“Annientare” di Michel Houellebecq

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L’Europa è malata grave, colpita da un morbo incurabile come l’intero Occidente. Sarà solo questione di tempo ma la sua luminosa parabola già volge al termine.

La costante crescita economica e la turbinosa evoluzione tecnologica, la più sofisticata mai conosciuta dall’umanità, non è riuscita a compensare il disgregarsi delle fondamenta che sostenevano l’intero edificio: il crollo di ogni valore e di cieca fiducia nei principi fondativi, millenni di storia, di cultura, di arte all’apice dell’espressione umana, stanno svanendo nell’indifferenza delle nuove generazioni dell’era digitale, allevate nel feticismo dell’algoritmo. Parallelamente, con lo spegnersi progressivo e fisiologico delle ideologie, la politica stessa non possiede più frecce nella faretra, non dispone di proposte plausibili, non prefigura scenari, ma si limita ad amministrare il presente con lo sfruttamento intensivo delle risorse e la manipolazione del consenso finalizzato all’autoconservazione del sistema.

Su questo sfondo prende corpo la vicenda umana che Michel Houellebecq trasferisce nel nuovo romanzo intitolato Annientare. Una storia che si svolge in Francia, ma che sembra un’Italia in carta carbone, tante sono le somiglianze; altrettanto evidenti, verosimilmente, per qualsiasi altra nazione emancipata dell’emisfero occidentale.

Decine di milioni di morti, l’orrore del Nazismo e dello Stalinismo, l’esplosione della prima devastante bomba atomica, non sono serviti a consolidare settanta anni di pace, costruita faticosamente mattone su mattone; un edificio così fragile che potrebbe dissolversi da un momento all’altro per una bolla di follia nazionalista e misticheggiante. Il virus che ha aggredito tutte le nazioni del mondo sembrerebbe una metaforica avanguardia degli eserciti distruttori. Misteriosamente malata la nostra civiltà parrebbe ormai pronta alla resa:

“Il rallentamento e l’immobilizzazione dell’Occidente, erano stato il preludio al suo annientamento.”

Parla di tutto ciò il romanzo di Houellebecq? Sì, ma solo nel sottotesto che sorregge la trama come un fiume carsico, scivolando inarrestabile sotto i piedi della grottesca commedia umana a cui assistiamo in superficie (non viene nominato invano Balzac). Una storia narrata con destrezza, intelligenza bruciante e cinica ironia, dal superbo autore francese che ci ha abituato da tempo ai suoi toboga rapinosi. 743 pagine rilegate che raggiungono 1,250 kg, una curiosità che mi sono tolto sulla bilancia di cucina: un libro assai pesante dunque, ma esclusivamente nell’involucro, quasi a voler materializzare la poderosità del testo; che risulta invece alla lettura leggero e avvincente come un thriller o come un romanzo d’amore.

Ciò che ci cattura non è quell’angoscia di fondo, dolente come un livido da sfiorare con i polpastrelli, e neppure il trasalimento per la presa di coscienza di una metastasi diffusa nell’organismo sociale; al contrario è la vicenda privata e del tutto ordinaria di Paul Raison, così comune da apparirci banalmente fungibile con la nostra esperienza personale.

Il protagonista, cinquantenne, funzionario governativo, svolge un incarico molto ben remunerato nello staff di Bruno Juge, Ministro dell’Economia e della Finanza della Repubblica Francese: un politico di altissime capacità tecniche, autore in prima fila del benessere strutturale della nazione, secondo per importanza e influenza soltanto al Presidente stesso. Il quale è in uscita dopo il secondo mandato. Siamo alla vigilia delle primarie per l’elezione del nuovo capo dello stato e Bruno è nell’occhio del ciclone. È un uomo macchina, vive per il ministero, trascorre nel suo ufficio l’intera giornata, e da quando la moglie lo ha lasciato, vi passa anche la notte, preferendo l’appartamento ministeriale nella torre di vetro e acciaio nel quartiere di Bercy, alla sua lussuosa dimora nel cuore di Parigi. Dorme poche ore dove capita, spesso sul divano dell’ufficio quando cede alla stanchezza; mangia poco, male e di fretta, e non smette mai di occuparsi dei continui impellenti problemi del suo dicastero. Non ha amici, non frequenta nessuno che non sia per appuntamenti strettamente di lavoro. Paul Raison è il suo uomo di fiducia, il suo confidente e anche la persona che gli gestisce l’agenda degli incontri, dei viaggi, degli spostamenti, ed ora naturalmente degli interventi in campagna elettorale, ai quali il ministro ha preso gusto sfoderando una facondia e un talento insospettabili. Potrebbe essere lui il candidato ombra scelto per sostituire strategicamente il presidente uscente nel quinquennio di sospensione, e tirargli la volata alle elezioni successive. La messa in scena della campagna elettorale, vista dal di dentro, non soltanto è un capitolo di irresistibile godibilità, ma una autentica lezione di sociologia del consenso nella nuova era del sovvertimento di tutti i media dopo l’irruzione in campo della Rete.

