La nostra idea di libertà dei media, Articolo 21 in audizione nelle Commissioni. Il dossier integrale

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La portavoce e il  presidente del nostro Comitato dei Garanti di Articolo 21, Elisa Marincola e Vincenzo Vita, sono stati auditi oggi presso le Commissioni riunite VII (Cultura, Scienza e Istruzione) e IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati  nell’ambito dell’esame della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro comune per i servizi di media nel mercato interno (legge europea per la libertà dei media) e modifica la direttiva 2010/13/UE.
Il contributo di Articolo 21 ha realizzato un focus su due punti. Il primo riguarda l’uso diffuso di strumenti posti in essere da diverse autorità giudiziarie di strumenti volti a comprimere la libertà dei giornalisti nell’esercizio della loro professione e, per effetto diretto, del diritto dei cittadini

all’informazione; il secondo riguarda il ruolo dei media del servizio pubblico e la loro indipendenza. I documenti depositati da Marincola e Vita approfondiscono casi specifici e propongono
correttivi legislativi non più rinviabili, specie in relazione all’effetto del decreto Cartabia e alla recente bozza di riforma della pubblicazione delle intercettazioni.
Vincenzo Vita ha sottolineato tra l’altro l’importanza di “salvaguardare il valore di un provvedimento che ha uno spirito riformatore notevole ed evoca un’idea avanzata di Europa lontana dagli egoismi sovranisti”…
Di seguito riportiamo il testo integrale di entrambi i documenti che vogliono essere un contributo costruttivo all’effettivo riconoscimento della libertà di espressione in Italia.

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Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro comune per i servizi di media nell’ambito del mercato interno (legge europea per la libertà dei media) e modifica la direttiva 2010/13/UE.

Sintesi dell’audizione di giovedì 29 giugno 2023 presso le commissioni riunite della Camera dei deputati VII e IX, di Vincenzo Vita

Il testo in corso di valutazione rappresenta, per citare un’efficace sintesi del compianto Paolo Murialdi all’indomani dell’approvazione della riforma dell’editoria del 1981 (l.416), un compromesso positivo.

L’importanza dell’articolato, ora alle prese con la sua complessa parabola normativa, sancisce principi importanti che sottolineano l’indipendenza del sistema della comunicazione e di chi vi opera. Per un verso, dunque, si introducono criteri generali che illuminano diritti e doveri di un’Unione europea che qui pare vivere in un fortunato contesto unitario e solidale.

I 28 articoli, accompagnati da un’efficace relazione e da note allegate esplicative, percorrono i vari tornanti del conflitto tra l’ambito mediale e gli altri poteri che sembrano volerlo condizionare profondamente. Non viviamo, infatti, in una stagione improntata al tradizionale affresco democratico e liberale delle nostre società, bensì ad un’involuzione da qualche parte della politologia chiamata democratura. In suo recente bel volume (2023) la giornalista Tonia Mastrobuoni, a lungo corrispondente nelle capitali europee, grida l’allarme sul quadro fosco in materia in Polonia e in Ungheria. Non parliamo di Nazioni di un altro mappamondo, bensì di vicini di casa che, come quel noto settimanale, contano ormai numerosi tentativi di imitazione.

Insomma, l’articolato per l’intanto sembra volto alla lettura garantista e positiva. Tuttavia, le insidie sono già entrate in scena.

Qual è, infatti, la porta di ingresso di una volontà peggiorativa e intrisa di tentazioni autoritarie? Gli articoli 4 e 5 – diritti dei fornitori di servizi di media, garanzie per il funzionamento indipendente dei fornitori di media di servizio pubblico- rischiano di essere il Cavallo di troia per un’insidiosa manovra covata nella sede del Consiglio, rappresentativo degli Stati e non dell’Ue in quanto tale, come sono (o dovrebbero essere) la Commissione e il Parlamento europeo.

