E’ scomparso il maestro Elio Maestosi

0 0

Pianista, compositore, direttore d’orchestra, didatta, educatore fra i massimi che l’Italia abbia mai avuto: uno degli ultimi, inarrivabili esponenti di quella che è stata rispettata nel mondo come Scuola Pianistica Italiana.

L’Uomo, se possibile, era ancora più grande dell’Artista.

Ai suoi insegnamenti si è formato un numero incalcolabile di pianisti concertisti.

La sua fisicità, minuta e delicata, custodiva una straordinaria generosità d’animo che lo portava a dedicarsi completamente all’allievo che aveva di fronte. Lavorava senza risparmio di energie affinché la Musica arrivasse anche al discepolo più debole o meno dotato. Anzi, era proprio con questi che il Maestro rivelava i suoi insegnamenti più elevati.

Seppe trarre da un tragico accadimento il coraggio per rimodulare la sua vita. Venticinquenne, a due giorni dal debutto alla Carnegie Hall di New York nel terzo concerto di Beethoven sotto la bacchetta di Bernstein, subì un grave incidente che spezzò senz’appello il volo verso una meritata e luminosa carriera solistica internazionale.

Ventisei mesi di immobilità forzata e tanti dolori articolari, che lo avrebbero accompagnato per tutta l’esistenza, gli suggerirono di abbracciare convintamente la missione didattica, pur rimanendo intatto, nelle sue dita, l’inimitabile tocco: sicuro avvolgente espansivo poetico, che sarà la sua caratteristica più fulgida.

Nelle ultime lezioni, impartite sino a pochi mesi fa, ha perpetuato imperterrito il proprio credo estetico-stilistico: la coniugazione della perfezione tecnica alla suadenza della cantabilità e del respiro. I due elementi principali della stessa Vita, contrapposti ma avviluppati in un abbraccio infinito: ragione ed emozione, ordine e stravaganza, disciplina ed affetto. Per il Maestro, il secondo carattere non doveva soccombere al primo. Mai.

Riccardo: ricorda, quando suoni Chopin, di cercare il pensiero segreto della sua musica.”

Chopin, la ragione della sua ricerca. La vetta sublime e spirituale della produzione pianistica di tutti i tempi.

Chopin che lui aveva frequentato nella disciplina quotidiana degli Studi Op.10 e Op.25, dolce tortura per tutti i pianisti che vogliano considerarsi tali, e nelle sublimi Ballate, giardini dell’anima da esplorare lungamente e ripetutamente, con devozione.

Chopin, che gli era stato rivelato da Alfred Cortot, il riferimento assoluto – ancora oggi – per l’interpretazione del Genio Pianistico per antonomasia.

Cortot ha studiato con un allievo di Chopin, io ho avuto il privilegio di studiare con Cortot.”

Ed io con lei, Maestro.

Tanti aneddoti lo vedono protagonista. Quello a cui forse era più affezionato:

In attesa di ricevere lezione dal mitico musicista francese (appunto Cortot), il giovane Elio si stava esercitando nell’esecuzione del Primo Studio dell’Op.25; della difficoltà tecnica di questo brano parlò ampiamente Robert Schumann sulla “Neue Zeitschrift für Musik”, ricordando con quale dolcezza di tocco lo stesso Chopin soleva eseguirlo: il pianoforte, mosso dalle sue esili eppur guizzanti dita, pareva creare suoni propri dell’arpa eolia, strumento delicato le cui corde vibrano per effetto di flussi d’aria. Non accorgendosi dell’arrivo di Cortot, Maestosi continuò imperterrito la sua ispirata esecuzione. Straordinario fu lo stupore nel sentire, al termine del lungo arpeggio finale in la bemolle maggiore, la mano del francese posarsi sulla sua spalla mentre esclamava con solenne convinzione: “Bravò!”

Come dimenticare, Maestro, il regalo della sua presenza in alcune iniziative della “nostra” Unitre orvietana, ospite dei percorsi chopiniani della classe di Ascolto Musicale. I suoi racconti, le sue note tecniche, la sua limpida competenza conquistarono velocemente la Famiglia Unitre che la elesse fra i suoi beniamini.

L’insegnamento più grande ha riguardato il cuore. Il cuore che lei ha usato di contrappeso alle correzioni. Tanto rilevava dovesse essere modificato limato migliorato, tanto metteva in evidenza gli elementi positivi. Anche nelle più emozionate ed imprecise esecuzioni, lei trovava motivi di merito e soddisfazione per i giovani allievi che si sentivano paternamente incoraggiati. Il cuore col quale lei filtrava le note melodiche dalle gragnuole armoniche, abilità veramente unica che rendeva le sue interpretazioni così amabili e riconoscibili. Il cuore per mezzo del quale superava e faceva superare le difficoltà tecniche più insormontabili; intendere, cioè, le ottave ribattute della Sesta Rapsodia Ungherese di Liszt non quale mero sfoggio virtuosistico ma come espediente pratico in grado di riprodurre convincentemente il carattere ironico-tragico che si annida nelle danze popolari magiare.

Diceva spesso che quando avrebbe varcato le porte dell’aldilà, le sarebbe tanto piaciuto incontrare Chopin, stringergli la mano, abbracciarlo con affetto e ringraziarlo di tutto cuore per la Poesia che ci ha regalato in vita. Immagino che il colloquio sia già avvenuto e che vi siate entrambi accorti che i rispettivi Spiriti già si conoscevano profondamente.

Un grande rammarico, caro Maestro: non essere riusciti a suonare insieme, a quattromani, la “Fantasia” in fa minore Op.103 di Schubert. Un proposito di cui parlava sempre quando ci incontravamo: per me sarebbe stato un grande onore, e l’opportunità di conoscere, attraverso lei, il pensiero segreto di quel capolavoro.

Quando toccherà a me, di oltrepassare il confine tra le due Vite, desidererò incontrarla ancora, per ascoltare un’altra volta il “suo” Studio Op.25 N.1, etereo e diafano come se eseguito da un’arpa eolia, e per suonare, finalmente assieme, la Fantasia in fa minore, e conoscerne, pertanto, il pensiero segreto.

Grazie per ciò che mi ha insegnato


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21