Il progetto, di vero equilibrismo, è di portare all’Eliseo un no-name politico che proviene dall’intrattenimento televisivo, Beniamin Sarfati, in grado con la sua popolarità di contrastare il Rassemblement National e il pugnace esponente della destra in preoccupante crescita di consenso (un risultato giudicato micidiale per la nazione), ma privo delle competenze necessarie per essere rimpianto alla scadenza del mandato, funzionando così da perfetta rampa di lancio alla rielezione del vecchio, amato presidente. La Francia non può fallire, too big to fail.

Paul, che di indole avrebbe una visione diversa dell’esistenza, o quantomeno non così oltranzista del lavoro, di fatto ha finito per adeguarsi, lasciarsi assorbire dalla corrente e diventare simile al suo capo; l’imminente tornata elettorale ha survoltato al calor bianco il clima e stressato al massimo grado ogni impegno ed energia dell’intero entourage. Mentre tutto sta andando, secondo i sondaggi, verso la conclusione desiderata, nell’esistenza monocorde di Paul avviene invece all’improvviso un accadimento destabilizzante: il vecchio padre Édouard che vive nella residenza di campagna a Saint-Joseph-en-Beaujolais, è stato colpito da trombosi cerebrale ed è in fin di vita, ridotto a un vegetale. L’emergenza lo costringe a salire sul primo TGV e recarsi in famiglia, con una brusca capriola all’indietro in altre epoche, altri affetti e dolori, che aveva narcotizzato con il lavoro. Raison ha una vita privata non meno dissestata del suo capo: separato in casa con una moglie dispersa nella galassia spiritualista eco-vegana, una madre artista suicida, un fratello e una sorella con cui non intrattiene più rapporti da anni. Il padre Édouard Raison ha servito lo stato nei servizi segreti, anaffettivo e riservato anche in casa ma ancora ricordato con rispetto nell’ambiente del DGSI. Giunto all’età della pensione è uscito dai ranghi portando con sé i dossier criptati di una ricerca che stava avviando su un preoccupante enigma ancora soltanto agli inizi, ma che potrebbe essere messo in relazione con i gravissimi attentati terroristici contro la Francia che il governo è riuscito per ora a tener celati. Un portacontainer di ultima generazione, lungo 400 metri, costruito nei cantieri navali di Shangai e capace di trasportare fino a ventitremila container standard, è stato spezzato a metà sulla rotta Shangai-Rotterdam e affondato con tutto il suo carico da un missile subacqueo di provenienza ignota. Attraverso il potente noleggiatore e armatore francese, una cellula terroristica non identificabile vuole colpire il Paese. Altri attacchi informatici e distruttivi di inaudita gravità si sono abbattuti su obiettivi strategici ritenuti inviolabili grazie alle sofisticate misure di segretezza, e altri ancora se ne prevedono persino più agghiaccianti.

Dal momento che i servizi procedono completamente alla cieca, si spera di poter trarre le informazioni decisive dai dossier del vecchio funzionario ancora in vita e in precaria ripresa, prima che vadano definitivamente smarriti.

Accanto alle elezioni presidenziali in corso e ai grovigli di famiglia del protagonista, la narrazione si arricchisce dunque di un terzo livello di racconto, per la minaccia oscura, esiziale, di cui non si conosce l’origine e che diventa aperta, inquietante allegoria della catastrofe annunciata a un mondo sordo e cieco.

La trama non è svelabile, e in ogni caso non basterebbe lo spazio di una recensione a riassumerla. Chi conosce Houellebecq, sa di cosa è capace. Questa volta nondimeno c’è un risvolto del tutto inaspettato, imprevedibile, che emerge negli ultimi capitoli del romanzo, decisamente sconvolgenti.  Ed è la celebrazione dell’amore carnale, coniugale, descritto in ogni più crudo dettaglio e senza mezzi termini, in grado di prefigurare uno spiraglio di salvezza mai così accuratamente indagato. Una ‘passione’, o meglio ancora, una dichiarata via crucis, non troppo estranea a una rassicurante promessa di Redenzione. Nella quale le figure femminili, superlative, campeggiano come uniche, imprescindibili, sacre messaggere di verità al confine tra due mondi.


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