Ecco. Parrebbe apertasi l’offensiva per trasformare l’eccezione nella regola: la giusta previsione delle lettere b e c del secondo comma dell’articolo 4 sul non utilizzo di intercettazioni, sorveglianze, sequestri, perquisizioni, spyware è squarciata dall’eventuale utilizzo per motivi di sicurezza nazionale. Lo squarcio, solo potenziale nel testo, nella tentata revisione in sede di Consiglio dove vincono le logiche nazionali, rischia di allargarsi.

Sarebbe una stecca che inficerebbe la bontà dell’intera opera, che verrebbe ricordata per l’eccezione e non per la regola. Hanno lanciato l’allarme tanto l’Ordine dei giornalisti quanto la Federazione nazionale della stampa con gli omologhi europei, quanto voci da Strasburgo.

Mi permetto, quindi, di suggerire alle Commissioni di rafforzare tale punto, anche per salvaguardare il valore di un provvedimento che ha uno spirito riformatore notevole ed evoca un’idea avanzata di Europa lontana dagli egoismi sovranisti. Ricorda il Regolamento, per la volontà innovativa contenuta, un passaggio degli anni Ottanta del secolo scorso che ha fatto epoca. Il riferimento è alla direttiva “Televisione senza frontiere” (89/552/CEE), capace all’epoca di infondere nei decisori nazionali criteri improntati ad una visione europea. Così, se non vi saranno manomissioni delle parole, anche il Regolamento in questione assurgerebbe a calco essenziale per migliorare norme ancora chiuse ed arretrate.

Così, parrebbe augurabile un riferimento esplicito alle azioni giudiziarie intimidatorie contro che svolge con coraggio il lavoro di inchiesta. Parliamo, tra l’altro, delle cosiddette SLAP (Strategic Lawsuit Against Public Partecipation). In Italia, ad esempio, sono numerose le legislature che hanno avviato interventi contro le liti temerarie, senza arrivare al varo finale. E sui giornalisti si è scatenata in svariati Paesi la repressione, a cominciare da ciò che accade nel teatro della guerra in Ucraina.

Infine, un appello alla rilettura del testo, per evitare qualche sovrapposizione con i paralleli Atti di Bruxelles: Digital Services Act e Digital Markets Act. E un invito a specificare che il Comitato europeo per i servizi di media, sostitutivo dell’ERGA (European Regulators Group for Audiovisual Media Services) non potrà avere funzioni cogenti nei riguardi dell’attività di coloro che operano nell’informazione.

PS. Tutto ciò va, ovviamente, agganciato in corsa alla riflessione sull’intelligenza artificiale. Ci aspetta un asperrimo corpo a corpo tra umano e non umano.

Vi ringrazio e buon lavoro
(Vincenzo Vita)

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EMFA – CONTRIBUTO ASSOCIAZIONE ARTICOLO 21. LIBERI DI PRESENTAZIONE

Articolo 21 è un’associazione nata nel febbraio 2022 dall’iniziativa di persone di diversi settori, non solo giornalisti: esponenti dello spettacolo e della cultura, dell’università, giuristi, docenti delle scuole di diversi gradi, anche semplici cittadine e cittadini animati dai valori democratici e convinti sostenitori della centralità della libertà di espressione e dell’Articolo 21 della Costituzione che ne ribadisce il ruolo centrale in difesa della Repubblica italiana.

Oggi siamo presenti in tutte le regioni con circoli regionali e presidi territoriali.

Articolo 21 collabora con MFRR – Media Freedom Rapid Response, il progetto di monitoraggio europeo sugli attacchi alla libertà dei media avviato da OBCT e altre sigle europee. Nell’ambito di questa collaborazione Articolo 21 ha fornito un contributo essenziale al Gruppo di lavoro transnazionale anti-Slapp, con l’obiettivo di arrivare a una normativa europea per impedire che querele e liti temerarie continuino ad essere di fatto uno strumento intimidatorio per giornalisti, attivisti dei diritti umani e cittadini. L’Italia è, infatti, il paese con l’utilizzo più diffuso di questa modalità di pressione, anche da parte di esponenti delle istituzioni e delle spesse Amministrazioni pubbliche. Il lavoro di confronto ed elaborazione di proposte, consegnate alle autorità europee, ha contribuito a creare i presupposti per arrivare alla proposta, concordata dal Consiglio dell’UE, di direttiva tesa a proteggere giornalisti e difensori dei diritti umani da domande manifestamente infondate o procedimenti giudiziari abusivi. Il progetto di direttiva istituirà garanzie procedurali contro tali domande in materia civile con implicazioni transfrontaliere.

