Sciopero della fame per Alaa Abd El Fattah, in carcere per il suo impegno civile

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L’Egitto incassa il successo mediatico per la Cop 27, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, dove le potenze mondiali si sono confrontate sul futuro del pianeta.
Un evento che le autorità del Cairo hanno preparato con grande meticolosità, facendolo precedere dal lancio nello scorso anno della Strategia Nazionale sui diritti umani, una campagna governativa auto-assolutoria e puramente verbale elaborata senza il concorso della società civile e tesa a difendere l’esecutivo in lotta contro le minacce alla sicurezza nazionale.
Nelle carceri egiziane continuano ad essere detenuti migliaia di oppositori, ogni opinione divergente è perseguita. L’Italia ha già pagato un prezzo altissimo al governo autoritario (ed assassino) del presidente al-Sisi con l’omicidio di Giulio Regeni e la restrizione alla libertà di Patrick Zaki, studente all’università di Bologna.
In queste ore rischia la morte Alaa Abd El Fattah, attivista per i diritti umani, scrittore, a cui è stato impedito di incontrare le autorità diplomatiche inglesi, pur avendo la cittadinanza britannica. Negli ultimi 9 anni Alaa ha trascorso più tempo in carcere che fuori, perseguitato per il suo impegno civile, iniziato con la rivolta del gennaio 2011.
Alaa (condannato a 5 anni di prigione) ha detto basta a questa ingiustizia ed è in sciopero parziale della fame dal 2 aprile scorso per chiedere di tornare in libertà e dallo scorso 6 novembre rifiuta anche l’acqua. Amnesty International segue il suo caso. Ma ora c’è il serio rischio che questo scrittore muoia nel silenzio.
Il tema delle libertà individuali, del diritto a manifestare il proprio pensiero è un tema che sembra non “riscaldare” i cuori delle potenze occidentali. Eppure questa sotterranea e dimenticata lotta per la libertà di espressione infiamma da troppi anni l’Egitto, dove il governo non si fa nessun scrupolo di calpestare sistematicamente anche i più elementari principi di rispetto umano e non esita a ricorrere all’assassinio di stato per spezzare il dissenso.
Mai più un altro caso Regeni.


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