Giovani e società: la violenza come trasgressione o richiesta di aiuto?

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Quali sono i reali effetti della violenza sull’essere umano, soprattutto se ne rimane colpito in giovane età? Esiste un limite invalicabile tra reale e virtuale quando si parla di violenza oppure è fin troppo facile passare dall’uno all’altro tipo?

Nel Rapporto Unicef 2023 si legge che, complessivamente, nel 2022 quasi 37milioni di bambini in tutto il mondo sono sfollati a causa di conflitti e violenze. Un numero che non si contava dalla Seconda guerra mondiale. Cifra che non comprende i bambini sfollati a causa della povertà, dei cambiamenti climatici o alla ricerca di una vita migliore. E non comprende nemmeno i bambini sfollati a causa della guerra in Ucraina. Per la gran parte si tratta di bambini senza uno status ufficiale di migrante o accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria.

Presumibilmente una larga parte di questi minori ha subito o subirà una qualche forma di violenza o vi abbia assistito.

Stando ai dati diffusi da Save the Children a novembre 2021, in Italia sono stati 427mila i minorenni che nell’arco temporale 2009-2014 hanno vissuto la violenza dentro casa. Diretta o indiretta. In questo secondo caso si parla di violenza passiva, definita dal Cismai – Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia – come «il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori».

La violenza domestica, diretta e indiretta, ha degli effetti dal punto di vista fisico, cognitivo, comportamentale e sulle capacità di socializzazione dei bambini e degli adolescenti.

 

I dati dell’informativa OMS: Maltrattamenti infantili regalano uno spaccato di società ancora più impressionante:

  • Un quarto di tutti gli adulti dichiara di aver subito abusi fisici durante l’infanzia.
  • Una donna su 5 e un uomo su 13 dichiarano di aver subito violenze sessuali nell’infanzia.
  • Tra le conseguenze dei maltrattamenti infantili ci sono ricadute permanenti sulla salute fisica e mentale, le cui ripercussioni a livello sociale e occupazionale possono finire per rallentare lo sviluppo economico e sociale di un Paese.
  • Prevenire i maltrattamenti infantili prima che inizino è possibile e richiede un approccio multisettoriale.

I maltrattamenti infantili sono un problema mondiale, che comporta gravi conseguenze per l’intera durata dell’esistenza. Lo stress causato dai maltrattamenti è associato a ritardi nella fase iniziale dello sviluppo cerebrale. Uno stress estremo può compromettere lo sviluppo del sistema nervoso e di quello immunitario. Di conseguenza, gli adulti che hanno subito maltrattamenti nell’infanzia presentano un rischio maggiore di sviluppare problemi comportamentali, fisici e mentali, quali:

  • Commettere o subire violenze.
  • Depressione
  • Fumo
  • Obesità.
  • Comportamenti sessuali ad alto rischio.
  • Gravidanze indesiderate.
  • Abuso di alcol e droghe.

 

Non tutti i bambini abusati si trasformano in aggressori, ce ne sono alcuni la cui triste sorte sembra essere la condanna a rimanere vittime.[1]

Ogni evento di natura maltrattante, specialmente se sperimentato precocemente e ripetutamente nelle relazioni primarie di cura, cioè con le figure che dovrebbero garantire sicurezza, affidabilità, stabilità, contenimento affettivo ed emotivo, in carenza o assenza di fattori protettivi e di “resilienza” nel bambino, produce trauma psichico/interpersonale, che colpisce e danneggia le principali funzioni dello sviluppo, provoca una grave deprivazione del potere e del controllo personale, una rilevante distorsione dell’immagine di sé e del mondo circostante.[2]

 

Dunque le persone, in particolare bambini e adolescenti, traumatizzate da qualsiasi forma di violenza manifestano una rilevante distorsione dell’immagine di sé e del mondo circostante. E allora ci si domanda cosa accade in coloro che assistono a una violenza continua “filtrata e somministrata” attraverso qualsivoglia dispositivo: media, pubblicazioni, video, videogiochi, musica, internet e via discorrendo. In particolare ci si chiede se, in un certo qual modo, tutta questa violenza possa  essere considerata una forma di violenza assistita.

