Rue Garibadi, di Federico Francioni, Italia, 2021. Con Rafik Hackel, Ines Hackel. Due fratelli nel mondo

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Rafik e Ines, giovani fratelli siciliani di origine tunisina, sono i protagonisti di questo docufilm di Federico Francioni, che aggiunge il suo nome a quelli di Rosi, Minervini, Fasulo e Marazzi, nella Nouvelle Vague documentaristica italiana, che ha innovato il genere fino a farlo diventare altro. Francioni mette in scena due protagonisti veri, reali si direbbe, immergendo la sua cinepresa nel loro mondo, inseguendoli nel loro quotidiano ed applicando i principi rosselliniani dell’improvvisazione e dell’attesa, già sperimentati da Jean Rouch nel genere in questione, per definire al meglio le loro esperienze e sentimenti.

Siamo a Parigi, in quella periferia conosciuta dagli immigrati provenienti da ogni parte del mondo. Due di loro sono Rafik e Ines, che, dunque, in terra francese (ri)vivono quanto già vissuto dai loro genitori in Sicilia. Essi si muovono tra precarietà, sfruttamento e solitudine. Ma non mancano la solidarietà di amici e compagni di lavoro, e il senso di appartenenza alle loro origini, a compensare un quotidiano fatto di incertezza e mancanza di prospettive. Francioni, attraverso i suoi due protagonisti, racconta così, andando oltre, tutti gli esclusi della terra, immigrati e no, mettendo in scena una storia universale, senza spazio né tempo. Il modo con cui il regista molisano narra tutto questo è fondamentale per veicolare nello spettatore quel processo di identificazione necessario al suo coinvolgimento.

Il rapporto tra fratello e sorella è fatto di sguardi, silenzi, alterchi, ed è vissuto all’interno di un microcosmo, la famiglia, che è naturale approdo e punto di partenza per ogni esperienza individuale. La realtà esterna, fredda e asettica, entra dentro la vita dei due giovani alterandone umori, stati d’animo, decidendo all’improvviso le loro sorti. Il loro spazio fisico, la loro casa, diventa il rifugio da un mondo ostile, pervicacemente inchiodato su stesso, privo di quel minimo di empatia necessario ad ogni essere umano per non sentirsi solo. Il passare dallo spontaneo dialetto siciliano alla formale lingua francese rappresenta per Rafik e Ines un processo di adattamento subìto e diventa per lo spettatore metafora di estraniamento e alienazione. I due fratelli non si muovono per Parigi spaesati e impauriti come a Milano i fratelli Parondi del noto capolavoro viscontiano. Affrontano tutto con coraggio e determinazione, anche con rabbia, frutto di una cultura individuale ormai molto più ricca e consapevole. Ciò, però, acuisce il loro disagio, percepito non più come risultato di un destino segnato ma come un’ingiustizia dell’uomo sull’ uomo. La stanchezza di cui si lamenta Rafik non è soltanto fisica, è svuotamento interiore, pulsione a non lasciarsi vincere ed offendere. L’essere sopraffatti dalla non vita della disoccupazione o da un lavoro umiliante diventa rifiuto ad accettare tutto ciò, è già ribellione. La bravura di Francioni sta proprio nella sua capacità di saper leggere e raccontare questa realtà. Il suo cinema diventa metacinema non per artificio artistico ma per necessità, per dare una chance in più ai suoi amati “personaggi-persone” di poterci comunicare qualcosa di importante, di loro e quindi di noi.

Quando Rafik si rivolge alla cinepresa per dire a Francioni che quello di girare per il mondo a raccontare di uomini e cose è proprio un bel lavoro, in quello stesso momento Rafik sta confessando il suo grande amore per la vita, per come vorrebbe pienamente viverla e per come la realtà così com’è gli impedisce di fare. L’epifenomeno di questo modo di intendere il cinema come poetico strumento di conoscenza, Francioni ce lo regala in quella splendida sequenza del collegamento via Skype di Ines con la sua famiglia lontana. Attraverso quelle immagini incerte, prive di ogni estetismo, l’allegria della giovane e dei suoi parenti, che traspare da sguardi così antichi e pieni di vita, sembra volere incarnare le ragioni dell’amore di Pasolini per questi uomini, che desiderano soltanto essere uomini.

Il film di Federico Francioni ha vinto il primo premio come miglior documentario all’ultimo Torino Film Festival, uno dei più prestigiosi al mondo. Ovviamente, meritatamente…


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