Il lato debole della spesa del Pnrr si chiama anticorruzione. Ecco cosa rischia la sanità nel Lazio

0 0

Nel Lazio stanno per arrivare 673 milioni di euro nella sanità soldi che andranno a rafforzare la rete delle case di comunità, gli ospedali e i sistemi ITC . Occorre analizzare i rischi di corruzione e di infiltrazione dei vari sistemi criminali operativi nel Lazio che sono già pronti ad appropriarsi di parte di queste risorse.

Il panorama criminale romano e laziale rappresenta un unicum in tutta Italia che si caratterizza per la presenza e il radicamento di associazioni criminali di diversa matrice che convivono, scambiandosi favori, beni e servizi e soprattutto informazioni. Esistono nel Lazio organizzazioni di matrice “tradizionale quale la ‘ndrangheta ad esempio il clan Gallace il cui radicamento da trent’anni nell’area tra Anzio, Ardea e Nettuno è stato statuito già da sentenze passate in giudicato (si tratta del territorio ove insiste la Asl Roma 6), detto clan ha una spiccata capacità di influenzare l’attività della p.a. e di insinuarsi negli appalti pubblici come attestano i recenti scioglimenti per mafia dei consigli comunali di Anzio e Nettuno (quest’ultimo già sciolto una prima volta nel 2005). Altre organizzazioni tradizionali sono presenti nella capitale: i Rinzivillo clan di Gela (la cui “mafiosità” è stata accertata anche nel Lazio da sentenze del tribunale di Roma) questo clan ha dimostrato una spiccata capacità di penetrazione nel mondo delle amministrazioni pubbliche (l’operatività del clan Rinzivillo è stata individuata nel territorio ascrivibile a quello della Asl Roma 1). Le sentenze dei tribunali campani e del tribunale di Latina hanno tratteggiato l’esistenza e l’operatività tra Aprilia, Anzio, Nettuno, Formia, Castelforte e aree limitrofe di strutture riferibili al clan dei casalesi (quindi si prenda in esame il territorio di competenza delle Asl di Latina e Asl Roma 6).

Il secondo tratto distintivo del Lazio è quello della presenza di mafie autoctone agguerrite e radicate in molti quartieri di Roma. E’ il caso dei Fascini e degli Spada di Ostia (territorio che ricade nella Asl di Roma 3). Entrambe le strutture mafiose hanno dimostrato una notevole capacità (soprattutto il clan Fasciani) di intrattenere rapporti, stabili, con una parte della p.a. e della classe dirigente del X municipio come attesta tra gli altri lo scioglimento per mafia del consiglio municipale di Ostia avvenuto nel 2015.

Il clan autoctono dei Casamonica è un’associazione criminale radicata nella capitale sin dagli anni 60 ove ha operato intrattenendo rapporti con associazioni criminali di particolare potere come la banda della magliana, la ‘ndrangheta e la camorra. Detta associazione criminale il cui carattere di associazione di tipo mafioso è stato statuito in diverse sentenze di primo e secondo grado gode di un forte potere nelle aree tra la tuscolana e la Romanina (territorio di competenza della Asl Roma 2).

Nel capoluogo pontino è fortemente radicato il clan DI Silvio collegato al clan Casamonica di Roma con forti legami di parentela. Il clan Di Silvio anch’esso un clan autoctono è stato colpito da sentenze anche definitive che ne rappresentano lo status di associazione di tipo mafioso (opera nel capoluogo ove insiste la Asl di Latina). Sentenze di primo grado e le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia ne hanno delineato la capacità di intrattenere rapporti anche con taluni esponenti politici di rilievo regionale e nazionale.

Un terzo genere di associazioni criminali caratterizzato per l’utilizzo del cd metodo mafioso ovvero per l’utilizzo di una forza d’intimidazione per compiere diversi reati, dall’usura, all’estorsione, al traffico e allo spaccio di droga è presente nei quartieri di Tor Bella Monaca e Montespaccato. Le associazioni criminali di Tor Bella Monaca non hanno dimostrato, allo stato, interesse per il condizionamento o l’infiltrazione della p.a. Tutt’altro discorso invece per l’organizzazione criminale di Franco Gambacurta in Montespaccato, consorteria criminale che il tribunale e la corte di appello della capitale hanno riconosciuto usare il metodo mafioso per il compimento e la gestione di business criminali nonché la capacità di avere rapporti diretti con taluni esponenti municipali della p.a. sia nella politica sia nel ruolo tecnico.

