Shinzo Abe e il mondo che non c’è più 

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Politicamente parlando, mi ritenevo distante, distantissimo dalle idee di Shinzo Abe. Liberista in economia e non propriamente pacifista nello spirito, voleva anche modificare in senso peggiorativo la Costituzione giapponese ed è stato per tanti anni uno dei simboli del contrasto alla Cina nell’eterna lotta fra i due paesi per la supremazia nella regione. Insomma, non era un personaggio che avrei votato e la sua visione del mondo non mi ha mai convinto nemmeno un po’. Di fronte al suo tragico assassinio, tuttavia, cala il silenzio. E soprattutto ci si interroga. Ci domandiamo, infatti, cosa ne sia del mondo, di questo mondo violento, volgare, irriconoscibile e sempre più pericoloso, in cui non c’è rispetto per la vita umana, in cui la battaglia politica si è fatta sempre più feroce e insostenibile, in cui i diritti delle persone vengono costantemente calpestati e in cui la presunta frustrazione di un soggetto di cui si dovrà accertare la sanità mentale può condurre alla fine tragica di un protagonista della vita politica di un Paese grande e importante, anzi decisivo per gli equilibri del pianeta.
Non è il primo caso e speriamo che sia l’ultimo. Tutti ricordiamo ciò che accadde ai fratelli Kennedy e a Rabin; per non parlare delle conseguenze dei colpi di Stato in Africa e in America Latina. Mai come in questo momento, però, avvertiamo il senso della fine. È come se avessimo deciso, collettivamente, di suicidarci. Non siamo più in grado di convivere, di valutare i possibili esiti delle nostre scelte, di accettare l’altro per come è, di tollerarne la personalità e di contrastarlo, se necessario, con la forza delle nostre proposte e la ragionevolezza indispensabile per occuparsi della cosa pubblica. La vicenda di Abe costituisce certamente l’apice della barbarie e quindi è fuori scala, ma non crediate che episodi meno cruenti ed eclatanti non abbiano dietro la stessa matrice. Basti pensare alla guerra civile che è scoppiata all’interno dei conservatori inglesi per la successione a Boris Johnson.
Posto che il nostro è un soggetto imbarazzante e che le sue dimissioni mi rendono profondamente felice, non fosse altro per il riferimento al darwinismo che ha compiuto nella sua ultima uscita pubblica, a dimostrazione di una concezione dello stare insieme indegna di un inquilino del numero 10 di Downing Street, va detto che la ferocia con cui è stato contrastato dai suoi stessi colleghi di partito rasenta l’assurdo. La politica è sempre stata caratterizzata da una lotta serrata e senza esclusione di colpi, questo lo sappiamo, ma ormai siamo alla legittimazione della crudeltà più estrema, senza un minimo di riconoscenza, di gratitudine, di attenzione alla dignità della persona, senza nemmeno l’onore delle armi. Un livello di scontro così forsennato non si era mai visto nella storia dell’umanità, almeno dai tempi della Seconda guerra mondiale, e il fatto che a essere coinvolte siano alcune delle nazioni che furono protagoniste anche allora non lascia presagire nulla di buono.

Non sappiamo quali conseguenze possa avere l’omicidio di Abe, specie nei rapporti mai idilliaci fra Cina e Giappone; di sicuro, è una tragedia che aggiunge instabilità all’instabilità che già segna questa fase storica tremenda, in cui la povera Ucraina ricopre il ruolo vittima sacrificale nel contesto di uno scontro planetario che va ben al di là delle rivendicazioni dell’una e dell’altra parte sulla Crimea e sul Donbass.
Crisi politica, crisi climatica, crisi energetica e crisi alimentare compongono un quadro di disgregazione planetaria senza precedenti. E ci auguriamo di cuore che le mani di altri potenziali assassini siano fermate prima che possa verificarsi l’equivalente dello sparo di Sarajevo. Anche all’epoca, difatti, si pensò che il gesto di un nazionalista bosniaco fosse sì un episodio inquietante ma niente di più. Sappiamo, invece, com’è andata a finire e vorremmo avere la certezza, ahinoi inesistente, che il “mai più” che troppe volte abbiamo pronunciato fosse effettivo.

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