Elon Musk e il bisogno di rendersi autonomi. Lettera alla segretaria del PD su comunicazione e dintorni

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Cara Elly Schlein,

senz’altro avrai seguito l’incresciosa vicenda di Twitter, ormai irriconoscibile da quando ne è diventato proprietario Elon Musk. Va bene che ciascuno con i suoi soldi è libero di fare ciò che meglio crede, ma non di decidere per una comunità composta da milioni di persone in tutto il mondo, costrette a fare i conti con nuove regole cervellotiche e con richieste che non stanno né in cielo né in terra: motivi per cui, personalmente, da diverso tempo ho smesso di utilizzare questo social network, non ritenendolo più in linea con i miei standard etici e con la mia idea di giornalismo. Se parto da qui, tuttavia, è per sottolineare una necessità assai più ampia. Cara Elly, come sai, da esperta di comunicazione quale sei, siamo ormai al cospetto di veri e propri meta-stati, con fatturati che si avvicinano a ai bilanci dei paesi del G7 e un potere, politico e mediatico, senza precedenti. Sono le conseguenze della globalizzazione senza regole: la stessa contro cui ci siamo battuti fin dai tempi di Seattle e di Genova, la stessa che proprio in Italia è stata repressa nel sangue, la stessa che ci ha condotto nel baratro attuale, la stessa che ora molti denunciano dopo averla esaltata acriticamente per due decenni. Sono anche le conseguenze della progressiva sparizione della sinistra, alquanto connessa all’avanzare di una globalizzazione dissennata, fino alla tragedia attuale di un Occidente in preda all’ascesa della destra più estrema e pericolosa. A tal proposito, occhio a non esaltarsi troppo per lo scampato pericolo spagnolo: è un bene che VOX sia arretrato rispetto alle previsioni, così come è un bene che il PSOE abbia retto e che Sumar abbia conseguito un risultato più che positivo; fatto sta che la prospettiva più probabile è che il paese sia costretto a tornare alle urne fra qualche mese, col serio rischio che la destra ottenga i voti e i seggi che per fortuna le sono stati negati lo scorso 23 luglio. Quanto all’Italia, abbiamo le nostre peculiarità.

Cara Elly, proprio come me appartieni alla generazione che era adolescente nei giorni di Genova e delle Torri Gemelle, che ha iniziato a fare politica contro le distorsioni provocate dal berlusconismo e che ha scelto la sinistra perché si riconosce nei valori progressisti e nell’idea di contrastare le disuguaglianze che stanno rendendo la nostra società una giungla. Ci conosciamo da dieci anni, ne abbiamo parlato più volte anche di persona e siamo entrambi coscienti di quanto i disastri perpetuati negli ultimi vent’anni abbiano sconvolto il nostro stare insieme. Ebbene, uno dei principali riguarda l’informazione. Così non si può andare avanti. Non si può accettare un servizio pubblico in cui non trova spazio Roberto Saviano, in cui volti storici sono costretti, di fatto, a traslocare altrove e in cui il pluralismo delle opinioni è messo in discussione come mai prima d’ora. Non ci si venga a dire che è sempre stato così perché non è vero. Pochi, infatti, conoscono meglio di noi l’editto bulgaro, i suoi retroscena e la devastazione che ha generato: in RAI e non solo in RAI. Qui siamo di fronte a qualcosa di diverso: a una “normalizzazione” della TV di Stato in cui, sostanzialmente, a troppi sembra perfettamente legittimo che l’esecutivo dia le carte e le opposizioni, al massimo, abbiano la facoltà di scegliersi qualche vicedirettore. Di fronte a un quadro del genere, dovere della sinistra è tenersene fuori. Occorre un atto di coraggio, un gesto degno della tua storia e delle tue battaglie politiche, le stesse per cui molte e molti di noi, pur scoraggiati, lo scorso 26 febbraio hanno deciso di mettersi in fila a un gazebo per darti fiducia.

Cara Elly,

non c’è nulla di consueto in ciò che sta accadendo. E non si tratta di questo o quel partito, di questa o quella casacca, di questo o quel piano editoriale. Si tratta dell’idea che lo spirito critico debba essere relegato in soffitta, che il grande giornalismo d’inchiesta debba cedere il passo alla celebrazione del made in Italy, che il bisogno di giustizia delle masse debba essere soppiantato dal cinismo dei soliti noti. Di fronte a tutto questo, ti chiedo due cortesie. La prima è quella di non accettare ulteriormente questo schema, anche a costo di deludere le legittime aspirazioni di qualcuno. Se necessario, diserta, dai un segnale tangibile, tieniti alla larga da logiche che rischiano di farti apparire come tutti gli altri, anche perché per te questo sarebbe esiziale. La seconda, ed è l’aspetto più importante, dotati di una comunicazione autonoma e autorevole. Non esiste al mondo che un partito delle dimensioni del PD non abbia una propria televisione, un proprio giornale, foss’anche on-line, un centro studi all’altezza e la capacità di veicolare il proprio pensiero in tutte le sedi. Qualcosa si muove, qualcosa di apprezzabile sta già avvenendo, ma non basta. È indispensabile che il PD recuperi un filo diretto col Paese, che produca cultura e interviste di qualità, che demistifichi una narrazione unilaterale e spesso inesatta degli eventi, che dia voce a chi non ha voce, che porti microfoni e telecamere nelle aree della disperazione e del disagio, che renda nuovamente protagonisti i giovani, umiliati da chiunque e abbandonati a se stessi, che si dedichi alla controcultura e alla contestazione dell’esistente e che lo faccia subito, senza aspettare le Europee o qualche altra scadenza elettorale, considerando anche che questo processo è imprescindibile e deve venire prima di ogni altra iniziativa. Con meno di questo, mi spiace dirtelo, ma bisognerà continuare a mendicare uno strapuntino qua e là, un’ospitata in qualche talk, un vicedirettore a dritta e uno a manca, perdendo, al contempo, credibilità e possibilità di incidere nel dibattito pubblico.

Cara Elly,

mi appello qui non solo alla segretaria del PD ma, più che mai, alla documentarista, alla donna animata da una passione civile senza eguali, all’amica che ho conosciuto nei giorni in cui vennero occupate le sedi dem per dire no alle larghe intese e alla definitiva berlusconizzazione del nostro partito. Bersani si giocò la segreteria e Palazzo Chigi per tenere la barra dritta, rifiutandosi di governare con Berlusconi e comprendendo, con generosità, che il Paese avesse chiesto alle urne un radicale cambio di paradigma. Tu oggi sei chiamata ad avere altrettanto coraggio. Costi quel che costi, devi renderti autonoma sul piano comunicativo, indipendente per quanto riguarda la proposta politica e massimamente collaborativa con le altre forze del centrosinistra. Per questo, un dibattito interno all’altezza, che non scada mai nell’autoreferenzialità, è imprescindibile.

Per quanto mi riguarda, se serve, sono disponibile a dare una mano, non avendo mai sopportato coloro che lanciano importanti proposte senza mettersi in gioco in prima persona. Se di generosità c’è bisogno, e ce n’è bisogno eccome, questa sfida riguarda tutte e tutti noi.

Con profonda stima,

Roberto Bertoni


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