Articolo 21 è stato anche audito dalla Commissione europea nella elaborazione del Rapporto 2022 sullo Stato di diritto dell’Unione per il capitolo sulla situazione dei media e della comunicazione in Italia.

CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE SU EMFA

La nostra bussola consiste nell’Articolo 3 “Diritti dei destinatari dei servizi di media”: I destinatari dei servizi di media nell’Unione hanno il diritto di ricevere una pluralità di notizie e contenuti di attualità, prodotti nel rispetto della libertà editoriale dei fornitori di servizi di media, a beneficio del dibattito pubblico.”

Riguardo al percorso per avviare la EMFA/Legge europea per la libertà dei Media, l’impegno di Articolo 21 si concentra su due punti in particolare.

Il primo punto riguarda l’Articolo 4, e nello specifico i due passaggi seguenti della parte introduttiva, che citiamo per brevità:

agevolare la fornitura di servizi di media di qualità riducendo il rischio di ingerenze indebite, pubbliche e private, nella libertà editoriale. La proposta mira a garantire che i giornalisti e i responsabili editoriali possano lavorare senza subire ingerenze, anche quando si tratta di proteggere le proprie fonti e comunicazioni. Promuovendo l’indipendenza editoriale, la proposta assicura altresì una migliore tutela degli interessi dei destinatari dei servizi di media”.

Alla luce delle recenti minacce ai danni di fonti giornalistiche, la proposta prevede un’ulteriore garanzia volta a contrastare la diffusione di spyware nei dispositivi utilizzati dai fornitori di servizi di media o dai giornalisti sulla base delle tutele loro garantite dalla direttiva 2002/58/CE (direttiva e-privacy), dalla direttiva (UE) 2016/680 (direttiva sulla protezione dei dati nelle attività di polizia e giudiziarie) e dalla direttiva 2013/40/UE relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione.”

Questi due passaggi sono strettamente connessi e rispondono a un diffuso utilizzo da parte di diverse Autorità giudiziarie di strumenti quali interrogatori, perquisizioni di redazioni e abitazioni private, sequestro di cellulari e altri dispositivi, fino a intercettazioni anche mirate (si veda il caso della procura di Trapani nei confronti di numerosi giornalisti intercettati non in quanto soggetto passivo come accaduto ad esempio alla cronista freelance Nancy Porsia che parlava con la propria legale Alessandra Ballerini). Si è arrivati anche a pedinamenti di giornalisti per individuarne le fonti, peraltro pubbliche, e interrogatori degli stessi rei di aver pubblicato documenti già pubblici, in quanto parti di fascicoli di inchieste decennali ma mai presi in esame dalle stesse Autorità giudiziarie (es: il caso di Paolo Mondani giornalista di Report).

E ancora: per l’esposto di un politico, la procura di Roma ha proceduto ad acquisire i tabulati telefonici dell’autore di Report Sigfrido Ranucci e del giornalista Giorgio Mottola, al fine non di comprovare un’ipotesi di reato ma evidentemente per individuarne i contatti e le fonti.

Ultimo episodio molto grave è stato il provvedimento emanato dal Ministero dell’interno nel 2017 ai danni dei giornalisti Nicola Borzi, all’epoca in forze al Sole24Ore, e Francesco Bonazzi di intercettazioni e sequestro di telefoni e hard disk, per la pubblicazione di un’inchiesta sui conti dei servizi di intelligence presso Banca Nuova, che vedevano tra i beneficiari di contributi personalità di politica, magistratura, informazione, forze dell’ordine, pubbliche amministrazioni.