 

Tecnicamente per violenza assistita da minori in ambito famigliare si intende il fare esperienza da parte dell’infante di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori. Si includono le violenza messe in atto da minori e/o su altri membri della famiglia, gli abbandoni e i maltrattamenti ai danni di animali domestici.

Il bambino può fare esperienza di tali atti:

  • Direttamente: quando avvengono nel suo campo percettivo.
  • Indirettamente: quando ne è a conoscenza e/o ne percepisce gli effetti.[3]

 

L’utilizzo abituale da parte di bambini e ragazzi delle nuove tecnologie e di internet in particolare, se da una parte rappresenta un’opportunità di ampliare le possibilità di esperienza e di relazione, dall’altro ha modificato le modalità di comunicare e si è rivelato lo scenario di possibili forme di violenza anche molto gravi. Recenti ricerche hanno messo in evidenza l’estrema diffusione, anche nel nostro paese, dell’utilizzo di internet da parte delle nuove generazioni, e come si stiano diffondendo condizioni di rischio di vittimizzazione sessuale.[4]

Anche quando l’infante o l’adolescente non è o non diventa vittima di abuso, reale o online, ma è sottoposto costantemente a immagini, video, videogiochi, narrazioni varie di violenza, cosa accade nella sua mente? Si corre egualmente il rischio di una rilevante distorsione dell’immagine di sé e del mondo circostante?

 

La quasi totalità dei ragazzi oggi dichiara che la fonte unica, primaria e assoluta di insegnamento, apprendimento e ispirazione per la propria sessualità è la pornografia attraverso il web.

La pornografia basa i propri bias sulla carnalità e l’assenza di contesti, emozioni, sentimenti, responsabilità, maturità… le persone diventano corpi-oggetto atti a soddisfare pulsioni. È evidente e palese che il ricorso a questo tipo di visione produca effetti non proprio lodevoli negli adulti quindi si possono facilmente immaginare le conseguenze nefaste che causano sui giovani.[5]

Presumibilmente analoghe conseguenze negative si hanno anche per tutte le altre forme di violenza e aggressività.

161 bambini dai 9 ai 12 anni e 354 studenti universitari sono stati testati assegnando loro, in maniera casuale, un videogioco violento o non violento, di tutti i partecipanti è stata previamente studiata la storia recente come i comportamenti violenti e le preferenze di videogiochi, programmi televisivi o film, dimostrando come l’esposizione alla violenza mediatica sia associata a un comportamento aggressivo e a una desensibilizzazione degli utenti in associazione con mancata empatia e capacità di avere un comportamento prosociale.[6]

 

La battaglia tra chi crede fermamente che la sovraesposizione a una violenza simulata possa condurre quindi un individuo ad avere comportamenti aggressivi nella vita reale e chi, invece, non è convinto esista questa diretta correlazione si combatte tutt’oggi su un campo prettamente teorico, fatto di cifre, statistiche, metodi, studi e conseguenti smentite, critiche su campioni usati per le analisi e nuovi e più ampi soggetti di studio.[7] Ciò che è per certo inconfutabile è il fatto che negli ultimi decenni la violenza – nelle serie televisive come nei videogiochi, in internet e sui social – è notevolmente aumentata. Intendendo con il termine generico “violenza” scene di aggressività, criminalità, maltrattamenti fisici  e sessuali e via discorrendo.

Un problema che andrebbe sottolineato di più è quello dell’effetto di abituazione, ovvero un processo per il quale la ripetizione continuata di uno stimolo determina la diminuzione dell’intensità e della durata di una risposta – tipicamente innata -, fino all’estinzione della risposta stessa che dipende dal confronto tra un modello, formatosi nel cervello relativamente allo stimolo già presentato e il nuovo stimolo in arrivo. L’abituazione è, in sostanza, il contrario della sensibilizzazione.

