Appetricchio – di Fabienne Agliardi

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Una lettura intensa, al contempo scorrevole, originalissima, effervescente, a tratti esilarante, che accompagnerà il lettore in una “terra di mezzo”, in un “non luogo”, alla ricerca delle proprie radici, del posto del cuore, dove poter ritrovare sé stesso. Chi non vorrebbe avere un posto del cuore?

“Giunti a Petricchio, i Bresciani parcheggiavano in uno slargo sullo stradone e Guidodario dava cinque colpi di clacson prolungati per favorire l’eco. In punta di piedi spostavano i bagagli sul ponte, scivolando due o tre volte tra un pertuso e l’altro. Dall’altra parte li attendeva il motozappa, che a Petric- chio si usava con l’articolo “il”, mezzo di locomozione più in voga a Petricchio: motore diesel Ruggerini 350 di cilin- drata con rimorchio a cassone e accensione a corda. La traghettata nel bosco costava la ragguardevole cifra di mil- le lire, ma Cumbabbiaggio Perciasepe, l’allevatore di maiali e Caronte alla bisogna, permetteva anche due viaggi in- nanz e arrète – metti che t’eri portato troppe valigie.

Petricchio è un luogo della memoria, dove potersi rifugiare per sentirsi coccolati da voci lontane che parlano un idioma strano, difficile da comprendere, ma che vanno diritte al cuore, che riportano ricordi, sensazioni mai scomparse del tutto e che non aspettano altro per essere risvegliate.

Un luogo magico, sicuro, dove il lettore potrà immergersi per riscoprire le parti di sé più autentiche, libere da ogni condizionamento, sino a trovare il senso di appartenenza ad una comunità.

Un “non luogo” della mente, un Topos, un rifugio sicuro dove potersi ritrovare insieme agli affetti di un tempo. Un mondo che si fa esso stesso narrazione, mitico ma, forse, anche reale.

Situato sul fianco di una montagna, non distante dal mare, Petricchio (diventato Appetricchio per la consuetudine degli abitanti di premettere a qualsiasi nome la A e raddoppiando la prima consonante) è come Narnia (cit.), al di fuori delle mappe e dalle rotte, diviso dal resto del mondo da un ponte malfermo che nessun petricchese attraversa, e da un bosco di serpi. Ma ad Appetricchio c’è tutto per il sostentamento della popolazione e nessuno si avventura “laffòra” e se viene chiesto agli abitanti dove si trovano, rispondono: “Arréte a o’ vallone”. Nessuno di loro, in realtà, sa dove si trovi Petricchio.

Un romanzo scritto ricorrendo in larga parte ad un idioma del tutto originale, che può sembrare ostico, ma la cui lettura viene facilitata dalle traduzioni ivi presenti le quali accompagnano questa “parlata” oscura, fatta di un susseguirsi cadenzato di: “lannànz”, “larréte”, “labbàsh”, “langòppa”, “laddìnda”, “laffòra”.

Petricchio è un paesino di venticinque anime, per lo più sordomuti e stravaganti, ma destinati a crescere di numero grazie alla figliolanza della famiglia Colasuonno.  Quasi tutti i maschi si chiamano Rocco, in onore del Santo patrono, e nessuno degli abitanti viene chiamato per cognome; per distinguerli, al nome viene abbinato il mestiere svolto: RoccoPonte, Rocchetano (figlio di Rocco e nipote di Gaetano). D’altronde, a Petricchio il cognome non serve!

Il romanzo di Fabienne Agliardi: “Appetricchio” (288 pp. € 18), in libreria dal 5 settembre con Fazi Editore, è un racconto originale, in cui l’autrice rappresenta un mondo altro attraverso l’utilizzo efficace e sapiente di un idioma d’altri tempi, dai contorni quasi magici, in cui i confini tra fantasia e realtà sono sfuggenti. Un “non luogo” in cui anche il tempo sembra collassare, con il presente che richiama continuamente il passato e viceversa.

Insomma, un’operazione di realismo fantastico, in cui l’elemento magico può essere intuito ma mai spiegato.

Al centro della trama la famiglia Bresciani, di Brescia, appunto! composta da Guidodario, Rosa e i figli gemelli Mapi e Lupo. Rosa è petricchese e, sebbene viva a Brescia, la sua famiglia ha trascorso molte estati ad Appetricchio. Il racconto si snoda nelle rievocazioni dei trascorsi petricchesi della famiglia, i personaggi incontrati e le storie vissute, sino ad un colpo di scena che interromperà per lungo tempo i rientri estivi al paese.

Una lettura intensa, che farà viaggiare il lettore con la mente, indietro nel tempo, alla ricerca del proprio posto del cuore, dove poter ritrovare sé stesso. D’altronde, chi non vorrebbe avere un posto del cuore?

Il tutto con una scrittura leggera, originalissima, dotata di grande vivacità, effervescente, e dal susseguirsi incalzante di elementi di grande effetto. A tratti esilarante.

Avvertenza per il lettore: Il petricchese, ci spiega l’Autrice nel glossario è: un vernacolo perlopiù incomprensibile come le descrizioni degli oggetti in tedesco su eBay. Ed è questo che lo rende speciale. 


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