Un Ozpetek vagante tra cinema e teatro con le sue Mine in palco

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I confronti sono sempre complessi, specie con se stessi. Il rischio di ripetersi, di non dire abbastanza, di tradire il testo, di perderne l’essenza, di alterare un prodotto riuscito, come il suo film pluripremiato del 2010 “Mine vaganti”, doveva generare una certa ansia nell’animo di Ferzan Ozpetek, quando gli balenò in testa l’idea di farne una trasposizione teatrale. Il regista cinematografico di origine turca che ci ha deliziosamente travolti con la sua ricca filmografia, dal “Bagno turco” a “Le fate ignoranti”, all’ultimo in lavorazione, “Nuovo Olimpo” (2023), essenzialmente  incentrata sul coraggio di essere se stessi  e sul  valore dell’amore tra gli uomini in qualsivoglia forma, ha voluto comunque intraprendere con se stesso una sfida che si è fortunatamente rivelata feconda. Ozpetek è così approdato felicemente alla sua prima regia teatrale, programmata e bloccata dal lockdown del 2020, con una mise en scène di tutto rispetto, dimostrando di avere la capacità di flettere il linguaggio cinematografico all’impianto drammaturgico teatrale. Preceduto nel 2021 da “Ferzaneide” progetto teatrale autobiografico in cui Ozpetek è autore e attore, “Mine vaganti” teatrale funziona, grazie a una regia incisiva, a un testo collaudato, alla scenografia semplice e funzionale di Luigi Ferrigno, evocativa del grande schermo con inquadrature e sequenze scaturite da un sistema sinergico di tendaggi scorrevoli, a un cast impeccabile sormontato dalla triade Pannofino – Forte – Marchini.

ph. Romolo Eucalitto

La pièce, spostata dal Salento a Gragnano, necessariamente asciugata, riveduta e corretta, scorre piacevolmente senza perdere nulla della sua incisività, anzi avvalendosi di una fisicità che coinvolge anche il pubblico, divenuto l’intero paese dove vivono i protagonisti della storia. E’ proprio a lui, il pubblico-paese, che Tommaso racconta le tragicomiche vicende della meridionalissima famiglia Cantone, sconvolta dall’inaspettata dichiarazione di omosessualità da parte di Antonio, suo fratello maggiore, nerbo del loro rinomato pastificio industriale. Con questa scandalosa e sorprendente rivelazione Antonio batte sul tempo Tommaso, il fratello minore che studia Economia a Roma dove vive segretamente con il suo compagno, e che era ritornato al paese con l’intenzione di confessare finalmente alla famiglia retrograda e maschilista che in realtà è laureato in lettere con ambizioni di scrittore e omosessuale. Seguono l’inevitabile infarto paterno e la cacciata di Antonio, il figlio degenere, dal nucleo familiare, sotto gli occhi di una madre succube e soffocante, di una nonna amorevole, saggia ed eccentrica (la vera mina vagante è lei), di una zia in cerca d’amore, comicamente ai limiti del disagio mentale, di una onnifacente cameriera, della figlia del socio, inutilmente innamorata di Tommaso che, assurto paradossalmente a ormai unico rappresentante di virilità, tace suo malgrado, costretto a  sostituire il fratello nell’attività e nel cuore malato del padre. Tra i vani tentativi di chiarimento si introduce la visita a sorpresa di due amici gay, giunti all’improvviso con il compagno di Tommaso, che acuisce  l’intricata matassa, inevitabilmente fitta di equivoci, di spettacoli burlesque, sul filo di un umorismo velato di ironia, mentre il vero osso duro della famiglia, la diabetica nonna, risolve la questione con un “dolce” colpo di scena che rimette in piedi la baracca traballante, restituendo con un picco emozionale la sostanza dell’opera: l’amore è la chiave di volta della nostra fragile esistenza.

ph. Romolo Eucalitto

Il capovolgimento dei valori è in questo spettacolo, come nella complessiva produzione artistica del regista, la sostanza di una critica sempre attuale al sistema sociale obsoleto che stritola il “diverso” a difesa di una vagheggiata e artificiosa normalità. Puntando sul gap del diverso orientamento sessuale e della vecchiaia, le “mine vaganti” rappresentate dai gay e dalla nonna rovesciano gli equilibri, riportando in campo il valore della persona, a prescindere dall’identità sessuale o generazionale. Non trascurando il profilo psicologico dei personaggi, Ozpetek con mano apparentemente leggera, ci propone con garbo una auspicata revisione del nostro pensiero omologato, svegliandoci con una scoppiettante regia dal torpore in cui viviamo, sprofondati letteralmente nelle nostre poltrone di spettatori imbelli e ignavi, nei quali lo spettacolo cerca di suscitare attraverso la risata intelligente un brivido di sana consapevolezza.  Divertimento e riflessione a braccetto, conditi da un facondo processo artistico sono una garanzia del buon teatro. Ozpetek ha dimostrato di conoscere perfettamente il funzionamento della macchina teatrale e di tenere in considerazione lo spettatore, a cui dedica pari attenzione rispetto agli artisti in palco, evitandogli la famigerata noia che è il grande nemico di ogni prodotto artistico.

 

MINE VAGANTI

di Ferzan Ozpetek

Produzione: Nuovo Teatro, Fondazione Teatro della Toscana

Regia: Ferzan Ozpetek

Con: Francesco Pannofino, Iaia Forte, Edoardo Purgatori, Carmine Recano, Simona Marchini, Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini, Jacopo Sorbini

Scene: Luigi Ferrigno

Luci: Pasquale Mari

Costumi: Alessandro Lai

Al Teatro ABC di Catania fino al 22 Gennaio

Un Ozpetek vagante tra cinema e teatro con le sue Mine in palco


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