Sanità pubblica priorità assoluta, aderiamo alla manifestazione di oggi

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Il ministro della salute Orazio Schillaci è l’unico in questo governo che ha competenza nella materia di cui si occupa, la salute. E si vede. Nell’incontro con i sindacati finalizzato ad evitare le due manifestazioni di oggi (24 giugno), Schillaci ha tracciato un piano interessante per il rilancio della sanità pubblica, ma con due problemi aperti non di poco conto: non ci sono i soldi e non c’è il personale. Aggiungo: non c’è l’impegno del resto del governo e del capo del governo. Aggiungo ancora: cercano di oscurare la sua volontà di formare tavoli di confronto con le categorie interessate.

Così il ministro si arrovella per far partire entro il 2026 Case e ospedali di comunità, dove medici di base e ancor più infermieri  dovrebbero avere un ruolo di primo piano ma non se ne trovano più.

Secondo una memoria della Corte dei Conti relativa al 2022 di infermieri oggi ne mancano almeno 65mila, equamente divisi tra ospedale e territorio. Ma a questi ne vanno aggiunti altri 20mila, che secondo i calcoli della Fnopi, la federazione degli Ordini infermieristici occorrono per far funzionare le nuove strutture territoriali  e di assistenza domiciliare, al netto dei 10mila che già lavorano in quelle esistenti in alcune regioni italiane. Un numero in questo momento impossibile da reperire nel mercato, tanto più che ne servono anche per far funzionare i posti letto di terapia intensiva e sub intensiva che si sono creati in fretta e furia durante la pandemia.

I medici di base dovrebbero nel frattempo diminuire di oltre 30.000 unità, dal momento che la generazione che sta andando in pensione quasi mai accetta i due anni che gli vengono offerti per restare al loro posto anche aumentando gli assistititi.

Nessuno riesce poi a fermare la fuga, che lo stesso ministero definisce “di massa” dai presidi di pronto soccorso in tutta Italia. E questo mentre si discute di autonomia differenziata che metterebbe definitivamente in ginocchio la sanità già disastrata di molte regioni del sud, amplificando quella orrenda cosa chiamata “turismo sanitario” che ha fatto tornare l’Italia a prima del 1978, anno in cui grazie alla tenacia di Tina Anselmi fu approvato il sistema sanitario nazionale “per applicare la carta costituzionale che prevede eguale assistenza per la salute ad ogni cittadino”.

Tutto è stato cancellato anno dopo anno, tagli di spesa dopo tagli di spesa, USL diventate ASL, concorsi fatti per favorire i raccomandati e non il merito e ora l’assegnazione anche dai soldi del PNRR di cifre ridicole per risanare la sanità pubblica. Quella che giustamente il senatore e medico Andrea Crisanti definisce uno specchietto per le allodole, chiedendo che la politica esca ufficialmente dall’assegnazione dei posti nella sanità.

Un solo altro dato per far comprendere il quadro:La fuga all’estero soprattutto degli infermieri è inarrestabile. Dal 2000 al 2018, senza il Covid, sono stati 29.826 a varcare il confine, attratti da stipendi e possibilità di carriera migliori. In pratica circa 1.600 l’anno. Ora in soli tre anni, dal 2019 al 2021, a espatriare soprattutto nel Regno Unito, dove i nostri infermieri sono apprezzatissimi, sono stati 17.809, pari a circa seimila l’anno, quasi quattro volte tanto che in passato.

E quindi in piazza accanto al sindacato il 24 giugno per difendere prima di tutto noi stessi: lo dico senza nascondere quel sano egoismo che dovrebbe toccare tutti noi: se la sanità pubblica non funziona siamo tutti più a rischio. Chi non capisce che un medico, un infermiere, un operatore sanitario devono essere pagati come in tutti i paesi europei perché dome dappertutto salvano vite.

A meno che tanta politica, come ci insegna la regione Lombardia governata da 30 anni dalla destra, scelga scientificamente di azzoppare la sanità pubblica per passare tutto al privato. Il che vuol dire una cosa semplice e già ampiamente dimostrata: la mortalità aumenta nelle regioni dove la sanità pubblica viene abbandonata.


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