Ovviamente non si può imputare tutto ai media, ma non si può nemmeno ignorare l’impatto che essi hanno sulla psiche di chi guarda e che, senza una guida sapiente e responsabile accanto, può davvero perdere il senso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.[8]

 

Il male affascina, lo ha sempre fatto. Un racconto con un mistero, un crimine, un delitto, una violenza è certamente più appetibile per molti, altrimenti non si spiegherebbe l’aumento della violenza trasmessa in tutte le sue forme da media, social e internet. Tuttavia non ci si può esimere dal riflettere sul fatto che, forse, l’attrazione alla violenza sia in un certo qual modo una richiesta di aiuto, un tentativo di esorcizzare la paura stessa della violenza. Diventarne artefici per non esserne vittime.

È notevolmente troppo alto il numero di aggressioni inferte, ad esempio, da giovani di ambo i sessi ai danni di loro coetanei, spesso posti in essere come vere e proprie spedizioni punitive che diventano anche virali sui social. La cronaca quotidiana ne riporta talmente tanti che si teme, anche per questo genere di violenza, il fenomeno dell’abituazione.

Ci si chiede quale sia il reale scopo che vogliono ottenere questi giovani e quali sono i modelli comportamentali a cui fanno riferimento.

 

Tralasciando le condizioni dell’ambito clinico caratterizzate da fragilità narcisistica patologica, discontrollo degli impulsi, tendenze antisociali, di frequente, connesse a quanto si esprime come violenza, è possibile rinvenire rabbia da frustrazione – sono tante le ragioni per cui i ragazzi oggi si sentono frustrati -, noia – intesa come stato emotivo spiacevole o come anestesia emotiva e ideativa-, moda. Quest’ultima può sembrare meno associabile alla violenza, ma se si pensa per esempio alla musica quale dimensione che impegna la fase adolescenziale, si può verificare l’attualità del genere trap, così comune e diffuso tra i ragazzi fin dall’età della scuola secondaria di primo grado, che di fatto inneggia alla violenza con testi cupi e minacciosi, i cui temi tipici di vita da strada tra criminalità e disagio, povertà e droga, sembrano orami diffusi come cultura giovanile.

La diffusione tramite strumenti digitali sfrutta l’immagine che ha le caratteristiche di una comunicazione immediata e molto reale, oltre che una diffusione istantanea su larga scala che non tiene conto dell’interlocutore o di eventuali sue fragilità. Per alcuni comportamenti può accadere che questo tipo di comunicazioni inneschi un effetto di contagio sociale, secondo il quale l’azione condivisa diventa una sorta di prescrizione nell’orientamento del comportamento di altri che si riconoscono simili. Il meccanismo alla base di questo è l’imitazione, che è una caratteristica innata dell’essere umano.[9]

 

Il rapporto fra adulti e giovani evidenzia oggi una deconflittualizzazione delle relazioni. Il conflitto nel recente passato ha costituito la modalità più frequente con cui le generazioni più giovani si contrapponevano a quelle adulte per affermare la propria indipendenza e la propria identità. Se, fino agli anni Ottanta, i conflitti intergenerazionali di natura culturale caratterizzavano i rapporti genitori-figli e insegnanti-alunni, i decenni successivi hanno evidenziato una progressiva e generale deconflittualizzazione che, tuttavia, non si è accompagnata a una maggiore coesione sociale. Gli adulti di riferimento, tradizionalmente individuabili nelle figure parentali e in quelle dei docenti, sembrano essere venuti a far parte, nella percezione generalizzata dei giovani, di una massa quasi indistinta di soggetti poco significativi e con quasi nessuna capacità di influenzare, di orientare , tanto meno, di incidere stabilmente attraverso i meccanismi di socializzazione secondaria sulle loro esistenze.

