Le fake news e il declino dell’Occidente

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Se proprio si deve muovere una critica al signore di cui, da quattro mesi, tutte e tutti sembrano aver compreso la pericolosità, è quella di essere coerente. Coerente nella sua barbarie, coerente nella sua visione del mondo, coerente nella crudeltà con cui persegue i suoi obiettivi ed interessi. Ciò che, invece, non può lasciarci indifferenti è l’Occidente, sempre pronto a rivendicare i suoi presunti “valori”, a pavoneggiarsi della sua diversità e a gridare al mondo di doversi uniformare ai suoi standard di libertà e democrazia. Non perché tutto ciò non sia cosa buona e giusta, intendiamoci, ma per il semplice motivo che è ipocrita. I valori occidentali, negli ultimi vent’anni, ce li siamo infatti messi sotto i piedi, ad esempio quando abbiamo deciso di accogliere a Genova, fra i sedicenti “grandi” della Terra, proprio quel signore lì, che non era diverso da come lo vediamo oggi: indossava abilmente una maschera ma, soprattutto, era in linea col modello che noi stessi stavamo portando avanti. E se bisogna imputargli un crimine, oltre alla guerra mossa all’Ucraina, è proprio quello di essere stato uno dei portabandiera del sistema politico, economico e sociale che ha devastato il pianeta. Perché se la gente pensa male, vota male e si comporta peggio nella vita di tutti i giorni, spiace dirlo, ma non è a causa di qualche troll e di una serie di puttanate che vengono messe in rete a seconda delle circostanze.

Avranno anche un ruolo, non lo nego, ma non sono certo la causa principale dei nostri disastri. Se i cosiddetti “partiti di sistema” stanno venendo giù come birilli, è perché il sistema è marcio alle fondamenta e ormai non se ne può più. E quel signore non è un ribelle in lotta contro le forze del male, come crede qualche attempato compagno o qualche ingenuo in cerca di un cavaliere senza macchia e senza paura al quale aggrapparsi, ma la quintessenza di un modello disumano che ha prodotto unicamente guerre, crisi economiche a ripetizione e che ha avuto le sue belle responsabilità anche nella pessima gestione globale della pandemia. Se proprio si vuole avversare quel signore, dunque, lo si faccia in maniera opportuna ed efficace, altrimenti non avrà neanche bisogno di farsi propaganda attraverso qualche pifferaio o turiferaro a pagamento e qualche pover’uomo animato da un desiderio di rivolta affidato alle mani sbagliate.

Se l’Occidente sta franando è perché sono più di trent’anni che sta sbagliando tutto. Sono più di trent’anni, difatti, che sta seguendo uno stile di vita a causa del quale la sfera che contiene l’umanità, arrivati all’estate, va in riserva. Sono più di trent’anni che sta lasciando che i ricchi si arricchiscano sempre di più e i poveri diventino sempre più poveri, raccontando loro la favola dello “sgocciolamento” che è quanto di più medievale possa esistere, con il padrone che mangia lautamente al desco e lo schiavo che spolpa le ossa che gli vengono fatte cadere sotto il tavolo. Sono più di trent’anni che il lavoro è stato svalutato, umiliato e delocalizzato, favorendo l’ascesa economica di mostri che adesso pretendono di imporci i loro standard e contro i quali siamo del tutto disarmati, anche perché l’avidità delle nostre classi dirigenti, e non mi riferisco certo solo alla politica, ci impedisce di provare a cambiare direzione di marcia. Sono più di trent’anni che chiunque osi battersi contro questa distruzione sistematica del nostro stare insieme viene tacciato di estremismo, isolato e, quando va male, anche massacrato di botte.

