Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu. Biografia di una combattente per tutta la vita

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Tra il 1958 e il ’59, quando frequentavo la terza o la quarta elementare alla scuola G.Giusti di Milano, ci venne a trovare in classe una signora alta e snella, dal bel portamento che non mi parve giovane: era Joyce Lussu. In quell’occasione sentii per la prima volta la celebre poesia “Un paio di scarpette rosse” e da allora non ho più dimenticato che cosa fossero stati i campi di concentramento né il nome di Joyce Lussu. Negli anni Novanta  mi imbattei con un certo stupore in un suo libro, “La Sibilla” della collana L’Arma e la ferita” (1987), e fu così che mi resi conto che Joyce Lussu era ancora attiva e lavorava su temi di interesse per le donne, che già mi appassionavano. Non potevo perciò ignorare la sua biografia “La Sibilla. Vita di Joyce Lussu”, Laterza 2022, scritta da Silvia Ballestra, dopo anni di colloqui con lei, con la quale aveva una lunga storia di amicizia e collaborazione. La biografia riprende lo stesso titolo di quel libro, non solo per i vari studi fatti da Joyce sulla Sibilla picena, ma anche perché, come spiega l’autrice, in qualche modo Joyce stessa è stata una sibilla, nel senso che intendeva lei: una donna sapiente, “intera”, libera.

Il libro di Ballestra è  denso di fatti ed eventi come densa è stata la lunga vita della protagonista, vita che si intreccia con la storia e la politica. Joyce Lussu nasce Salvadori nel 1912 a Firenze;  è discendente di famiglie aristocratiche e proprietarie terriere marchigiane, ma i suoi genitori  avevano rinunciato ai privilegi per le loro convinzioni politiche. Quando Joyce aveva dodici anni il padre  uscì vivo miracolosamente da un pestaggio fascista, che mise in pericolo anche il figlio Max. In quell’occasione Joyce fece una riflessione che la portò a una scelta per la vita cui tenne sempre fede “Noi donne eravamo rimaste a casa in relativa sicurezza; mentre i due uomini della famiglia avevano dovuto buttarsi allo sbaraglio, affrontare i pericoli esterni, la brutalità di una lotta senza quartiere. E giurai a me stessa che mai avrei usato i tradizionali privilegi femminili: se rissa aveva da esserci, nella rissa ci sarei stata anch’io”. Dopo il feroce pestaggio per la famiglia Salvadori l’unica via di salvezza appare la fuga  e comincia dunque nel 1924 anche per Joyce la via dell’esilio, che la porterà a vagare per l’Europa fino al suo rientro in Italia solo nell’ 1943. L’esilio, i frequenti spostamenti della famiglia, soprattutto fra la Francia e la Svizzera, i continui problemi con le autorità per i documenti segneranno profondamente la vita senza radici di Joyce e dei fratelli. Lei, che comunque era stata allevata in famiglia a “pane e Divina Commedia”, farà studi irregolari per circostanze, ma anche per scelte culturali  e politiche. Le contingenze però faranno di lei una poliglotta, parlerà italiano, inglese, francese, tedesco, portoghese e ciò sarà prezioso sia per la sua attività di resistente che  di scrittrice. Ballestra nella biografia  di Joyce non può fare a meno di dedicare diverse pagine a Emilio Lussu, l’uomo della sua vita. Inizialmente il punto in  comune fra i due sarà  Giustizia e Libertà, movimento antifascista fondato  a Parigi nel 1929 proprio da Emilio Lussu e Carlo Rosselli intorno a un gruppo di esuli fuggiti dal confino e dalle squadracce fasciste e che ha  per obiettivo l’insurrezione e l’abbattimento del regime. I giovani fratelli Salvadori, Max e Joyce, ardenti antifascisti, aderiranno subito. A quel tempo Emilio Lussu è già un mito. Nato ad Armungia nel 1890, laureato in Giurisprudenza a Cagliari, amatissimo comandante della brigata Sassari (nella prima guerra mondiale ha ricevuto ben quattro medaglie dopo quattro anni di trincea per azioni sull’altopiano del Carso e della Bainsizza), ex deputato del Partito sardo d’azione, ha pagata cara la sua militanza antifascista. Condannato a cinque anni di confino a Lipari, si è reso protagonista di una rocambolesca evasione dall’isola, diventata poi leggenda, insieme a Carlo Rosselli e  Francesco Fausto Nitti. E’ proprio per organizzare la fuga dal confino a Ponza del fratello Max che Joyce nel 1933 va a Ginevra a incontrare Lussu.

E’ “il colpo di fulmine dei romanzi dell’Ottocento” racconterà poi Joyce, ma passeranno alcuni anni perché si ritrovino nel 1938  dopo intense vicende personali e politiche, tra cui un matrimonio di Joyce in seguito annullato. Da allora comincerà la loro lotta antifascista e antinazista insieme, in piena consonanza, inoltre come coppia riuscivano a insospettire meno la polizia. Joyce e Emilio vivranno in clandestinità, assumeranno diverse identità, attraverseranno frontiere, muovendosi tra la Francia e la Svizzera, risiederanno un periodo in Portogallo, paese neutrale, parteciperanno a importanti missioni in Inghilterra ed Emilio si recherà per due mesi negli Usa per un suo piano di insurrezione in Italia a partire dalla Sardegna. Il piano è preso in considerazione da inglesi e americani, ma poi non se ne farà nulla. Intanto riusciranno a organizzare l’espatrio clandestino di ebrei e di tanti compagni perseguitati e in pericolo; Joyce si specializzerà nella produzione di documenti falsi, tecnica appresa da un compagno di GL ,  pittore – decoratore che stava per lasciare la Francia dopo essere evaso due volte dal carcere. Con questi documenti salverà la vita a molte persone e anche al vecchio leader socialista Emanuele Modigliani e alla moglie Vera, che troveranno la salvezza in Svizzera grazie allo straordinario coraggio di Joyce, che non potrà però sottrarsi all’arresto dei gendarmi francesi.