Un effetto della erosione delle certezze e degli orizzonti di senso collettivi è il diffondersi della violenza reiteratamente agita nei gruppi – reali o virtuali – dei pari. Si evidenzia inoltre una qualche sommaria accettazione acritica della violenza nel suo espressivizzarsi routinario contro coetanei più facilmente stigmatizzabili – stranieri, omosessuali, diversamente abili ecc. – da parte delle giovani generazioni, che sfocia in una banalizzazione delle condotte violente nel mondo quotidiano dei più giovani. La soglia di accettazione della violenza, nel suo plurimo riprodursi (materiale e immateriale, agito o epserito), va però messa in relazione con la scarsa, quando non addirittura inesistente, consapevolezza della natura effettivamente violenta di quell’azione.

Ecco allora che in questo Zeitgeist caratterizzato da una generale incertezza sul presente e sul futuro, la violenza di gruppo diviene una modalità sostitutiva del conflitto, proprio perché è il micro-rituale violento a definire ruoli e funzioni altrimenti inaccessibili a un numero sempre più grande di adolescenti.[10]

 

Per sconfiggere le paure ci si avvicina al male e la trasgressiva violenza sembra diventare l’unico modo che i giovani conoscono per “chiedere aiuto”, supporto, punti di riferimento e, perché no, anche regole precise utili a ridefinire ruoli e realtà. Visto il numero elevato di violenza e aggressioni non bisognerebbe mai tentare di ridurre il tutto a fatti isolati o, peggio, scherzi e quant’altro sminuisca un fenomeno che invece è generalizzato, protratto e dilatato. Educare giovani e anche adulti a un decisivo cambio di paradigma potrebbe aiutare a ridefinire il problema, punto essenziale quando si vogliono davvero cercare delle valide soluzioni.

[1]S. Cirillo, Il bambino abusato diventa adulto: riflessioni su alcune situazioni trattate: http://www.scuolamaraselvini.it/files/articoli/il_bambino_abusato_diventa_adulto.pdf

[2]T. Di Iullio, coordinatore Gruppo di Lavoro Infanzia e Adolescenza, Maltrattamento e Abuso all’infanzia. Indicazioni e Raccomandazioni, CNOP – Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, 24 novembre 2017: https://www.psy.it/wp-content/uploads/2019/07/Maltrattamento-e-abuso-allinfanzia.-Indicazioni-e-raccomandazioni_luglio.pdf

[3]T. Di Iullo, op.cit.

[4]T. Di Iullo, op.cit.

[5]M. Lanfranco, Crescere uomini. Le parole dei ragazzi su sessualità, pornografia, sessismo, Erickson, 2019: https://irmaloredanagalgano.it/2020/04/25/3497/

[6]C.A. Anderson, D.A. Gentile, K.E. Buckley, Videogiochi violenti. Effetti su bambini e adolescenti, Centro Scientifico Editore, Milano, 2008.

[7]T. Soldani, M. Calderaro, D. Pescina, La violenza nelle serie tv, Revista de Estudios de Criminología y Ciencias Penales, Urbe et Ius: https://urbeetius.org/wp-content/uploads/2020/06/26-61-1-RV.pdf

[8]T. Soldani, M. Calderaro, D. Pescina, op.cit.

[9]F. Boccaletto, Risse tra adolescenti: l’origine della violenza e il ruolo dei social, 22 dicembre 2020, Il Bo Live – Università di Padova, intervista a Michela Gatta: https://ilbolive.unipd.it/it/news/risse-adolescenti-lorigine-violenza-ruolo-social

[10]I. Bartholini, L’opacizzarsi del conflitto fra giovani e adulti e l’affermarsi della violenza fra pari, Studi di Sociologia, Anno 51, Fasc. ¾ (Luglio-Dicembre 2013), V&P – Vita e Pensiero/Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: https://www.jstor.org/stable/43923998


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