Sono circa trent’anni che continuiamo a firmare trattati di libero scambio che di libero non hanno proprio nulla, essendo volti a fare ingrassare i soliti noti a spese della collettività. E se un tempo ci si indignava per l’accumulo di ricchezze nelle mani di poche centinaia di miliardari, oggi che otto persone possiedono lo stesso patrimonio di tre miliardi e seicento miliomi di poveri siamo diventati indifferenti, come se ci fossimo assuefatti al male, come se tutto ci apparisse naturale, come se non avessimo più le risorse morali, e meno che mai materiali, per opporci. Sono più di trent’anni, tornando all’Italia, che stiamo privatizzando tutto il privatizzabile, in nome del meno Stato e dell’elogio del privato, col risultato che non possediamo più quasi nulla e ciò che possediamo ancora sta andando in rovina, anche perché gli amministratori cui lo abbiamo affidato sono, il più delle volte, inadeguati. Sono più di trent’anni che i partiti si sono ridotti a eufemismi, che cambiano logo, schieramento, segretario e idee da un’elezione all’altra, a dimostrazione che di idee non ne hanno mai avute e non intendono dotarsene. Sono più di trent’anni che l’informazione fa poco e male il suo dovere, anche perché nel frattempo abbiamo provveduto a distruggerla, allontanando chiunque potesse disturbare il manovratore e dar fastidio all’unica ideologia ammessa, quella liberista, al punto che la sinistra è diventata, socialmente parlando, quasi peggio della destra, con poche lodevoli eccezioni che, tuttavia, vengono emarginate non appena provano a sollevare la testa. Sono più di trent’anni che sappiamo che, continuando di questo passo, ci giochiamo il globo e, di conseguenza, noi stessi, ma anche le nuove generazioni, che hanno provato a manifestare con vigore, e in maniera del tutto pacifica, contro la devastazione della nostra casa comune, sono state prontamente messe a tacere. Del resto, quando si profila all’orizzonte una guerra, non c’è più spazio per la poesia e la prosa delle armi non contempla né i diritti umani né quelli dell’ambiente.

Abbiamo un uomo vestito di bianco che, ogni tanto, anzi spesso, dice verità scomode, ma chi lo ascolta? Viene molto elogiato, questo sì, forse perché la vigliaccheria generale è tale che si preferisce fare muro di gomma, ma anche i suoi appelli cadono poi nel vuoto, perché i padroni del vapore non si lasciano disturbare da nessuno, potente o meno che sia. Sono più di trent’anni che la televisione non dà il meglio di sé, e diciamo che negli ultimi venti ha dato il peggio. Sono più di trent’anni, infine, che ragazze e ragazzi vengono posti di fronte all’abisso di un avvenire incerto, anche se i cantori della flessibilità e del posto fisso noioso battono leggermente in ritirata perché la rabbia sociale è talmente acuta che temono il pernacchio. E voi davvero pensate che in un contesto del genere la celebre “casalinga di Voghera” o l’operaio di Sesto San Giovanni, che non possono mandare i figli all’università perché non hanno abbastanza soldi, che magari subiscono lo sfratto, la cui azienda chiude perché non riceve energia sufficienza o perché si trasferisce in Polonia o in Cina o perché commerciava con la Russia e adesso, per via delle sanzioni, non può più farlo, davvero pensate che queste persone votino oggettivamente male per colpa delle fesserie sparate a dritta e a manca da illustri sconosciuti che, di norma, non ottengono nemmeno il consenso dei più stretti familiari? Se c’è un motivo per opporsi, non da oggi, a quel despota sulla cui ferocia in troppi si interrogano solo da qualche mese, questo è di aver contribuito attivamente a far deragliare il mondo. Il resto, guerra e oppositori fatti assassinare compresi, vien da sé. Ciò non ci assolve, tuttavia, dalle nostre responsabilità. Possiamo anche, giustamente, condannare il vile figuro per tutte le sue malefatte, ma non possiamo tacere né sul nostro innamoramento più che decennale nei suoi confronti né sul nostro degrado complessivo.

E se la notte è giunta a un punto in cui non si intravede l’alba, in cui a votare non ci si reca più nessuno perché tanto del nostro voto a chi decide realmente le sorti dei governi e le leggi da varare non importa nulla, in cui le nuove generazioni preferiscono la paghetta dei nonni o dello Stato piuttosto che una somma che sarebbe inaccettabile chiamare stipendio e in cui non esistono più affetti, amicizie e relazioni perché siamo tornati all’“homo homini lupus”, possiamo anche affermare che quel signore è uno dei principali artefici del disastro e presentargli il conto senza infingimenti. A patto, però, di prendere poi la foto di gruppo che venne scattata nel luglio di ventuno anni fa in una nota città italiana e osservare i volti degli altri sette che sorridevano insieme a lui. E, possibilmente, anche dei loro successori (sia in Giappone che in Occidente, di quegli otto è rimasto solo lui), di alcuni banchieri e finanzieri, di alcuni famigerati CEO e di tutta una serie di figure minori ma non ininfluenti. Se non sono rimaste più nemmeno le macerie, è colpa loro. E non è stata una “gigantesca svista” ma una precisa volontà politica, anche se ammetto che qualcuno possa aver sbagliato in buona fede e gli riconosco di aver almeno riconosciuto l’errore. Quanto a eventuali liste da pubblicare, l’elenco non è difficile: entra tranquillamente in una pagina di giornale e, magari, suscitando un minimo di dibattito nell’opinione pubblica, aiuta pure a vendere qualche copia in più. A meno che non siano proprio il dibattito e l’opinione pubblica gli elementi di cui è necessario sbarazzarsi.


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