Dopo dieci giorni di carcere  viene rilasciata grazie alla liberalità del prefetto di Grenoble che crede alla sua storia di giovane patriota francese che ha messo in salvo  i vecchi zii ebrei facendoli espatriare in Svizzera. Emilio aveva nel frattempo già messo a punto con i compagni un piano di evasione per Joyce. Dopo la caduta di Mussolini nell’estate del’43 riusciranno a tornare clandestinamente e sotto falsa identità in Italia, partecipando attivamente alla Resistenza. Emilio continuerà il suo lavoro di tessitura politica con gli altri partiti e il CLN per preparare l’insurrezione e tenere aperta la strada alla costituzione della repubblica; Joyce compirà azioni pericolose di collegamento come attraversare con mezzi di fortuna e per lo più a piedi l’Italia occupata dai tedeschi e raggiungere il Sud liberato e ritorno, per concordare con gli americani lanci di armi  da paracadutare nei pressi di Bracciano. Ballestra sottolinea la circostanza fortunata per cui   questi straordinari combattenti sono anche due valenti scrittori, così che noi oggi possiamo leggere le loro preziose testimonianze. Per conoscere la loro partecipazione alla Resistenza intesa in una dimensione internazionale, come la  concepivano loro, Ballestra fa riferimento a due testi che sembrano dialogare tra loro: “Fronti e frontiere” di Joyce e “Diplomazia clandestina” di Emilio. “Lì, Joyce ha messo tutto. Se ogni tanto, nei suoi scritti, Emilio taglia corto sulla componente avventurosa e sembra dedicarsi di più a tratteggiare la situazione storica e spiega in dettaglio il lavoro politico, Joyce si sofferma nelle descrizioni, nell’osservazione delle persone, nella rievocazione di tutte le dimensioni delle vicende della sua lotta di liberazione …  Entrambi ripercorrono le vicende degli anni della resistenza che li hanno visti lavorare fianco a fianco con ruoli ora simili  ora profondamente diversi, ma sempre protagonisti della storia ”. Nei mesi febbrili che precedono la Liberazione  Emilio segue il suo percorso che lo porterà a riprendere la carriera politica nelle istituzioni da ricostruire; Joyce comincia a interessarsi anche alla questione femminile. Aderisce all’UDI (Unione donne italiane) costituitasi come Comitato provvisorio a Roma nel ’44 e ufficialmente nel ’45 a Firenze, con organo di stampa lo storico periodico “Noi donne”.

Dopo la Liberazione Emilio farà parte dei governi Parri, De Gasperi, sarà Deputato, Senatore per il Partito d’Azione, parteciperà alla Costituente. Il ruolo di moglie del ministro non fa per Joyce che troverà strade autonome e diverse per continuare il suo impegno di  combattente; l’aspetto straordinario di questa figura è che è rimasta una resistente per tutta la vita, anticipando temi e questioni che ancora oggi ci impegnano, come il problema ambientale. La seconda parte della biografia è molto interessante perché si diffonde nell’illustrare  l’ampio percorso di Joyce dal dopoguerra fino alla morte. Parlando con l’autrice Joyce parlerà di periodizzazione della sua vita in decenni : “… dal ’48 al’58 comizi elettorali, sindacati, partiti di massa, Unione donne italiane. Conseguenza: ulcera gastrica con operazione d’urgenza. Dal’58 al 68: molti viaggi, ricerca di poesie nel mondo, partecipazione a movimenti di liberazione anticolonialisti, in Africa e in Medio Oriente.

Conseguenze: stata sempre benissimo”. In realtà Joyce nel dopoguerra diventa presto critica non solo verso le forze della conservazione, ma anche verso i partiti di sinistra e la politica maschile. Nel 1953 esce dalla dirigenza dell’Udi, ma continuerà il suo lavoro oltre che per le donne, per i bambini, le testimonianze nelle scuole e sempre più significativo diventerà il suo impegno per la pace. Bertrand Russell le affida l’incarico di fondare la sezione italiana del Tribunale Russell, organismo etico e non giudiziario che ha fondato con Sartre. Joyce  diverrà responsabile della sezione italiana nel ’66 di questa istituzione che ha lo scopo di indagare sui crimini di guerra commessi dagli americani in Vietnam. Joyce intensificherà la sua attività di scrittura e troverà un’attività originale e feconda, che la porta  “oltre la frontiera della notorietà di Emilio”: tradurre e far conoscere in Italia poeti rivoluzionari del Terzo mondo. Fondamentale sarà il suo incontro con Nazim Hikmet, poeta turco  perseguitato politico e esule. Joyce non conosce il turco, ma insieme elaborano un metodo per tradurre poesia anche non conoscendo direttamente la lingua, ma attraverso un intenso dialogo con l’autore in altre lingue comuni e una stretta collaborazione. L’attività di traduzione di poeti rivoluzionari la porterà a viaggiare fino in Africa e a impegnarsi per le lotte anticoloniali e a compiere altre azioni audaci. Tradurrà tra gli altri Agostinho Neto e i mozambicani José Craveirinha e Marcelino dos Santos. Collaborare alle lotte di questi paesi che cercano di creare delle società libere per lei significa cercare di realizzare l’utopia, che ritiene non un miraggio né una fuga dalla realtà, ma proprio ciò che  potrebbe essere fatto. Negli ultimi anni risiederà nella casa di famiglia di S. Tommaso nelle Marche, vicina ai fratelli, ma continuerà a scrivere e a  elaborare “utopie possibili” fino alla morte nel 1998.


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