Gli ultimi non saranno i primi. Il commesso viaggiatore di Arthur Miller, attuale e incisivo, mostra i denti in un’amara riflessione

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Il capitalismo sotto accusa svetta in una delle commedie americane più famose, “Morte di un commesso viaggiatore”, che consacrò Arthur Miller come uno dei più importanti drammaturghi del ‘900 e che ora approda al Teatro della Città di Catania con la vibrante regia di Nicola Alberto Orofino.

I grandi temi trattati, dal conflitto familiare alla critica del mito americano, alla responsabilità morale dell’individuo nell’America del secondo dopoguerra, si dimostrano quanto mai attuali e ben si adattano al nostro tempo e alla nostra vecchia Europa, pur se concepiti negli anni ’50, tempo storico di cui la regia ha voluto mantenere l’assetto epocale, sottolineato dagli appropriati costumi e dalle funzionali ed essenziali scene di Vincenzo La Mendola. La pièce, ben condotta e ben interpretata da un cast a tutto tondo che ruota incessantemente intorno al protagonista, un Willy Loman reso da un ispirato Miko Magistro con garbo e misura nel suo declino accorato e disperatamente sognante, si snoda a ritmi serrati, creando sfaccettature di malessere che punteggiano il percorso di inesorabile declino di Willy, modesto commesso viaggiatore americano teso vanamente al benessere materiale suo e dei due figli, a cui è indotto dal sistema di cui è vittima e carnefice. Attraversato da rivoli di consapevolezza del suo fallimento in ogni versante, stritolato nella morsa di un sistema economico spietato, infimo ingranaggio senza importanza (pensiamo a Bartleby, lo scrivano di Melville), il pover’uomo si affanna vanamente a trovare la felicità, in una ricerca spasmodica che infine si rivelerà inutile e persino dannosa. La sua famiglia, con lui in testa, sgomita senza risultato verso la catastrofe, mentre il suo centro di gravità naufraga sull’onda  di un destino ingeneroso che gli si accanisce contro, attraverso il degrado fisico, ma anche morale di “un uomo senza qualità”, parafrasando Musil, devastato dagli insuccessi e dal senso di colpa, Ulisse joyciano vagante in un’Odissea di ricordi a fronte di un presente inaccettabile, fino all’annunciato epilogo del suicidio, già tentato in passato, forse per far riscuotere, desolante e paradossale escamotage, l’assicurazione alla famiglia in rovina.

La lente di ingrandimento che Miller ha finemente puntato su questo americano-campione, ben inquadrata dallo sguardo del giovane regista, rivela crudamente e amaramente la spaccatura generazionale, l’inseguimento di falsi valori, la triste condizione di una genìa frustrata, anticipata dall’inquietante metamorfosi kafkiana di Gregor Samsa e di quei “commessi viaggiatori” come lui, rappresentanti di un mondo piatto e disadorno da cui non si esce se non con la morte, una sorta di condanna senza appello dei perdenti e del sistema che incarnano, a cui assistiamo tra orrore e compassione. Nell’ultimo tratto dell’opera si affaccia la speranza, lieve e inconsistente, delle promesse del figlio alle esequie del padre, ma svanisce davanti alla disperazione di Linda, una Deborah Bernardi intensamente inconsapevole che, ormai vedova senza lacrime, urla al morto la sua incomprensione di quel suicidio proprio quando avevano finito di pagare il mutuo della casa…

Il dramma trova spunti interessanti nelle brillanti soluzioni registiche di Orofino che propone con la sua consueta padronanza la coesistenza nella scena, in bilico tra passato e presente, di personaggi e  luoghi diversi, offrendo una contemporaneità dell’anima che rende vivace e interessante la squallida vita del protagonista, irrorata da accattivanti movimenti scenici e da stacchi intermittenti di certe atmosfere americane, suggerite dalle suggestioni musicali che accompagnano lo spettacolo; una sorta di colonna sonora che passa anche dallo struggente leitmotiv di John Williams, autore delle musiche dell’osannato  film “Schindler’s list”. Il risultato è una pièce dura e potente, tenera a tratti, emozionante, coesa e scorrevole fino all’ultimo quadro.

MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE

di Arthur Miller

Traduzione di Masolino D’Amico

Con Miko Magistro e Debora Bernardi, Luca Fiorino, Giovanni Arezzo, Francesco Bernava, Santo Santonocito, Gianmarco Arcadipane, Daniele Bruno, Alice Sgroi, Lucia Portale

Voci fuori campo Egle Doria, Marina Demetra Doria, Arianna Garaffa, Gabriele Scalia

Regia di Nicola Alberto Orofino

Scene e costumi di Vincenzo La Mendola

Produzione Teatro della Città di Catania

 

Al Piccolo Teatro di Catania fino al 12 Febbraio

Gli ultimi non saranno i primi. Il commesso viaggiatore di Arthur Miller, attuale e incisivo, mostra i denti in un’amara riflessione


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