore di Mediaset e di Forza Italia per la prima volta nella storia della Repubblica riesce ad unificare e a guidare al successo il centro-destra. Napolitano è stimato da Romano Prodi e da Carlo Azeglio Ciampi, diventa ministro dell’Interno. Ciampi lo nomina senatore a vita e da lì parte lo slancio per il grande salto al Quirinale. È eletto presidente della Repubblica mentre l’Italia è travagliata da una grave crisi politica, economica, sociale e morale. Esplode la crisi del berlusconismo: da capo dello Stato pilota la successione a Palazzo Chigi del tecnico Mario Monti a Berlusconi. Coniuga idealismo e realismo. L’interventismo di Napolitano è forte. Berlusconi parla di un complotto ma lui dal Colle respinge tutto al mittente: le accuse sono “solo fumo”.

L’Italia è in caduta libera. Il sistema politico s’imballa, non riesce nemmeno ad eleggere un suo successore al Quirinale e prega Napolitano di accettare un secondo mandato. Egli accetta nonostante l’età avanzata e la salute malferma ma lo fa strigliando i partiti per la loro “impotenza”.

Il bis di Napolitano è il chiaro segno dello sfaldamento della Seconda Repubblica, quella fondata sul bipolarismo tra centro-sinistra e centro-destra. Non a caso irrompono sulla scena il populismo, il sovranismo, l’antieuropeismo di Beppe Grillo e di Matteo Salvini. La vittoria elettorale dei cinquestelle di Grillo e dei leghisti di Salvini cancella tutta una classe dirigente, vara il governo Conte uno giallo-verde e dà vita alla Terza Repubblica.

Con Napolitano segretario del Pci forse la storia politica italiana sarebbe stata diversa. Forse sarebbe nata una sinistra unita, riformista, socialdemocratica. Forse ci sarebbe una democrazia più solida. Oggi la sinistra, invece, è praticamente cancellata, ininfluente. La destra prima ha vinto con Berlusconi e poi con Giorgia Meloni.


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