L’inchiesta la fanno le persone. Diario dei finalisti della 11a edizione del Premio Morrione

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La prima riunione per fare il punto sulle nostre ricerche si è svolta di fronte a un piatto di ragù alla ventricina, accompagnato da un bicchiere di vino. Era sera e una cena del genere dopo una giornata di lavoro non rappresentava forse la scelta più consona, soprattutto se si vuole mantenere la concentrazione. Ma quando Ale ha acceso il computer, Simo ha tirato fuori il suo quaderno e Mari l’ordinatissimo block notes, abbiamo cominciato a spartirci storie, contatti, fonti e improvvisamente quello che sembrava un oceano si è tramutato in un acquario, un ambiente circoscritto dove si ha tutto sotto controllo. Ecco, quella sensazione è durata poco, perché quando si propone una storia si ha solo un sentore di quanto possa essere ampia ma non lo si sa mai davvero. E allora via, un contatto dopo l’altro, un report dopo l’altro, una pista dopo l’altra.

Si capisce, a poco a poco, che l’inchiesta la fanno le persone. Le stesse che poi sono vittime in un sistema che li opprime. Opprime noi tutti, e fatichiamo a dargli un senso.

In mezzo al marasma di dati e informazioni arriva Sacha, il nostro tutor. Siamo online, lui è collegato dalla redazione di Fanpage a Roma e lo vediamo mentre si alza, prende un poster bianco e ci disegna sopra. Improvvisamente il tutor si trasforma nel “garante della timeline” e discutendo della struttura sentiamo di avere tutto più chiaro. “La storia sta prendendo forma”, un pensiero che si legge nei nostri occhi, forse la direzione è quella giusta. Ancora di più quando tra le mille angolazioni con cui si può approcciare il nostro tema individuiamo una possibile direzione: “Sento puzza di focus”, dice Sacha.

Quando l’obiettivo è piuttosto chiaro, si parla e ci si confronta, e si ride e si scherza. Si scherza sì, ma non per leggerezza, dato il tema, serio e grave. È la prima cosa che fanno gli uomini e le donne con cui parliamo, più o meno tutti, perché è la passione che li guida. Nonostante il silenzio e la rabbia di non poter direttamente cambiare le cose, queste donne e questi uomini sanno che solo facendo ciò che più li appassiona, ci appassiona, che più ci muove, si può sperare di cambiare un sistema ingiusto. Ed è anche l’unico modo per sfruttare al meglio il nostro “privilegio”: usare il nostro tempo e il nostro lavoro per chi si vede negato ogni giorno diritti che noi riteniamo intoccabili.

 

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La pressione del tempo ci stimola. La scadenza dei quattro mesi per produrre l’inchiesta ci sembra alle porte. Forse è per questo che ci piace discutere sullo stato dell’arte tra un’intervista sul motorino e un bicchiere di vino.

Chissà che gusto avrà quando il video sarà completo, quando ci siederemo e ci guarderemo negli occhi pensando: “Forse Sacha aveva ragione, forse abbiamo reso davvero un servizio alla nostra democrazia”. Ma come dice Simone nel nostro video di presentazione: “Restiamo con i piedi per terra”.


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