Purtroppo, sono innumerevoli gli episodi simili che hanno coinvolto cronisti “indipendenti” magari di territori periferici e non illuminati dai media nazionali. L’effetto è quasi sempre la perdita di informazione di interesse pubblico.

Su questa falsa riga di provvedimenti rivolti a giornalisti e organi di informazione ma mirati all’individuazione delle fonti, nel 2021 il Tar del Lazio ha emanato una sentenza che equiparava i giornalisti del Servizio pubblico radiotelevisivo ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nell’obbligo di trasparenza anche riguardo alle fonti. Nello specifico, si trattava di un servizio realizzato quasi esclusivamente grazie all’analisi di documentazione di pubbliche amministrazioni. Quindi ad essere colpiti sarebbero stati proprio quei dipendenti delle stesse P.A. che, su richiesta del giornalista, avevano risposto ufficialmente a mail di richiesta di chiarimenti.

Una sentenza riformata da Consiglio di stato per quanto riguarda i giornalisti del programma d’inchiesta della Rai.

Facciamo notare che diverse pubbliche amministrazioni non rispondono o rispondono con difficoltà e con dati ridotti alle richieste di dati e documentazione che dovrebbero essere pubblici di per sé in base alla legge 241/1990 e al successivo Codice della trasparenza Dlgs. 33/2013 conseguente alle norme anticorruzione.

A questi provvedimenti diretti esclusivamente a individuare e a intimidire le fonti (whistleblower, semplici cittadini, o altro), si aggiungono la legge cosiddetta sulla “presunzione di innocenza” e la connessa Riforma Cartabia per la parte sulla pubblicità dell’azione inquirente, e la bozza di riforma delle intercettazioni ideata dal ministro della giustizia Carlo Nordio.

Entrambi i provvedimenti, il primo in vigore da un anno e mezzo, sono oggettivi limiti al diritto non tanto del giornalista al reperimento di notizie, quanto del diritto di cronaca che ha come veri beneficiari cittadine e cittadini, privati di informazioni anche vitali per la propria realtà quotidiana, e tanto più per le scelte di maggior respiro, politico, economico, sanitario.

Articolo 21 fa presente che sia i provvedimenti giudiziari a danno di giornalisti, ma qualsiasi normativa che limiti l’accesso a notizie di interesse pubblico sono platealmente contrari alla giurisprudenza della CEDU (Corte europea dei diritti dell’Uomo), consolidatasi negli ultimi trent’anni in questa direzione, fino anche alle più recenti pronunce.

Si invita, quindi, il Parlamento italiano a farsi interprete di una revisione della più recente normativa in materia e provvedere a rafforzare il capitolo della difesa delle fonti e del dovere del giornalista di rendere conto delle notizie di cui è in possesso, ovviamente sempre secondo i principi di verità e continenza e seguendo le regole dell’informazione di qualità (Su questo richiamiamo la “Carta di Assisi”, decalogo redatto da Articolo21 su ispirazione del Sacro convento dei francescani di Assisi, insieme a Odg nazionale, Fnsi, Carta di Roma, Cività cattolica, e comunità laiche e religiose di diverse fedi).

Sul punto della qualità dell’informazione riprendiamo, sempre dalla premessa alla Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, al punto 19: “È fondamentale che i destinatari dei servizi di media sappiano con certezza chi sta dietro ai mezzi di informazione e chi li possiede, in modo da poter individuare e comprendere i potenziali conflitti di interesse, il che rappresenta un prerequisito per la formazione di opinioni ben informate e di conseguenza per la partecipazione attiva a una democrazia.” Questo passaggio può oggi acquisire anche un ruolo di dissuasione dall’utilizzo dell’IA nelle sue varie modalità (ChatGpt etc) per sostituire il vero e proprio lavoro del giornalista “fisico”, a vantaggio della qualità e attendibilità delle notizie.

