Gigantesco sfruttamento del lavoro nero tra gli operatori del Mof. Impietoso dossier della Finanza

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L’estate sta per finire quando quattro finanzieri della Tenenza di Fondi entrano al Mof, uno dei più grandi agglomerati si stoccaggio e smistamento di ortofrutta in Italia. Non cercano droga stavolta, per quanto i vettori di ortaggi da e per il Mof vengano considerati i migliori corrieri di hashish e cocaina dalla Spagna; e non cercano armi, nonostante quasi tutti i pentiti del clan dei casalesi indichino Fondi come uno dei luoghi di passaggio del commercio di armi. Gli uomini del capitano Lauretti cercano lavoratori. E li trovano. Scoprono un gigantesco buco fiscale e previdenziale che nasconde un maxi giro di impiego in nero di facchini che lavorano dentro al Mof per conto di 3 società accreditate dentro lo spazio gestito da Mof spa, società, va ricordato, partecipata dalla Regione Lazio. Ciò che emerge dall’accertamento della Fiamme Gialle reso noto in queste ore non sorprende visto il livello di sfruttamento in Italia, lascia invece perplessi il fatto che tutto ciò che hanno rilevato i finanzieri sia bellamente sfuggito ai controlli interni. I numeri sono impietosi: 185 lavoratori irregolari, di cui 12 completamente in nero, oltre a compensi in nero per più di 90.000 euro e circa 14.000 ore per le quali non sono stati corrisposti i contributi assistenziali e previdenziali; per 35 dipendenti, inoltre, è stato appurata la mancata fruizione, per lunghi periodi, dei previsti riposi settimanali. Non si è trattato di un errore o di scarsa conoscenza delle norme. Lo prova quanto verificato dopo il blitz al mercato ortofrutticolo. Ed ecco cosa scrive la Guardia di Finanza: “…mediante specifiche verifiche successivamente avviate”, sono stati individuati “diversi modus operandi strumentali all’evasione di contributi previdenziali ed assistenziali e ritenute ai fini Irpef. Sono stati, in particolare, ricostruiti i compensi in nero corrisposti a numerosi dipendenti, nonché l’adozione di forme di organizzazione del lavoro e di retribuzione della prestazione caratterizzate sia da maggiori ore e giornate lavorate e non retribuite in busta paga, sia dal collocamento di lavoratori presso aziende di comodo aduse ad eludere le tutele previste dal diritto del lavoro. In un caso, riguardante la somministrazione di un appalto di manodopera, sono stati individuati 110 lavoratori irregolari i quali, sebbene dipendenti di un’azienda operativa nel settore degli imballaggi, risultavano formalmente assunti da due diverse imprese opportunamente interposte al fine di attrarre su di esse gli oneri della normativa giuslavoristica (previdenziali e assistenziali) e le conseguenze di eventuali controversie con i lavoratori o con l’Erario”. Evasione e sfruttamento erano organizzati in modo sistematico, parallelo. Nessun dettaglio della relazione degli investigatori sorprende fino in fondo e anzi prova che la seconda voce di pil della provincia di Latina (l’agricoltura) fonda su un feroce sfruttamento dei lavoratori, sia stranieri che italiani. Gli indizi c’erano già tutti. Lo ha più volte denunciato il sociologo e docente universitario Marco Omizzolo che, per questo, ha ricevuto plurime minacce negli ultimi anni. Lo stesso giorno in cui  sono stati diffusi i dati dell’inchiesta sui lavoratori irregolari al Mof proprio Omizzolo era in Tribunale con  un bracciante indiano che ha testimoniato contro il suo ex datore di lavoro che in piena pandemia gli negò l’uso della mascherina e alla insistenza del lavoratore rispose massacrandolo di botte con la collaborazione del figlio; entrambi adesso rispondono di lesioni. Il lavoratore indiano si è costituito parte civile tramite l’avvocato Silvia Calderoni dell’ associazione Progetto Diritti e la storia è stata raccontata nei dettagli da Omizzolo nel suo libro “Per motivi di giustizia”.


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