Di fronte a queste variegate e potenti strutture criminali il piano di resilienza nazionale il cd recovery plan che prevede investimenti per 673 milioni di euro per modernizzare e rafforzare la sanità laziale. Tra i principali “meccanismi di protezione” e di difesa dell’integrità della p.a. sono oggi –purtroppo spesso sconosciuti alla maggior parte della cittadinanza ed anche-a volte- agli stessi agenti della p.a. Sono le norme fissate nel codice di comportamento e nella legge 241.90 sulla prevenzione del conflitto d’interessi che è un fenomeno a monte della corruzione. Il conflitto d’interessi si ha quando vi è un conflitto, anche potenziale, tra gli interessi privati del pubblico dipendente e gli obblighi dello stesso nel perseguimento degli interessi della collettività. La nostra Costituzione stabilisce nell’articolo 98 che i dipendenti pubblici sono al servizio esclusivo della nazione e devono, articolo 97, perseguire il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. E qua c’è la prima criticità: questo meccanismo spesso va in crisi e non funziona. Lo dimostrano, anche recentemente, le inchieste giornalistiche e della magistratura che stanno facendo emergere le criticità in alcuni concorsi pubblici del Lazio. Dal conflitto d’interessi il passo successivo spesso è la commissione di reati, ma la sua stessa violazione costituisce responsabilità disciplinare per il dipendente pubblico. Uno strumento altrettanto importante per prevenire la corruzione ed individuare le aree di rischio in tutte le articolazioni dell’amministrazione e degli enti dello stato (dalle scuole, ai comuni e alle asl) è il piano anticorruzione (che ciascun ente deve approvare entro il 31 gennaio di ogni anno). Nel piano anti corruzione la legge prevede che si deve correttamente inquadrare sia la situazione esterna all’ente sia quella interna. Immaginiamo di dover applicare questo “modello” alla vita reale quando si deve avviare una qualsiasi attività è necessario anzi fondamentale sapere dove si va ad operare e quale è la situazione del territorio e le sue criticità. Gli strumenti di prevenzione oggi come non mai devono essere valorizzati, come andrebbe valorizzato il ruolo di tutti i responsabili anti corruzione sia nei comuni spesso e volentieri oggetto anche di pressioni mafiose (solo nel Lazio sono stati sciolti nel 2005 il consiglio comunale di Nettuno, nel il Municipio di Ostia nel 2015 per accertato condizionamento mafioso, nel 2022 di nuovo Nettuno ed Anzio).

Molti dei Comuni sopracitati possiedono dei Piani anticorruzione ineccepibili dal punto di vista formale ed hanno messo in atto misure di prevenzione, come la rotazione degli incarichi e degli affidatari dei contratti; hanno dei canali di segnalazione interna di condotte illecite (whistleblowing); in molte ASL i Responsabili della prevenzione della corruzione hanno anche costituito dei gruppi di referenti interni. Purtroppo tutto questo armamentario di misure, ruoli e procedure non sembra aver “impermeabilizzato” le amministrazioni dal rischio di infiltrazioni e non sembra aver prodotto una reale “cultura dell’integrità”. Perché? In un certo senso, la debolezza delle strategie di prevenzione della corruzione sta nella loro astrattezza e nel fatto che le amministrazioni vivono questi obblighi normativi come dei meri adempimenti.

Invece, le operazioni che mettono in atto i clan per infiltrarsi e per sequestrare i decisori pubblici locali sono assai concrete. Nel linguaggio della prevenzione della corruzione e dei conflitti di interessi, le cd. “infiltrazioni” si traducono in relazioni di frequentazione abituale, rapporti di familiarità, di credito economico o di altra natura tra esponenti dei clan e soggetti che prestano la loro opera all’interno delle amministrazioni in qualità di funzionari o di organi di indirizzo politico. E’ quello che emerge, ad esempio, nella relazione prefettizia sullo scioglimento del Comune di Anzio dove si parla di interessenze e frequentazioni tra amministratori comunali ed esponenti della malavita locale; rapporti finalizzati ad ottenere appoggi elettorali alle amministrative del 2018. E’ chiaro che una volta consolidato il debito “relazionale”, il clan avrà buon gioco a rivalersi sul “decisore pubblico” nell’ambito di una procedura che lo interessa.

Il rischio di “sequestro” del decisore pubblico, l’effetto perverso dell’infiltrazione mafiosa, spesso non emerge dalle analisi condotte dai responsabili della prevenzione della corruzione che, all’interno dei piani di prevenzione della corruzione, disegnano contesti esterni ed interni piuttosto irrealistici e non contengono alcuna analisi critica delle interferenze che la componente di indirizzo politico opera a danno degli uffici amministrativi. Del resto come potrebbe un Responsabile della prevenzione della corruzione, che di norma in un Ente Locale è il Segretario comunale che riceve un incarico fiduciario dal Sindaco di turno, mettere in discussione le condotte e gli atteggiamenti della parte politica che lo ha selezionato? La stessa cosa si può dire per le Aziende sanitarie, dove il Responsabile della prevenzione della corruzione è scelto dal Direttore Generale, a sua volta diretta espressione della parte politica che ha prevalso alle elezioni.

Per ampliare la portata preventiva dei Piani di prevenzione della corruzione per garantirne l’indipendenza ed una certa autorevolezza è cruciale che la società civile, espressione di una cittadinanza attiva, conosca questi strumenti, partecipi alla loro formazione e si faccia sentire dentro e fuori le istituzioni in modo tale da creare una cultura del controllo sociale che includa non solo le azioni e le decisioni degli uffici dell’amministrazione, ma anche la qualità del personale politico e amministrativo, la congruità delle nomine e degli incarichi affidati all’esterno, l’indipendenza delle scelte politiche (soprattutto in merito ai progetti da finanziare tramite PNRR) e la trasparenza nei rapporti tra gruppi di interessi e decisori pubblici.

Che le risorse del PNRR non debbano cadere nelle mani delle organizzazioni mafiose è certamente chiaro a tutti. Quello che forse non è chiaro è che ciascuno può fare la sua parte nel prevenire che ciò accada per davvero.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21