Infine, sempre nell’ambito delle garanzie per ridurre “ingerenze indebite, pubbliche e private, nella libertà editoriale” è essenziale e di estrema urgenza che si proceda a livello europeo all’elaborazione finale e approvazione della “Direttiva contro le azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica”, le cosiddette “Slapp”, strumento di censura generalmente avviato da persone influenti, gruppi di lobby, società e organi statali. Mirano a censurare, intimidire e mettere a tacere gli oppositori, imponendo loro l’onere delle spese legali di difesa fino a quando non desistono dalle loro posizioni critiche o dalla loro opposizione. Nei fatti, colpiscono soprattutto cronisti indipendenti, piccoli blog, piccole testate locali, ma anche difensori dei diritti umani e cittadini che denunciano situazioni presuntamente dannose per sé e per gli altri. Arrivano a colpire persino ricercatori e accademici. Sono ormai quasi sempre preventive, diffide a pubblicare e non più querele su quanto affermato o pubblicato. Il carattere temerario e censorio è manifesto e nulla ha a che vedere con la difesa della privacy o con la correttezza dei contenuti, non ancora resi noti.

In Italia, nelle passate legislature sono stati presentati svariate proposte e disegni di legge a salvaguardia della libertà di espressione e di informazione, ma nessun testo ha avuto il privilegio di arrivare all’approvazione. Contiamo che l’iniziativa di livello europeo porti a una normativa condivisa, anche transfrontaliera.

Il secondo punto che Articolo21 intende evidenziare riguarda il capitolo sulla “raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sulla governance dei media di servizio pubblico. In tale raccomandazione si afferma che i media di servizio pubblico devono operare e svilupparsi nell’ambito di un quadro di governance sostenibile che assicuri sia l’indipendenza editoriale sia la rendicontabilità pubblica necessarie.”

Il ruolo dei media di Servizio pubblico è centrale, sia per garantire la fruizione al pubblico di una informazione e di cultura che dovrebbero essere liberi da pressioni di qualsiasi genere e rappresentare la pluralità di culture, sensibilità provenienza sociale ed economica, nel solco dei valori fondanti della Carta costituzionale, sia come traino anche nei confronti delle altre realtà editoriali soprattutto negli ambiti meno commercialmente appetibili che in aree del mondo poco o nulla rappresentate. La sede Rai di Nairobi, ad esempio, alla sua apertura aveva dato nuovo impulso a raccontare un continente ignorato.

L’indipendenza, richiamata nel Regolamento europeo, è sicuramente legata alle risorse economiche garantite dal cosiddetto “canone” che negli ultimi anni ha vissuto sorti incerte che non danno sicurezza sul fronte della programmazione, finendo per essere nei fatti uno strumento di pressione e ricatto da parte del potere esecutivo.

L’indipendenza citata nel documento europeo, però, dipende anche dal sistema di governance, che in Italia è andato in direzione contraria rispetto ai richiami di molte Autorità sia nazionali che europee. Questo non da oggi, alle diverse proposte di riforma che prospettavano istituti indipendenti quali la fondazione o un consiglio di soggetti autonomi, si è risposto con la legge di riforma del 2015, che ha garantito un controllo diretto sul vertice decisionale (amministratore delegato) del Governo (MEF) prima ancora del Parlamento.

Articolo21 non vuole entrare in questa occasione nello specifico che richiederebbe una sessione dedicata, ma auspica che questa Legislatura senta l’esigenza democratica di aprire un confronto per un nuovo assetto che garantisca l’autonomia di questo fondamentale strumento di democrazia.

Ricordiamo, infine, che l’Italia non ha mai affrontato la grande questione del conflitto di interessi, che non riguarda unicamente il settore dei media ma che in questo settore finisce per operare da condizionamento sulla formazione dell’opinione pubblica e quindi sulla reale possibilità di una cittadinanza consapevole.

Roma, 29 giugno 2023
(Elisa Marincola)


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